di Francesco Canepa
Facciamo come gli alberi …cambiamo le foglie, quand’è tempo, ma conserviamo, per sempre, le radici.
Sicuramente l’avrà detto qualcuno di importante, ma finalmente al Gremio ne abbiamo avuto la prova scientifica.
Infatti sabato 20 maggio, qui a Roma, eravamo invitati, anche tramite le pagine di “Tottusinpari”, per proseguire nel percorso “Raighinas”.
Dopo la traduzione del termine – “raighinas” significa “radici” – il Presidente Masia, ha illustrato il senso ed i contenuti della serata, introducendo le nostre odierne guide al percorso.
Il primo passo lo ha mosso Ilaria Onorato con la superba e emozionante recitazione del suo “Canto per vincere il buio” dedicato a Maria Carta. Un “incantamento” che ci ha fatto rivivere gli ultimi anni della nostra cara Artista che proprio dalle sue radici sarde ha tratto la ragione della sua arte e la forza per affrontare quel buio che la aggredì, ma che oggi, dopo oltre vent’anni dalla sua scomparsa, possiamo ben dire che non prevalse. E la bella e toccante pagina scritta e interpretata da Ilaria Onorato è lì a testimoniare che anche la “carta” canta. Maria è e rimarrà sempre nel cuore del Gremio essendone stata amica e socia per lungo tempo, sottolinea, con orgoglio, il presidente Masia.
Che riprende la parola per presentare la figura di Antonino Mura Ena : ottimo scrittore, poeta (di prima grandezza la sua figura nell’olimpo della poesia sarda) e pedagogista che dedicò, anche agli studi sulla cultura sarda, vita ed esempio. Il racconto di quella vita straordinaria è toccato al figlio, professor Gaspare – emerito della “Pontificia Università Urbaniana” – che mescolando ricordi famigliari e metodo scientifico ha saputo far rivivere dinanzi ai nostri occhi una figura così importante per la cultura.
Grazie allo zio sacerdote conduce i suoi studi a Lula, per laurearsi a Roma nel 1938 con una tesi sulla dottrina hegeliana dello Stato. Inizia la sua carriera nel liceo di Nuoro, con il preside Remo Branca, poi co-fondatore del Gremio in Roma. Incoraggiato proprio dal professor Branca, che verrà ricordato al Gremio sabato 24/6, traduce poeti dal tedesco ed approfondisce la conoscenza dei poeti spagnoli.
Sfollato nel paese della Moglie ( Pizzoli, al confine con il parco del Gran Sasso ), la sua esperienza umana lo porta a costituire una sezione dell’allora P.C.I. e poi nel Comitato di liberazione nazionale.
Da questa esperienza nasce la biografia di Palmiro Togliatti, pubblicata con lo pseudonimo di “Antonino Murena”, nel 1946. La sua insofferente militanza andò progressivamente scemando per cessare dopo i fatti d’Ungheria.
Ritornato a Roma insegnò pedagogia nell’Università, dedicandosi agli studi su Sant’Agostino, ma anche sul rapporto fra l’educazione e le arti come il cinema, il disegno, la musica.
E qui mi devo esser distratto, perché quando ho ripreso i contatti mi son ritrovato fra la lingua greca, l’impero romano d’oriente, e la Sardegna e sentivo parlare, in italiano, di Giuseppe Gioacchino Belli.
Lui che era sardo amava immensamente il grande poeta romanesco del 1800, autore di 32000 versi, il doppio della Divina Commedia, giungendo a dire che Belli dal punto di vista estetico doveva considerarsi al livello di Dante Alighieri. E il motivo era perché in Belli la lingua regionale assurgeva a poesia, consentendo l’elevazione e la trasfigurazione della piccola e povera gente. Qualcosa di analogo ha voluto Mura Ena con Recuida e con Memorie del tempo di Lula.
Il richiamo delle radici lo portò alla ripresa della sua antica passione per la poesia in lingua, consapevole del richiamo che Gramsci faceva alla sorella Teresita, dal carcere, per invogliare all’uso del sardo familiari, figli e nipoti, che affiancati all’uso della lingua nazionale favorivano l’arricchimento spirituale delle persone, grazie al confronto culturale che così potevano vivere.
