di Mariella Cortès
E’ un giugno caldo, quello di Milano. Il Nonostante Marras è una piccola e fresca oasi di pace, immersa nel verde e incorniciata dal glicine in fiore. È qui che Efisio Rocco Marras, nuovo direttore creativo di I’M Isola Marras, ci viene incontro con un sorriso che sa di sorprese e novità. I capi della sua prima collezione, pronti per la sfilata evento della Milano Moda Uomo, sono lì, davanti a noi, pronti a raccontare una storia fatta di viaggi, film e ricerca. “Lolita: luce dei miei occhi, fuoco dei miei lombi: la dovessi riassumere in una frase sceglierei questa per sintetizzare la collezione”- afferma Efisio. E in effetti, la giovane donna I’M Isola Marras, linea creata da Antonio Marras nel 2007, nella visione del nuovo creativo è una vera esplosione di innocente sensualità fatta di richiami leggeri e cambi di prospettiva per una nuova generazione che afferma con quell’ I’M, Io Sono, la sua identità. Classe 1992, studi in fotografia e arte alla Parsons School of Design di Parigi e alla Central St Martins di Londra, esperienze tra Asia e USA, lavori con grandi dell’immagine– l’ultimo con Mario Sorrenti – e tanta voglia di sperimentare e scoprire, il primogenito di Antonio e Patrizia Marras è sintesi di un amore per l’arte, la letteratura e il cinema, di rivoluzione e cambiamento. Così diversi e così simili, Antonio e Efisio. Accomunati da quell’ impeto creativo che trascina, dall’amore per la ricerca dei tessuti e per i contrasti, la passione per i richiami cinematografici e letterari. “Però ascoltiamo musica diversa!” -scherza Efisio-. E non solo. Il passaggio di testimone è stato spettacolare e sconvolgente, sancito da una sfilata di grande impatto (lo scorso 16 giugno, a Milano) che, strizzando l’occhio a Léon, film culto di Luc Besson ha presentato la nuova donna I’M dando il via a una nuova storia creativa. Due universi paralleli, Antonio ed Efisio, che danzano vicini ma ognuno con una sua visione. Antonio è mondo artistico ed etereo, donne di passione e amore barocco, leggere e ricercate con un forte allure di romantica sensualità; incarnano la voglia di ribellione e di vite nuove e lontane, la poesia, il coraggio, la ricercatezza delle commistioni. Efisio è mondo in velocità, è un istante fotografico che si racconta con un solo flash, è leggerezza e stile ruvido, elogio al futuro che corre e viaggia. Ed eccole, allora, le bad girl di I’M: caschetto nero, cappello con visiera e piercing, vestite con capi “piccoli piccoli o grandi grandi”, come li definisce Efisio, cotoni e broccati pregiati, trasparenze e calze a rete. Via i ricami – uno dei tratti distintivi delle precedenti collezioni I’M– e spazio a stampe di fiori e unicorni dark, strappi, rouches e spacchi vertiginosi. Abitoni bon ton giocano con corsetti e collarini di pelle, i tacchi diventano infiniti e gli anfibi si tingono di decori maculati. I ragazzi indossano tute da meccanico, camicie sartoriali con le maniche strappate, felpone oversize impreziosite da disegni floreali che strizzano l’occhio alle vecchie stampe giapponesi e all’impressionismo. Uno sguardo ad Alghero e uno al Giappone, uno ai film francesi e uno al mondo della musica grunge, al punk e al gothic stravolti e rivisitati con un tocco immediatamente riconoscibile, quello di un giovane stilista cresciuto tra stimoli, arte e moda. Tutto gioca con tutto come nella migliore tradizione Antonio Marras ma in uno spirito diverso che vede ora le ragazze e i ragazzi di I’M viaggiare, sperimentare e osare tra capi oversize e minimal, kimono e giacconi da baseball. Il tutto all’insegna della leggerezza e di una frase: mai dire mai.
L’Efisio Marras fotografo avrebbe mai pensato di diventare stilista? Assolutamente no. Anzi, ho sempre detto: «Non lavorerò mai nella moda!» Fino a due mesi fa. Ora eccoci qui a parlare della mia prima collezione. Ma c’è anche un’altra frase che ripeto spesso.
