CUORE IN SARDEGNA E TESTA IN CONTINENTE: LA BELLA STORIA DI ANTONIO CAREDDU, PROTAGONISTA DI “CHI SALVERA’ LE ROSE?”

ph: Antonio Careddu


di Andrea Lorettu

Il cast è di tutto rispetto: Carlo Delle Piane, Lando Buzzanca, Caterina Murino e Philippe Leroy. Si tratta di uno spin-off del celebre film di Pupi Avati “Regalo di Natale”, Delle Piane infatti torna nei panni del celebre avvocato Giulio Santelia, il quale, 20 anni dopo, sarà costretto a tornare su un tavolo da poker. Per amore. Al centro del film c’è il rapporto tra lui e Claudio (Lando Buzzanca), un legame che lo porterà a giocare un’ultima, delicatissima, partita: i soldi della possibile vincita serviranno infatti a curare la grave malattia di Claudio. Tutto ciò è ambientato nella nostra splendida terra: la Sardegna. Trai protagonisti della pellicola c’è un giovane attore sardo: Antonio Careddu. Il percorso artistico lo ha portato lontano dalla sua terra ma, grazie a questo progetto, ha potuto riallacciare un filo mai spezzato. Una strada fatta di scelte scomode, zero compromessi e partenze difficili. Un percorso comune a tanti ragazzi della nostra generazione.

Ciao Antonio, partiamo da Adamo ed Eva. Com’è nata la passione per la recitazione? È nata al liceo tramite un laboratorio con Sante Maurizi, La Botte e il Cilindro, poi, una volta diplomato, mi ha voluto con lui nello spettacolo teatrale “Canto di Natale”, così ho avuto la possibilità di partecipare al mio primo film, “Tutto torna”, girato a Cagliari. Non so quando ho deciso di trasformarla nella mia vita, durante l’università studiavo e recitavo come hobby. Negli ultimi mesi ho iniziato a prenderla più seriamente tanto che, due giorni dopo la laurea, ho deciso di andare a Roma per fare dei provini.

Com’è essere attore in una realtà come quella isolana? C’è possibilità di emergere? Secondo me è possibilissimo, conosco tante persone che vivono di teatro in Sardegna, dipende da che tipo di percorso scegli. Ad esempio per quanto mi riguarda, al momento, ho costruito la mia realtà fuori dall’isola ma non escludo di poter tornare in pianta stabile, perché no? Sono convinto che in Sardegna ci siano tutte le possibilità per far teatro e cinema.  Purtroppo ci sono dei limiti oggettivi di cui tener conto, come il mare e la crisi. Mi metto nei panni di chi vuole portare da noi uno spettacolo: l’eccessiva distanza spesso può diventare un problema. Al contrario per chi produce spettacoli nell’isola con ambizioni a livello nazionale non è facile uscire dai propri confini.

Una possibilità che ti è stata offerta da “Chi salverà le Rose?”. Come sei venuto a conoscenza del progetto? Circa due anni e mezzo fa tramite Facebook, ho letto del casting e ho deciso di propormi, per me lavorare con Cesare Furesi rappresentava un’opportunità bellissima. Un’altra cosa però mi affascinava tantissimo: era un progetto sardo in Sardegna.

Esatto, il regista ha insistito molto per girarlo ad Alghero. Sì per lui era fondamentale che il film fosse girato ad Alghero, era la cornice perfetta per la storia raccontata dal film. Quando si è paventata l’ipotesi che il film si girasse altrove si è battuto parecchio perché ciò non avvenisse. Come ha detto lui stesso, questo film può essere girato dappertutto, non è propriamente una storia sarda; nonostante questo ha comunque insistito per girarlo ad Alghero. É un di film di Cesare al 100% sotto tutti gli aspetti, dal cast alla location. Vedrete anche voi al cinema, le immagini sono spettacolari.

Come mai la forza di questo film sta nel fatto di non essere una storia tipicamente sarda? Ma soprattutto, cosa intendi per “storia sarda”? Spesso ci raccontiamo all’esterno come un popolo con grandi originalità, grandi tradizioni esclusive, ma in realtà noi condividiamo tradizioni con tutto il Mediterraneo. A volte questo è limitante, ci isoliamo più di quello che siamo realmente. Siamo un popolo del Mediterraneo influenzato da tantissime altre tradizioni. Il film racconta una storia bella, ma normale, che si svolge in Sardegna. Non è sempre necessario parlare di pecore, fucili e banditi, si può raccontare la Sardegna anche senza parlare della Sardegna.

Tornando ad Alghero, quanto ha inciso nell’atmosfera del film e quanto quest’ultimo può valorizzare la città all’esterno? Siamo stati accolti meravigliosamente, c’è stata molta curiosità attorno al film. É stato bello perché la collaborazione dei cittadini è stata massima, nonostante l’apparato organizzativo porti spesso dei problemi oggettivi. Il periodo delle riprese, tra marzo e aprile, ha reso noto un volto diverso di Alghero, tipica città estiva secondo il senso comune. In alcune scene si vedrà Capo Caccia un po’ grigia, con qualche nuvola, il che rende l’atmosfera particolare ma allo stesso tempo magica.

Attraverso il film, quindi, potrebbe esserci una sponsorizzazione della città. Sì, ma allo stesso tempo non è avvenuto quello che secondo me poteva essere un rischio: risultare un “film cartolina” di Alghero. Il grande lavoro di montaggio effettuato da Cesare ha reso qualsiasi scorcio della città funzionale alla storia, senza fare cartoline promozionali.

