Si narra che le Janas siano creature minute, deliziose e bellissime, e soprattutto incantatrici e custodi di segreti e di magie. Le loro domus de janas, le case delle fate, si trovano in un’isola, la Sardegna, che per la sua forma sembra un’impronta di un piede, o meglio, di un sandalo. Un’isola bellissima, agreste, demoniaca e maliarda, proprio come le minuscole fatine danzanti, che scelgono come dimora delle rocce scavate dal Nord al Sud. Ovunque il loro aleggiare accompagnava la Terra Sarda; i loro occhi hanno visto nascere comunità intere, generazioni e generazioni. Paesi minuscoli sparsi su montagne, colline e pianure, zone impervie e ricche di flora e di fauna, dove il filo che teneva uniti grandi e piccini era quello del valore della memoria. E, così, i vecchi preservavano il frutto del loro sacrificio, narrando e avvicinando gli abitanti del paese.
Il narratore, di solito il vecchio del paese, accattivante, teneva vivo il focolare della vita. Anziani e bambini, i protagonisti di quel filo, prezioso per l’artista sarda Maria Lai, e ancor più prezioso per Tonino Oppes che, attraverso il suo libro Il ballo con le Janas (Domusdejanas, 2015), tesse una tela simbolica che tiene viva la memoria attraverso il racconto.
La serata, A cena con l’Autore, organizzata dall’Associazione Culturale Sarda Grazia Deledda di Pisa, presidente Giovanni Deias, è stata coronata da passi importanti tratti dal libro di Tonino Oppes, letti da Marcella Del Bianco, Piera Angela Deriu e Giancarlo Cherchi. Il primo brano preannunciava già sul nascere il senso profondo del messaggio insito nel libro delle Janas: “una bambina, accompagnata dalla nonna, teneva ben stretto tra le mani, su un vassoio di sughero, il pane per l’occasione. Era bianco e aveva una forma circolare …Vi avevano lavorato, per tutta la settimana, le donne del rione … cui spettava il compito di organizzare la festa che coinvolgeva tutti gli abitanti. Il lavoro degli uomini era quello di raccogliere la legna … procurare il vino e la carne … Le donne dovevano addobbare la chiesa, preparare i biscotti … su pane ‘e sant’Antoni …”.
La comunione e la partecipazione di fronte a temi narrati da Tonino Oppes, in un dialogo sapientemente intrecciato da Gilda Cefariello Grosso, avevano proprio il sapore, la forma e il profumo del pane di sant’Antonio. La condivisione era unanime, le janas hanno colpito nel cuore i presenti alla pari di Antine – protagonista principale del racconto – affascinato dalla bellezza immortale e attratto dalla danza delle janas, in particolare di Tidora. Ma, le janas non si possono toccare. Solo loro possono decidere, se e quando farsi accarezzare. E, questo Antine, ben lo sapeva.
L’ascolto, la curiosità, l’incredulità erano impressi nel volto di Antine, e, con egli, dei commensali, imprigionati dalle parole esposte dall’autore che ribadiva, con semplicità,quel valore racchiuso nel pane: vita e morte. Uniti, sempre. La vita dei piccoli paesi che rischiano di morire; vita dei valori che vengono sempre meno; vita del ricordo sempre più flebile come una fiammella; vita alle janas che “credevano di essere immortali e che invece hanno tanta paura di morire”.
La morte, è possibile vincerla. Tonino Oppes lo dimostra con fermezza e decisione. La memoria è l’unica arma vincente, e per mantenerla viva occorre far passare da quel pertugio la luce, e vedere in essa la speranza di un domani, prendendosi cura della memoria proprio come si fa con un albero, “se non portiamo acqua alle radici non dà frutti e muore”, ricorda lo stesso autore, poiché, “solo l’indifferenza è nemica della memoria”. Salude e Trigu, salute e grano, sono indispensabili per la vita, per il pane, e lo è anche l’abbraccio con il simpatico, temutissimo e misterioso Mommotti, Babbu Orcu, comparso all’improvviso al richiamo, dopo il vin santo, di Manola Bacchis e Giovanni Deias, ed anche attratto dal frastuono del carro del vecchino, Su carru ‘e Nannai, e dallo sghignazzare di Maria Leppedda accorsa a fine cena per lasciare il languorino ai presenti, pacifici dopo la mangiata e l’avvinazzamento.
E, sì!, Tonino Oppes ha ragione: “I racconti dell’infanzia durano tutta la vita; anche oltre, se viaggiano sulle ali delle janas”.
Bravissima Manola!
Grazie Consuelo Greca Rubiu, ma il merito principale è dell’autore Tonino Oppes , dei suoi libri unici, e di tutta la squadra/famiglia sardo/pisana condotta dal presidente Giovanni Deias. <3 <3
sempre in giro tonino oppes