Quale? Mai dire mai! Ride, ndr
Cosa ha fatto scattare il “sì”? In più occasioni Antonio ha manifestato il desiderio che fossi io a prendere in mano I’M. Qualche mese fa l’ho accompagnato a scegliere dei tessuti dai nostri fornitori per la nuova collezione e mentre mi faceva vedere quelli che gli piacevano io li bocciavo tutti. Lo facciamo spesso anche per scherzare: io gli dico: «Questa fantasia è orrenda» e lui risponde: «Allora la uso». È bello e difficilissimo lavorare insieme. E’ un livello super ironico, ci ascoltiamo tantissimo. Quella volta, alla mia ennesima bocciatura lui replicò: «E allora falla tu la nuova collezione!». Ho accettato ma a patto di fare a modo mio! A quel ragazzo (Antonio Marras, ndr) ho detto: «Per una volta impari a delegare, ti trattieni dal vedere la collezione prima che sia conclusa e stai ad Alghero mentre scattiamo il look book!». Ovviamente ho chiesto dei consigli su tessuti e impostazioni ma è stata dura riuscire a tenere a bada la curiosità e la voglia di fare del ragazzo! Ride, ndr
Da dove nasce questa sorta di rifiuto del mondo della moda? Dall’avere avuto genitori ingombranti! Intanto immagina quante volte mi è stato detto: «Ah, quindi farai come babbo?». Io rispondevo subito: «Farò qualsiasi cosa ma non i vestiti! Odio la moda!». Di fatto, sono cresciuto in quel mondo. Anche se alle superiori fingevo di non chiamarmi Marras e ai colloqui facevo andare mia nonna! Quando chiedevano: «Ah, ma sei Marras, il figlio di Antonio?» Io rispondevo: «No, di Marras il costruttore di Fertilia!» Poi arrivava mia mamma in versione Rossella O’ Hara con un vestito di 15 balze o lo strascico di chiffon e finiva lì!
Cosa ti unisce e cosa ti divide da Antonio Marras? A parte la genetica e quella che ad Alghero chiamano “jabbiddura”, ci unisce il potere romantico di questa “morte d’amore sulla spiaggia”. Ci divide la musica. Alle 10 del mattino lui sta già ascoltando Mia Martini, io i Radiohead. E poi la visione della moda donna: lui la vede più austera, io più sexy, quasi carnale.
Quello che abbiamo visto in sfilata è stato un cambiamento netto nella visione della linea I’M. Cosa è cambiato e cosa ha mantenuto vivo il filo rosso? Mi piace poter disegnare per le mie amiche e i miei amici. Penso a come vivono loro l’idea della moda, della leggerezza e di una libertà che diventa bellezza. Penso a ragazze e ragazzi che vogliono essere fashion ma ballare intorno a un fuoco sulla spiaggia. Ci sono dei capi e degli elementi simbolo della visione di Antonio di cui io sono innamorato come le stampe floreali che ritornano anche in questa I’M e la sua maglieria che trovo meravigliosa. Ma tutto è riletto e reso leggero e sfizioso. I fiori giocano con le righe o sono dipinti a mano sui giacconi in pelle, ci sono colori accesi e vivissimi, la camicia sartoriale ma con la manica stracciata, l’uso del drill per i pantaloni e il principe di Galles. La mia I’M ha capi d’effetto ma semplici, veloci.
Cosa ha ispirato la prima collezione? Ho avuto 20mila stimoli. Ho pensato a Tokio, a New York e alla Sardegna, senza dimenticarmi di chi sono figlio. Ho messo tutto insieme e dedicato la collezione al personaggio di Mahilda, interpretato da una giovanissima Natalie Portman nel film Léon di Luc Besson. Mathilda Lando è una ragazzina che diventa sicario dopo la morte dei genitori. Cattivissima e innocente, con quel suo caschetto nero e la pistola nascosta nella custodia del violino. Ecco, io l’ho immaginata vestita con degli abiti dalla doppia anima: apparentemente capi cute, da brava ragazza ma mixati per farne una vera bad girl che strizza l’occhio ai fantastici manga di Masamune Shirow. Vedevo un po’ me da ragazzo quando i miei genitori mi portavano in barca in Croazia ma io ero super dark! La mia ragazza I’M indossa body, bady doll, calze a rete, tulle e scarpe da ginnastica con la zeppa. Mette il corsetto sopra l’abitone morbido e lascia che il maxy cardigan le fluttui addosso. Il suo cappellino con visiera ha i piercing – leitmotiv della collezione – e la calza a rete sotto il jeans. Usa il pigiama di pizzo, le felpone e l’anfibio. È un po’ Avril Lavigne e un po’ ragazzina finta innocente dei manga giapponesi con il suo look da scolaretta e gli anfibi o la sottoveste ma con sotto la canotta bianca da muratore. Per la mia Mathilda, ci sono i kimono e i pantaloni tailandesi, le stampe e le rouches che accompagnano spacchi chilometrici. Look da ragazzina sicario con look cute e bazooka. La mia I’M è una ragazza, non una donna. Sono le mie amiche e i miei amici che conosco da sempre, con i quali sono cresciuto ad Alghero e che mi stanno sostenendo in questa avventura.
