Domenica 21 maggio, nel pieno della trentesima edizione del Salone internazionale del libro di Torino, a Monserrato,presso il Circolo Sant’Ambrogio, in Sardegna, si sarebbe dovuto svolgere un grande evento culturale, la presentazione dell’ultima fatica poetica di Gigi Dessì, “La malattia di Dio” (edizioni Nemapress).
Uso il condizionale perché purtroppo Gigi Dessì si è spento due giorni prima, il 19 maggio.
Le parole di circostanza sarebbero inopportune per chi, come Gigi Dessì, era e rimane un grande poeta. La sua vena spirituale lo ha avvicinato al grande pubblico e ai lettori più raffinati.
Avrebbe compiuto 79 anni il 21 giugno prossimo. Era uno dei più importanti poeti di impronta spirituale che la Sardegna avesse, noto per riconoscimenti di pubblico e di critica a livello nazionale. Su di lui hanno scritto in tanti, firme prestigiose, da Giacinto Spagnoletti a Barberi Squarotti, da Nicola Tanda a Mario Sansone a Salvatore Tola.
È stato l’ideatore e fondatore del Premio Letterario Nazionale “Giuseppe Dessì” di Villacidro la cui Fondazione dedicherà una giornata di ricordo pubblico sulla sua poesia.
Lo conoscevo dal 1974. A Mantova, io ritiravo il Primo premio vinto in un Concorso indetto dalla Casa editrice “L’Aquilone”. Lui aveva ottenuto il secondo premio. Io arrivavo da Alghero, lui da Cagliari, entrambi dalla Sardegna dunque. Questo fatto “geografico” ci accomunò subito e fu l’inizio di una amicizia mai spezzata… Ogni iniziativa culturale che mettevo in cantiere lui era sempre il primo ad essere invitato, sempre in prima fila. Reciprocamente. Fu lui a fare il mio nome per la Giuria del Premio Dessì. Per qualche tempo fu il mio socio nella casa editrice Nemapress. Fino alla sua malattia. Ma il telefono e la email ci hanno permesso di non perderci. Anche adesso uso uno spazio letterario a lui, a noi così congeniale, per salutarlo.
Vorrei ricordarlo con questa mia postfazione che ho firmato per “La malattia di Dio” , l’ultimo suo poemetto, dopo una splendida e approfondita Prefazione di Leandro Muoni, l’amico critico di una vita.
“ Fedeltà alla poesia. Fedeltà al sentire poetico. Questo è il primo pensiero davanti all’ultima opera di Gigi Dessì, La malattia di Dio, poemetto che è stato in gestazione per dieci anni circa. Lettura, ri-lettura, rielaborazione, riscrittura. Perché il lavoro del poeta è cesello. Gigi Dessì scrive e pubblica poesia dagli anni settanta, quando incendiava la Sardegna la questione “de sa limba”, e non era facile la vita degli scrittori che, pur esprimendosi in italiano, non rinunciavano caparbiamente a testimoniare il loro essere sardi. E i titoli delle prime sillogi di Gigi Dessì parlano chiaro in questo senso: Tanche di memoria, Dire chi siamo: il verso è spezzato, libero, ungarettiano, sofferto ma il messaggio è diretto: l’orgoglio della propria cultura mediterranea, marina e nuragica, accanto all’inno ai valori etici primari: l’amore, l’amicizia, la famiglia, il creato, Dio. Dio, appunto.
Direi che la poesia di Gigi Dessì si muove tra questi due orizzonti privilegiando a vicenda ora l’uno ora l’altro: l’identità culturale coniugata con una quotidianità di impegno sociale e la riflessione sull’esistenza di Dio, quel perché della vita e della morte che si presenta impetuoso nella coscienza di tutti noi. Fino a questo La malattia di Dio. Troviamo, o meglio, ritroviamo il verso franto, il poemetto diviso in strofe brevi che riconducono alla domanda più angosciosa: ma perché Dio permette tutto il dolore del mondo? E perché il dolore personale, la malattia? Il pregio di questo poemetto è che la voce del poeta, pur con il doloroso percorso di vita che affiora dai versi, non cancella la riflessione più universale, più generale, che invece ne risulta esaltata e rafforzata.
Se Dio è costantemente chiamato in causa per il presunto suo silenzio, a fare da contraltare, come presenza salvifica, c’è Orsola, la compagna di una vita, il “vincastro” della dedica. Gigi Dessì non ha bisogno di nascondere dietro acronimi e nomi simbolici chi le è stato vicino da sempre; Orsola è il correlativo oggettivo dell’amore, è la Clizia montaliana, nel pieno della veridicità del suo nome. Coraggioso questo ultimo lavoro di Dessì perchè il poeta si domanda ciò che molti di noi, soprattutto oggi, provano a capire ponendo lo stesso interrogativo.
Ma Dessì non perde mai la fede: domanda ad un Dio assente e muto, malato, ma domanda come uomo di fede, cosa che Leandro Muoni ha messo ben in evidenza nella sua acuta e documentata introduzione critica. In questi versi si snocciolano i mali del nostro tempo, gli omicidi, le torture, le brutture di un avita pubblica, la disperazione dei migranti, il tutto come contrappeso al dolore personale, amplificandolo e rafforzandone la dolorosa, prima domanda: perché? Con La malattia di Dio, Gigi Dessì resta fedele alla sua storia culturale e dimostra la grande forza della parola che, non a caso, nel Vangelo di Giovanni, sta ad indicare il verbum divino: “In principio era il verbo”, era la parola, quel fiato divino con cui Dio empì i polmoni di Adamo e lo fece uomo. Così, anche se dolorosamente, la parola poetica di Gigi Dessì continua a risuonare perché, nel deserto del dolore, ancora sia possibile intravedere un’oasi di speranza.”
Ciao, Gigi.