Accanto a “Memorie del tempo di Lula”, riprende le note quattro sillogi ( “Appentos e ammentos”, “Recuida”, “Cunsideros”, “Tejos contados” ) veri e propri strumenti, non scevri da echi di Lorca e di Machado, per una riappropriazione dell’identità, e per una immersione nel suo Goceano e nella Barbagia con versi che, interrottisi nel 1994, sono riusciti, grazie alla recitazione ed al canto della “retzidadora” Clara Farina – che ci ha offerto, applauditissima, un saggio di rara valentia – a farci atterrare in un istante nelle piazze della nostra isola, quando nelle sere estive di festa si eleva nel silenzio circostanze il verso bello e improvviso degli aedi nostrani. Così con rinnovata emozione la voce di Clara ci ha proposto: Sero, Rios a mare (cantata con intonazione gregoriana), Peraula bia, Chitto, Istios, A ite bella gai, Janna cantadora, Benditore chin trumba, Castellana de Burgos, Jeo no hipo torero.
Nuovo stacco con il presidente Masia per presentare la figura di Padre Pietro Casu, e per invitare, Antonio Casu (originario di Berchidda) – Direttore del sistema bibliotecario del Parlamento e Presidente de “Il cenacolo di Tommaso Moro” – a raccontarci quest’altra storia.
Iniziata a Berchidda nel 1878 in una famiglia di sette fratelli, lo vide – grazie all’interessamento del Canonico Giuliano Fresu – avviarsi agli studi in seminario per uscirne laureato in teologia nel 1901 e destinato all’insegnamento della filosofia nei grandi seminari di Ozieri e Sassari.
Per oltre quarant’anni fu Parroco della sua città dove, nonostante le sollecitazioni a trasferirsi in continente per insegnare teologia, morì nel ’54.
L’attività letteraria, fra libri e giornali, fu un suo costante impegno, che nulla toglieva alla sua fama di apprezzato teologo, ma fu anche la causa di una certa “preoccupazione” da parte del suo Vescovo, che lo incoraggiò a tralasciare queste cose terrene per acquisire maggiori crediti …lassù.
Il voto di obbedienza fu salvo, ma per fortuna qualche paginetta, ci è rimasta : un “Vocabolariu” sardo-italiano/italiano sardo di cinquantamila voci, terminato nel 1947, ed una divina traduzione in logudorese dell’intera commedia Divina del “ghibellin fuggiasco” da Firenze. Per motivi di spazio tralasciamo le altre sue numerose traduzioni, fra le quali, per citarne alcune : Foscolo, Leopardi, i Vangeli. Qualche verso e qualche brano, suggeriti da Antonio Casu, sono stati letti dal presidente Masia: dal 1° 5° e 26° canto dell’Inferno (A su mesu caminu ‘e sa vida…Paolo e Francesca, Ulisse..
La sua scelta di predicare in lingua per essere meglio compreso dai suoi ascoltatori, che non erano solamente i parrocchiani, lo spinse a raccogliere le sue prediche nel volume “Preigas”, mentre l’intensa produzione poetica portò al volume “Cantones”.
Vinse anche il premio “Grazia Deledda” per la poesia nel 1950, e fu l’autore di numerosi canti liturgici e natalizi in sardo, fra i quali la famosa “Notte de chelu”, eseguita a capella dalla calda e coinvolgente voce della soprano Manuela Manca circondata e accompagnata dalle sue bambine.
Una piccola indagine svolta durante l’apericena della “Presidentessa” (Toia), mi ha un po’ consolato: non ero il solo (…..confiteor) a non conoscere una simile ricchezza in lingua affidataci da questi due grandi Sardi, naturalmente conosciutissima la grande Maria di Siligo, che, grazie alla passione di Antonio Casu, di Gaspare Mura, Clara Farina e di Antonio Maria Masia, son ritornati fra noi per ricordarci che abbiamo radici solide e vitali che ci terranno sempre ben ancorati a terra come certe “Canne al vento”.