Ti definiresti più stilista, creativo o artista? Penso che la bellezza del nostro tempo stia nel non avere più la necessità di descriversi, di rimanere intrappolati in una categoria. Quello che viviamo è un nuovo Rinascimento dove si può osare e fare tante cose diverse. Antonio Marras è un artista, da sempre e realizza le installazioni più belle al mondo da 25 anni anche se ce ne siamo accorti solo con la mostra Nulla Dies Sine Linea. Diversi fotografi hanno loro linee moda, Zayn dei One direction disegna una collezione con Versace. Può succedere, no? E io amo le novità, i cambiamenti, il poter fare. Ho una insofferenza locis, ho bisogno di spostarmi, scoprire e fare 5000 cose, come i miei genitori. Per questo non solo ho disegnato la linea I’M ma l’ho anche fotografata, post prodotta e realizzato il look book in ogni sua parte pensandola come un vero e proprio prodotto editoriale dove le foto scattate nel campetto qui vicino, nel primo giorno dopo la fine delle scuole, giocano con una serie di Polaroid da backstage con i miei amici ritratti nel making of della nuova I’M.
Dove nasce, invece, la passione per la fotografia? L’ho ereditata, insieme all’amore per i romanzi, da mia mamma che tutt’ora ha sempre con se’ la sua Minolta ed è stata scatenata da una vecchia camera oscura che avevamo in casa con la quale giocavo da bambino. Da quel momento è scaturita la curiosità per lo studio dell’immagine, la scrittura con la luce che non ha mai smesso di accompagnarmi.
New York e Parigi sono state due mete importanti per la tua formazione personale e professionale. Ci racconti due aneddoti legati a queste esperienze? Parto da NY: stavo lavorando in studio da Mario Sorrenti e come puoi immaginare ci passava tutto il jet set. Un mio amico e collega decide di organizzarmi uno scherzo invitandomi a una blindatissimo party dove ci si doveva presentare in pigiama. Ne indossai uno bellissimo, comprato in Giappone, con dei fiori damascati. Peccato che una volta arrivato al 75esimo piano fossi l’unico in pigiama! In compenso, lo scherzo ha ispirato un capo della mia collezione. Nel periodo a Parigi c’è stato un anno di profonda tristezza, mi sentivo perso. La scuola mi faceva schifo, stavo andando male e vivevo in un appartamento di 8 mq. Uscivo da solo e facevo passeggiate infinite. Un giorno mi venne a trovare Martina, la mia amica di Alghero portando con sé una valigia che riempiva da sola tutta la mia casa. Dentro c’era tutto l’occorrente per preparare torte. Quella casa di 8mq divenne tutta un’altra cosa! I miei ricordi più belli sono legati agli amici, fonte di stimolo, energia e parte di un incredibile lavoro di squadra.
Cosa rappresenta per te la Sardegna? Hai un tuo luogo del cuore? Mia nonna aveva una casa a Naracone, vicino a Santa Teresa di Gallura dove tutt’ora vado spesso in vacanza. Un luogo fuori dal tempo, sintesi del sublime nella natura, immerso nel nulla, in quel mare pazzesco di graniti giganti bianchi. Ecco, la sensazione di minuscolo davanti all’universo è quanto meglio riassume la mia idea di Sardegna. E’ come essere immersi nel quadro del Viandante sul mare di nebbia di Caspar Friedrich o in un’opera di William Turner in una idea di infinito romantico dove, però, l’infinito ti avvolge e guarda nella tua direzione.
Che consigli daresti a un giovane sardo? Partire, viaggiare, lasciare per un attimo quello che si conosce. Anche quelle apparentemente più semplici – penso alla Cina dove durante una business dinner potevo ruttare ma non soffiarmi il naso – fanno parte di sistemi mentali che vanno scoperti, conosciuti per provare a cambiare il nostro punto di vista su quello che invece abbiamo a portata di mano.