di Paolo Pulina
Al giornalista e scrittore Enzo Bettiza, morto il 28 luglio scorso all’età di 90 anni, fu assegnato nel 2005 – dalla giuria del Premio “Giuseppe Dessì” – un riconoscimento speciale per il romanzo “Il libro perduto” pubblicato quell’anno da Mondadori. Cosi’ come in tutte le opere letterarie di questo raffinato scrittore non mancano riferimenti autobiografici. Anche la prima prova narrativa di Bettiza, dal titolo “La campagna elettorale” (ma in qualche edizione ha un titolo alternativo: “L’ispettore”), ha precisi risvolti autobiografici, poco conosciuti nella stessa Pavia, città in cui sono ambientati gli eventi oggetto della narrazione. Sentiamo un testimone diretto di quella esperienza pavese di Bettiza.
Dichiarò alla “Provincia Pavese” del 18 aprile 1998 l’ex senatore del Pci Giorgio Piovano, a proposito del clima politico che si respirava a Pavia e provincia durante la campagna elettorale per le elezioni politiche che si concluse – il 18 aprile 1948 – con la vittoria della Democrazia Cristiana di De Gasperi sul Fronte democratico popolare delle sinistre: “La lotta politica era aspra, il contenzioso tra i partiti particolarmente intenso. Si arruolavano, per la causa, personaggi di grosso calibro. Per noi scriveva nientemeno che Enzo Bettiza. Era stato portato un giorno in federazione a Pavia da Giancarlo Pajetta. Era incaricato di esporre le ragioni dei comunisti, insieme a me”.
Enzo Bettiza (nato nel 1927 a Spalato, città che dovette abbandonare nel 1945), giornalista, scrittore, ha visto consolidarsi la propria fama grazie alla pubblicazione nel 1996 di un ponderoso volume (quasi 500 pagine) intitolato “L’esilio”. Con quest’opera, nella quale ha ricostruito la saga degli antenati della propria famiglia, grandi produttori di cemento fin dai tempi di Napoleone, Bettiza si è assicurato il Premio Campiello 1996 (oggi il libro è disponibile anche in una edizione ultraeconomica).
Di Bettiza è invece poco conosciuto il soggiorno a Pavia (cui si è riferito l’ex senatore Piovano) per un impegno lavorativo presso la Federazione del Pci all’epoca della rovente campagna elettorale del 1948, quella del 18 aprile passato appunto alla storia per la vittoria della Democrazia cristiana contro il Fronte popolare di comunisti e socialisti.
Alla presenza di Bettiza a Pavia fa cenno Clemente Ferrario nelle prime pagine del volume “Un comunista degli anni ’50” (cioè Angelo Marinoni), pubblicato dall’editore Teti nel 1978. Collegandosi ad un giudizio di Giorgio Amendola sul fatto che “il Pci si sbarazzò degli elementi pittoreschi entrati in un diverso momento nelle sue file”, con riferimento alla Federazione comunista pavese, Ferrario scrive: “Anch’essa aveva avuto i suoi personaggi pittoreschi, persi attraverso un processo di epurazione spontanea. Basterà ricordare quell’Enzo Bettiza, arrivato in federazione con chissà quali credenziali, incaricato nella primavera del 1948 del lavoro di redazione del settimanale ‘Avanguardia democratica’ e scomparso dopo un breve periodo, partito per un lungo viaggio che doveva portarlo al successo professionale costruito su un anticomunismo ossessivo”.
Per chi vuol conoscere quell’esperienza pavese di Bettiza bisogna dire che lo scrittore, proprio ispirandosi ad essa, mandò alle stampe nel 1953 il citato romanzo intitolato “La campagna elettorale” presso “un piccolo ma non ignoto editore genovese, Bianchi Giovini, che specie nell’anteguerra ha dato un buon contributo alla letteratura dei giovani”, dopo che l’aveva presentato senza successo nel ’52 al Premio Hemingway (come ha ricordato Geno Pampaloni nell’introduzione all’edizione economica del romanzo pubblicata in anni recenti sia dalla Bur Rizzoli sia dagli Oscar Mondadori).
Bettiza si è preso nel 1997 la rivincita: gli è stato assegnato, infatti, il “Premio Hemingway ’97” per il giornalismo ed è stata ripubblicata ancora una volta “La campagna elettorale”, di cui è stato detto finalmente in maniera chiara (si veda “La Stampa” del 9 maggio 1997) che è “ambientata a Pavia, nella federazione del Pci, venata di scontri e di drammi, di neorealismo e anticomunismo”.
Nel romanzo è, infatti, celato sotto una X il nome della città in cui si svolgono i fatti. Vediamo uno stralcio dalla pagina iniziale:
“Della federazione di X sapevo soltanto questo: che occupava la medesima sede della ex federazione fascista, l’antico Broletto della città […]. Uno dei marzi più belli che io abbia visto dev’essere stato quello del 1948. E attraversato un ponte di ferro, due tre ciminiere, alcuni ossami di officine distrutte […] X mi apparve non più che una vecchia, logora, quasi nota cittaduzza padana. Bardature di mura, memorie, torri, la cattedrale, ciottoli, pallide teste di porco e salsicce a festoni nelle vetrine dei salumieri e dappertutto vicoli come bisce. Nel corso la Topolino mi venne stretta al muro da un tram più sudicio che verde, sgangherato, che sussultava e tintinnava come nelle fiere i caroselli; quindi ecco la piazza del Broletto, vecchissima, con l’acciottolato, le bancarelle di verdura e i portici tutto all’intorno. Sopra la palazzina gracile del Broletto mi colpì quel frullo in cui, entro un filo di sole tanto acceso da avvicinarla quasi paurosamente sotto gli occhi, girava la cupola della cattedrale”.