Nel film interpreti Marco, un ragazzo di 24 anni con la passione per il poker, ti riconosci in lui? Sì, Marco è un ragazzo molto spensierato, a differenza della madre Valeria (Caterina Murino) che ha avuto un percorso di vita pieno di difficoltà, per lui tutto sembra semplice. Per recitarlo al meglio Cesare mi ha chiesto di dimenticare il bagaglio di esperienze tipiche di un ragazzo di 30 anni. Ad un certo punto del film però, Marco, capirà che nella vita non è tutto così semplice.

Insomma non hai dovuto vivere per un mese fingendo di essere un rampante ventenne. No, no [ride]. Però è capitato a fagiolo, mi ha aiutato a superare il trauma del trentesimo compleanno!

Beato te, io ci sono dentro fino al collo ma questa è un’altra storia. Torniamo a noi. Nel film reciti al fianco di “mostri sacri” come Carlo delle Piane e Lando Buzzanca. Buzzanca idolo del cinema erotico anni ’70 ma che negli ultimi anni si è costruito una grande credibilità come attore drammatico, e Carlo delle Piane, che ha lavorato con leggende come Totò, Gassman, Pupi Avati, Polanski, De Sica e Monicelli. Hai preso appunti? Mamma mia. Quando ho saputo che si trattava di uno spin-off di “Regalo di Natale” – film di Pupi Avati del 1986 – sono impazzito. Non ci credevo,  ora ti spiego il perché. Pur non essendo un film per bambini io e mio fratello, da piccoli, attirati solamente dalla bellezza della copertina del VHS, abbiamo deciso di guardarlo. La consumammo per giorni e giorni, l’avrò visto venti volte quel film. Ora puoi immaginare la mia reazione quando ho saputo che ci sarebbe stato Carlo delle Piane, ancora nel ruolo dell’avvocato Santelia 20 anni dopo:  è stato bellissimo! Lui poi è stato grande: mi ha consigliato e aiutato durante tutte le riprese. Purtroppo Lando, avendo condensato le proprie scene in pochi giorni, l’ho conosciuto poco ma mi ha fatto comunque una bella impressione.

Ho trovato molto interessante il tuo percorso artistico. Come tanti ragazzi sardi hai deciso di lasciare la tua terra e dopo l’università ti sei trasferito a Roma. Come mai questa scelta? A Roma mi sono iscritto all’Accademia e là ho formato il mio gruppetto con cui abbiamo creato una compagnia teatrale tutta nostra. La via più difficile forse, perché prevalentemente quando uno esce dall’Accademia la prima cosa che fa è ammazzarsi di provini.

Ti sei messo in proprio… Sì è la mia indole, ovviamente ho fatto qualche provino però probabilmente non faceva per me e ho deciso di cavarmela da solo. Ora vorrei approfondire ciò che scrivo, le mie creazioni. In questo momento preferirei lavorare per conto mio, col mio gruppo.

Cosa vi ha fatto scappare dalla Capitale? Come ti ho già detto la mia indole mi porta a lavorare sulle mie cose e questo a Roma non era più possibile. Non ci sono spazi o per lo meno quelli che ci sono costano tantissimo. Oltretutto ci sono centomila teatrini con centomila direzioni artistiche senza una visione d’insieme, il tutto inserito in un sistema completamente sfilacciato al suo interno. Un mosaico a mio parere ingestibile dove è difficilissimo intraprendere un percorso. L’alternativa è costruirti una rete di alleanze e contatti per sopravvivere nella giungla di provini per fare strada nel cinema e in tv. Scelte legittime sia chiaro, ma non fanno per me.

E così te e la tua compagnia avete deciso di trasferirvi a Torino. Come mai? Tutto è partito da una componente torinese della compagnia che ha deciso di tornare a casa, sfibrata dal delirio romano. Era l’ennesimo segnale che il nostro ciclo a Roma era finito, così abbiamo deciso di trasferirci tutti a Torino. È una città teatralmente molto più attiva di Roma, gli affitti sono più bassi ed è inoltre vicinissima a Milano, la capitale italiana del teatro.

Un contesto ideale per sviluppare al meglio il vostro progetto culturale: Resina. Sì, mi piace definirla una “compagnia autarchica”. Abbiamo unito le nostre diverse competenze al servizio del teatro: io e Valentina – sì, la stessa Valentina di cui vi parlammo in un vecchio post – stiamo frequentando una specialistica in comunicazione per poter promuovere al meglio le nostre attività, Viola ha fatto un master in costume-design mentre Chiara si è specializzata nel campo della scenografia. Questo tipo di impostazione ci permette di poter camminare sulle nostre gambe basandoci sulle nostre conoscenze tecniche.

Sta per uscire il vostro primo spettacolo teatrale. Sì, è un lavoro che portiamo avanti da tre anni e qua a Torino siamo riusciti a realizzarlo. La storia ha come protagoniste due sorelle molto particolari caratterizzate da varie stranezze e aspetti inquietanti, come collezionare pigne, guardare ossessivamente il telegiornale e tenere la mamma mummificata chiusa dentro una stanza. La loro esistenza verrà sconvolta da una visita inaspettata che porterà ad altrettanto inaspettate conseguenze. Il nostro “covo” si trova in via Valprato 68 a Torino e chiunque voglia venire a trovarci è benvenuto. Lo spettacolo l’ho scritto e diretto personalmente, l’obiettivo è quello di portarlo in giro per l’Italia e, speriamo, anche in Sardegna.

Nonostante il mare? Nonostante il mare.

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