di Maria Vittoria Dettoto
La scorsa settimana mi sono recata a Castelsardo per un servizio sull’Assemblea Nazionale dei borghi più belli d’Italia. Nella cittadina affacciata sul Golfo dell’Asinara che si vanta di essere uno dei 5 comuni sardi annoverati tra i borghi più belli d’Italia, è giunto tra gli altri Vittorio Sgarbi. Il famosissimo critico d’arte era presente all’evento nella duplice veste di relatore e di inauguratore di due eventi collaterali all’assemblea: l’inaugurazione di una statua e quella di una mostra d’arte tenutasi nella via Fontana Vecchia.
È qui che avviene il nostro incontro e la nostra intervista con uno Sgarbi affabile e disponibile che nulla a che vedere con il personaggio scontroso, iracondo e maleducato che qualcuno vorrebbe far apparire.
In realtà è affabile e disponibile con tutti i presenti: si presta alle foto, ai saluti. Alle strette di mano.
Ma quello che più mi colpisce è la lectio magistralis che tiene lì in quella via assolata in un pomeriggio di giugno, ai presenti ed agli autori delle opere esposte.
Ricorda loro come quando vestiva il ruolo di assessore al comune di Milano, rese legale ciò che per i graffitari era sino ad allora illegale:ovvero l’utilizzo degli spazi pubblici per la raffigurazione dell’estro creativo del singolo. Ricorda che l’unico divieto fosse quello che gli artisti non avrebbero dovuto coprire coi loro disegni altre opere d’arte. Specie quelle di alto valore storico, culturale o artistico. Spiega con un lessico comprensibile ed appassionato, intervallato talvolta da qualche simpatico epiteto, la differenza tra il visitatore di un museo e quello di un graffito:nel primo caso egli deve recarvisi apposta; nel secondo può essere persino un passante distratto che ci si trova di fronte per caso. E talvolta capita che quello che sembra o nasce come un graffito da strada, diventi un’opera d’arte. Richiama, Sgarbi, il sillogismo tra quei graffiti ed i murales di Orgosolo sottolineando al contempo la differenza tra i due:a contenuto artistico i primi, politico i secondi. Tiene la sua lezione di uomo ormai arrivato, avvezzo alla stigmatizazzione del bello e dell’arte ponendosi di fronte a quelli che in quel momento erano i suoi “allievi” con un umiltà disarmante.
Qualità che solo ai grandi appartiene. Gli domando nel corso della nostra intervista se sia giusto continuare ad investire sui giovani artisti. Risponde senza remore che si, è giusto. È anzi doveroso. Che spesso quei giovani hanno solo bisogno di qualcuno che dia loro uno spazio espositivo come ha fatto Cuccureddu e la sua amministrazione in questa occasione. Rammentando anche che l’arte di questi artisti di strada serve spesso ad abbellire spazi che altrimenti sarebbero grigi. A date colore a periferie disastrate e disagiate, teatro spesso di situazioni tristi o pericolose.
Ringrazio dunque il signor Sgarbi perché ha dato a quei giovani, me compresa, uno sprone. Io non sono un’artista di strada, sia chiaro. Ma il suo ragionamento si può ovviamente trasporre in ogni settore. Ho iniziato la mia carriera di scrittrice e di provetta giornalista qui, tra le vostre pagine. Se voi non mi aveste pubblicato non mi avrebbero letto.
È la stessa cosa in fondo. Ognuno di noi ha bisogno di incontrare qualcuno che creda in lui e gli dia una vetrina, un’opportunità. Per fortuna persone di questo tipo si incontrano ancora e danno la spinta ai giovani per continuare a credere nelle proprie passioni e a non soffocare i propri sogni.