di Antonella Loi
Il caso di Benetutti, piccolo paese del Nord Sardegna, potrebbe essere il caso simbolo. Cinque opere pubbliche realizzate e abbandonate, alcune da anni. Un numero importante se rapportato con una popolazione di poco meno di 2000 abitanti. Il piccolo centro, con la sua particolare densità di edilizia pubblica apre una finestra su un fenomeno con una panoramica che abbraccia tutto lo stivale italiano, come visto isole comprese. Il paesino in provincia di Sassari “vanta” un ospedaletto (con tanto di centro di riabilitazione motoria), realizzato tra il 1974 e il 2004 dalla Comunità montana, e poi ceduto al comune. Ma anche un palazzetto dello sport, con piscina olimpionica e un piccolo ippodromo, parte di un complesso realizzato dalla provincia di Sassari. Fu lo stesso comune invece a realizzare un punto di ristoro e un parco fluviale che accompagna i turisti verso le sorgenti del paese: tutti inesorabilmente inutilizzati. Le cifre delle spese fatte sono da capogiro: nell’arco di 40 anni in tutto ben 13 milioni di euro. Le opere, oggi di proprietà del Comune, richiedono nuovi interventi: l’ospedaletto, assicura il sindaco, “ha bisogno di interventi da 350 mila euro per riacquistare gli arredi rubati”. Già perché nel frattempo i vandali hanno rotto i vetri e asportato tutto quanto non fosse cementato. Le altre opere necessitano invece di “interventi di ammodernamento”. Ma le casse comunali sono vuote.
Se qualcuno a questo punto pensasse che si possa trattare di un caso isolato, avrà tempo di ricredersi. Perché la realtà delle opere incompiute racconta di un fenomeno piuttosto diffuso nel nostro Paese, letteralmente invaso di fantasmi cementizi con una pendenza della bilancia verso le regioni del Meridione. Così scartabellando nell’Anagrafe nazionale delle opere incompiute del ministero delle Infrastrutture (Mit) – istituita a seguito di una norma del 2011 – a cui obbligatoriamente affluiscono i dati di tutte le Regioni, si scopre per esempio che la Sardegna ha 80 opere pubbliche incompiute (67 nel 2014), realizzando in un solo anno la terza peggiore performance dello Stato.
Continuando a scorrere il dito sulla cartina da Nord a Sud, la Valle d’Aosta risulta essere la più virtuosa con sole 4 opere incompiute, mentre la Sicilia con le sue 838 strutture fantasma, è la detentrice della maglia nera. Nel suo curriculum, tra gli altri, ci sono: i bagni di cura saunistica a Pantelleria, località Bagno asciutto, costati 542.279,79 e completati al 100% ma fermi lì ad aspettare che il tempo passi e chissà cos’altro. Ancora la “nuova costruzione” di un edificio polifunzionale a Montalbano Elicona per un importo iniziale di 1.704.307,77 euro: per completarlo e metterlo in funzione (35,30% di opera già realizzata), serviranno altri 1.989.000,00. E anche qui, ancora, strade, dighe, costruzioni urbane ed extra urbane di varia natura. Solo esempi scarni di un’immensità di esempi del lassismo italico. A metà strada c’è la Toscana che tra le 34 opere segnalate nel 2015 mette in mostra ad esempio un complesso di 25 alloggi di edilizia agevolata in San Giovanni Valdarno, località Cetinale, costata 2.350.631,09 euro, non fruibili nonostante completato al 100 per cento, la sede della provincia di Siena, costata già 11.273.837,83 euro e realizzata per il 68.13%, oltre a strade, parcheggi, argini di fiumi e strutture varie. Ma gli esempi potrebbero essere tanti.
“Numeri macroscopici? Più che quelli dichiarati a me preoccupano quelli che non conosciamo”, spiega l’architetto Giuseppe Rizzuto, responsabile dell’anagrafe gestita da Itaca (Istituto per l’innovazione e trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale) che monitora ed elabora i dati che affluiscono dalle Regioni al sistema Simoi (Sistema informatico monitoraggio opere incompiute) del Mit. Quello che emerge subito è che davanti all’obbligo per ciascuna amministrazione di dare comunicazione puntuale dello stato dei propri immobili in disuso, non ci sono sanzioni o responsabilità particolari, si pensi ad esempio a dichiarazioni omissive o volutamente mendaci. I dati, relativi agli ultimi 4 anni, sono quindi da considerarsi incompleti, se non “declinati al ribasso”.
“L’anagrafe andrà a regime quest’anno – spiega – quando a fine giugno verranno presentati i dati relativi al 2016-2017. Con l’ultimo censimento capiremo quale sia la reale portata del fenomeno”. Il rischio è che “lasciando tutto alla buona volontà” delle amministrazioni a cui la legge impone di censire e comunicare le informazioni, alcuni tasselli possano non combaciare. L’obiettivo della legge del 2011 era quello di “inserire nella programmazione delle opere pubbliche anche le incompiute che si trovano nei territori e farne la priorità. Cioè se mi serve la nuova scuola e ho una struttura abbandonata, valuto se si possa sistemare quella invece di realizzarne un’altra, con grande risparmio di denaro oppure demolirla o alienarla”, afferma Rizzuto.
Fatto sta che il sommerso è talmente ampio che appare quasi una chimera venirne a capo. “L’opera finché non è completata sta in un limbo e capita che se ne perda il ricordo. E allora bisogna tirare fuori le carte e portarle in primo piano: non si possono tenere le strade o le strutture bloccate, ferme sul territorio”. Insomma: far uscire dall’oblio nel quale le opere pubbliche spesso e volentieri cadono e farle rientrare nel ciclo della vita amministrativa.
Ma la verità è più complessa: spesso non non è semplice trovare soluzioni sostenibili per le casse provate dei comuni. “Contenziosi in atto, imprese fallite, tante situazioni che bloccano il procedimento di realizzazione dell’opera – dice Rizzuto -, tutto fotografato dai numeri dell’anagrafe, per lo più casi che si risolvono nell’arco di pochi anni”. Il problema vero sta fuori da quei numeri, tra quegli ecomostri e quelle cattedrali nel deserto lasciate marcire nell’incuria e nel dimenticatoio colpevole. Quelle che le amministrazioni preferiscono dimenticare, magari perché le pressioni spingono verso nuove opere piuttosto che verso il recupero delle vecchie. “C’è più sensibilità adesso a porsi la questione delle opere incompiute”, assicura il funzionario. “Oggi – spiega – le amministrazioni temono l’esposizione data dalle dichiarazioni mendaci che con la trasparenza è più difficile far passare. A dimostrarlo il fatto che noi come ufficio riceviamo molte segnalazioni di opere non censite”.
http://www.tiscali.it/