Tra le piaghe più dolorose aperte dalla nostra emigrazione, vi è la sindrome del sardo uscito.
Si tratta di un disturbo che colpisce una parte dei nostri corregionali che hanno scelto di vivere lontano dall’Isola.
La malattia si riconosce dalla loro marcata tendenza a salire in cattedra per dare lezioni a quegli altri sardi che nell’Isola hanno scelto di restarci.
Avendo visto più mondo e un mondo che ritengono più evoluto del pezzo di terra mediterranea dal quale provengono, non perdono occasione per spiegarci come si vive: i loro corsi di civilizzazione a distanza spaziano dal modo più appropriato di stare a tavola alle politiche economiche per la rinascita della Sardegna, alle strategie per lo sviluppo del turismo.
La malattia può colpire chiunque, indipendentemente dal titolo scolastico conseguito, dalla professione e dalle idee politiche.
Una volta, analizzammo nel dettaglio le ragioni che inducevano un mio ex collega guardia giurata del Consorzio Costa Smeralda (ho fatto anche quel lavoro, in vita mia) a magnificare ed esaltare, con tono nostalgico, tutto quel che faceva a Milano, quando prestava servizio per un istituto di vigilanza lombardo: gli sembrava tutto molto più bello ed efficiente che in Sardegna.
La conclusione fu che faceva esattamente le stesse cose, però a Milano le faceva in mezzo allo smog.
La cosa curiosa è che i malati di sindrome del sardo uscito sono in disaccordo tra di loro, nel senso che propongono ricette spesso in netta antitesi.
L’emigrato sardo in America sogna una Sardegna del futuro che tutta l’opposto dell’emigrato sardo in Germania, per dire.
Però sono sardi usciti e, comunque sia, hanno ragione loro.
La loro condizione di emigrati pone le loro opinioni sulla Sardegna su un gradino superiore rispetto a chi ci vive, in Sardegna.
Se provi a far notare loro, con un filo di voce, che non sempre si può esportare dall’altro lato del mondo un certo modello, ti zittiscono con argomenti inoppugnabili. “E tu vorresti parlare di turismo in Sardegna? Ma come fai, se non hai mai fatto una crociera tra i fiordi norvegesi?”.
“E tu vorresti parlare di economia agricola? Ma l’hai mai visto un kibbutz in Israele? No? E allora, silenzio!”
Per loro la maggior parte della classe dirigente sarda è costituita da bifolchi, ignoranti e disonesti.
In Sardegna non funziona la pubblica amministrazione, la sanità, la scuola, il già menzionato turismo, i trasporti, il commercio, il decoro urbano e aggiungetevi voi una qualunque altra voce a caso.
Spesso è una forma di avversione sviluppata proprio per non essere riusciti a realizzarsi nell’Isola – magari per effettiva iniquità del sistema, magari per demerito – e per aver poi trovato fortuna ed occasioni altrove, in quell’altrove dove tutto funziona meglio e la giustizia prevale su tutto.
Ma se ci fossero loro, ah, allora sì che le cose cambierebbero!
Solo che in Sardegna ci tornano in genere una volta l’anno, per le ferie estive, mentre per il resto dell’anno stabiliscono cosa sia meglio per noi a migliaia di chilometri di distanza.
Con quel piglio saccente che li rende indistinguibili da tanti altri turisti convinti, quando parlano con un sardo, di avere a che fare con un indigeno con la sveglia al collo.
Per molti sardi usciti che auspicano una Sardegna più forte, i turisti sono solo nuovi colonizzatori: li detestano, ma non si rendono conto che gli assomigliano parecchio.
Scherzi a parte, è chiaro a tutti che viaggiare e vivere altri mondi arricchisce e allarga gli orizzonti.
È chiaro a tutti che da altre esperienze si ricava la conoscenza per nuove soluzioni, talora anche replicabili in altri contesti.
Ai malati della sindrome del sardo uscito, però, vorrei dire che la Sardegna e chi ci vive non sono più quelli di cinquant’anni fa, quando quell’atteggiamento aveva una sua spiegazione plausibile.
Oggi anche in Sardegna esistono strade, ospedali, scuole nelle quali si insegnano lingue straniere, storia e geografia, perfino aeroporti dove, con poche decine di euro, puoi spiccare il volo per vedere quelle meraviglie del mondo civilizzato che con tanto trasporto ci raccontano in spiaggia, con i piedi a mollo nel nostro mare, quando tornano in vacanza.
Abbiamo anche la televisione, che ci permette di farci un’idea sul resto del pianeta.
Noi, comunque, attendiamo sempre con ansia le vostre lezioni e le vostre ricette per trasformare la Sardegna nel paradiso terrestre.
Se potete, riassumete tutto in un foglio word e mandatecele via mail.
Come, non sapevate che in Sardegna abbiamo anche internet e i computer?
http://www.sardegnablogger.it/
Ma anche no…caro Francesco Giorgioni. Questa sindrome colpisce tutti indistintamente!
vero. ogni riga! lo dico da sarda uscita (appe a rientrata