Il 24 Febbraio del 2010 occupammo la Diramazione Centrale del carcere di Cala d’Oliva all’Asinara. Eravamo i disperati della Vinyls e nel petrolchimico di Porto Torres facevamo il miglior pvc d’Europa. Sapevamo però che l’intero sistema industriale sardo stava per crollare, fagocitato dagli accordi internazionali e da questa assurda globalizzazione dell’economia. Perciò tentammo di unire le lotte della nostra Isola. In Sardegna quella dell’Alcoa e dell’intero Sulcis erano gli emblemi dell’onore e della dignità per il lavoro. All’inizio dovevamo trovarci a Tramatza, a metà strada fra Porto Torres e Carbonia, ma gli amici del Sulcis erano presi dalle manifestazioni a Roma e dalle vertenze, che gli stavano succhiando il sangue. Ci sentimmo varie volte al telefono, con Bruno Usai, Massimo Cara e tutti gli altri. Alla fine ci chiamarono per annunciarci che sarebbero venuti direttamente all’Asinara. Nell’isola degli asinelli bianchi noi della Vinyls eravamo una ventina, faceva un freddo cane in quelle celle umide e buie di ex ergastolani. La notte prima un pescatore d Stintino mi accompagnò da Fornelli al villaggio dell’Ancora, ad un passo dalla spiaggia della Pelosa. C’era un mare terribile, tanto che ci legammo al gommone per non essere scaraventati in acqua dalle onde in tumulto. Il 4 Marzo 2010 quindi toccò a me accogliere gli operai dell’Alcoa nel molo di Porto Torres. Il capitano Carannante con la sua “Sara D” accompagnò il nutrito gruppo a Cala Reale, uno dei punti di approdo dell’isola. Non so come abbia fatto, forse Nettuno ci è stato propizio, ma io non ricordo una “maestralata” e una pioggia intense come quel giorno.
L’incontro con gli amici dell’Alcoa fu emozionante, sventolavano un sacco di bandiere e nell’atrio del carcere i rumori dei caschetti sbattuti in terra furono la colonna sonora dell’avvenimento. L’assemblea fu un momento molto forte, tutti uniti nella lotta, con una determinazione quasi folle e voglia di combattere contro il mondo. Alla fine i pastori dell’Asinara cucinarono carne bollita e con quelli del Sulcis si cementò un’amicizia che dura sino ad oggi. Sono passati sette anni da quel giorno di tregenda all’Asinara. Nel frattempo a noi della Vinyls ci hanno chiuso gli impianti, anzi ce li hanno demoliti. Loro, quelli dell’Alcoa e dell’Euro Allumina, continuano imperterriti a difendere il posto di lavoro. Cocciuti più di prima.Questi indomiti operai non hanno mai mollato, con i loro cortei, le assemblee sindacali, i rumore dei caschi e dei fischietti, gli scontri con la polizia sotto il Ministero Economico a Roma. Si sono fatti anche dei nemici, persino nella loro terra del Sulcis, dove in molti, specie i più giovani, non ne vogliono più sapere di Alluminio e Miniere. Vogliono cambiare, e forse non avrebbero tutti i torti.
Fatto sta che nel Sulcis all’industria e alle miniere, oramai tutte chiuse, non c’è nessuna alternativa, se non quella della fame e della disoccupazione, fra le più alte d’Italia. Ma perché le industrie del Sulcis non riaprono? Tutto è legato all’alto costo dell’energia e l’Europa di sconti alle tariffe non ne vuole proprio sapere: li considera aiuti di stato. Al diavolo se migliaia di persone sono alla disperazione più totale. Eppure l’Alcoa produceva un alluminio fra i migliori al mondo e forniva persino la Ferrari, per i monoblocchi dei suoi motori. Il paradosso è che l’Italia importa dall’estero l’80 % del suo fabbisogno di alluminio ed una delle poche industrie del Paese che lo produce è costretta però a chiudere i battenti. Questo è il folle risultato della liberalizzazione selvaggia. Anche la svizzera Glencore (proprietaria della Portovesme srl), uno degli acquirenti dello stabilimento, ha alzato bandiera bianca. Il piano dell’allora Ministro Guidi è stato bocciato dai burocrati di Bruxelles, che non hanno accettato la proposta di sgravi per dice anni sul costo dell’energia. Ora ci ritenta il Ministro Calenda, con una nuova società, sempre svizzera: la Sider Alloys,che sembrerebbe disposta ad acquistare lo stabilimento.
Manolo Mureddu, 41 anni di Carbonia, ci crede ancora. È uno dei duri della protesta, con la grinta dei tempi migliori – «Noi non molliamo,vogliamo tornare al nostro lavoro, anche se tutto sembra remarci contro. Purtroppo la politica è divisa, trionfa il populismo e le alternative che non ci sono. Un Paese che si rispetti non può fare a meno dell’industria, chi afferma il contrario è in mala fede o fuori dalla realtà. Ora c’è una novità in campo, quella della Sider Alloys. L’Europa non può dire sempre No». Bruno Usai, 53 anni di Carbonia, delegato sindacale storico dell’Alcoa, ora vice segretario della Fiom Cgil del Sulcis, rincara la dose: «Il Ministro Calenda ha dato un nuovo impulso alle trattative. La costituzione di Invitalia, un’Agenzia che fa da cuscinetto fra Alcoa e acquirenti, ha aperto nuovi spiragli. Inoltre il Ministro ha scongiurato lo smantellamento dei macchinari, come è avvenuto da altre parti. Ad ogni modo noi teniamo sempre alta la tensione, pronti a riprendere la mobilitazione.
Sulla Sider Alloys siamo cautamente ottimisti, anche perché non conosciamo il piano industriale. Ma ad Invitalia potrebbero arrivare anche nuove proposte». Manuel Contu, 41 anni di Gonnesa, è una delle ultime leve dello stabilimento, carropontista nei forni di cottura anodi, nel tempo libero vice allenatore del Carbonia Calcio: «Fra diretti e indiretti noi dell’Alcoa siamo oltre 800. A me a Dicembre scade la mobilità e davanti ho solo il buio. Venite qua nel Sulcis a vedere in che condizioni siamo. Parlano tanto di ambiente, di turismo, di alternative. In realtà qua non c’è niente e la proposta della Sider Alloys è l’unica speranza concreta a cui possiamo aggrapparci». Sul fronte Euro Allumina (materia base dalla quale si produce l’alluminio stesso) si è invece ad un passo dalla meta. Nel 2019 i russi della Rusal, proprietari del sito, dovrebbero riavviare gli impianti, passando a 357 unità, ben al di là di quelle attuali. Un piano industriale e nuovi investimenti che lasciano ben sperare. Una fiammella accesa fra le tenebre di un territorio stremato. Attualmente oltre un centinaio di addetti sono impegnati nelle manutenzioni. Uno dei simboli della vertenza Euro Allumina è Antonello Pirotto, 55 anni di Carbonia, celebre per le sue effervescenti apparizioni in tv, dove ha sovente messo in difficoltà politici navigati, dice «il nostro motto è resistere. La borghesia cagliaritana pensa che si possa vivere di sagre e musei, mentre nel contempo usa e abusa delle moderne tecnologie, come se esse piovessero dal cielo. Ma noi non ci facciamo intimidire ed andremo avanti. Il Piano Sulcis ha mosso qualcosa, come opere pubbliche e la fiscalità di vantaggio per i commercianti. Certo, la disoccupazione è dilagante, cosi come il populismo, che vive di fantasia, ben lontano dalla realtà e dalla triste vita delle famiglie sulcitane. A volte noi operai ci sentiamo soli, quasi stranieri in Patria, ma la nostra battaglia è sacrosanta».
E le miniere? Quelle miniere per cui il Sulcis è famoso? Carbone, piombo, zinco. Tutte chiuse o quasi. Solo una è parzialmente in funzione, quella di Nuraxi Figus, un centinaio di minatori che ancora scendono nei pozzi per estrarre il carbone pieno di zolfo. Ancora per poco. A Dicembre 2018 sarà tutto finito, un accordo ha siglato il blocco delle estrazioni, oramai diventate un’altra miniera: di debiti. Un intero mondo scomparirà per sempre: i visi neri degli scavatori, le lotte per i diritti, l’esempio di dignità per tanti giovani. Uno degli ultimi capitani coraggiosi delle miniere è Luigi Manca, 57 anni, afferma che «dal 2019 le miniere del Sulcis si fermeranno. Fino al 2027 gli addetti saranno impegnati nella messa in sicurezza dei siti. C’è tanta amarezza, inutile nasconderla. Le alternative non stanno funzionando, il parco geo minerario non decolla. Il territorio affonda nell’indifferenza generale». Certo che sono lontani i tempi del 1938, quando in questa terra bellissima e tormentata 18.000 minatori estraevano un milione di tonnellate di carbone all’anno e la miniera di Seruci era la più moderna in Europa. Ora il Sulcis è Jurassic Park del lavoro. Ma non troverete nessun dinosauro, solo qualche centinaio di ammutinati che coraggiosamente si ribellano ai loro comandanti.
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