Ci avete mai fatto caso? Ci sono dei temi che ciclicamente tornano all’attenzione dell’opinione pubblica sarda e che vengono trattati come se tutta l’elaborazione precedente non fosse mai esistita. Scoppia, ad esempio, la questione del nuovo statuto di autonomia: si fanno incontri, documenti, riunioni, poi il tema scompare dalle prime pagine dei giornali, fino a quando qualcuno non lo ritira fuori come se fosse nuovo di zecca, ignorando le faticose conclusioni a cui si era giunti anche solo qualche mese prima. E si ricomincia daccapo.
Lo stesso vale per gli attentati agli amministratori (tea che si affronta ignorando ricerche e dati faticosamente acquisiti), oppure la sanità o i trasporti: Sempre gli stessi ragionamenti, a scapito di ciò che ci dice la realtà.
Anche la questione dello spopolamento dei nostri piccoli paesi viene trattata da tempo sempre allo stesso modo. La Nuova Sardegna ci sta regalando in queste settimane un’inchiesta a puntate molto interessante (tanti dati, tante storie), approfonditi reportage dai paesi destinati a scomparire. Tutto molto bello e giusto, se non fosse che di nuovo non c’è nulla perché pezzi così i nostri giornali li fanno ciclicamente da anni.
Questa ritualità purtroppo impedisce di vedere elementi nuovi che potrebbero aiutarci a capire il fenomeno, e la riprova di ciò l’abbiamo avuta ieri, quando in prima pagina sempre sulla Nuova, accanto alla notizia sullo spopolamento di Ussassai, ce n’era un’altra che riguarda tutta l’isola: “Natalità, Sardegna ultima in Italia”.
Ora, se tutta la Sardegna soffre di denatalità, perché dovrebbero fare eccezione i nostri paesi? Il dato complessivo non è quindi generato dal fenomeno dello spopolamento dei piccoli centri ma da una dinamica ben più vasta e complessa che riguarda anche i centri medi o grandi. Perché anche Cagliari (udite udite) da tempo perde inesorabilmente abitanti.
Il tema dello spopolamento e della denatalità riguarda purtroppo tutta la Sardegna, non una particolare zona, e le eccezioni confermano solo la regola. Solo invertendo il trend generale e affrontando il problema su scala isolana ci sarà una speranza per nostri paesi. Invece i nostri amministratori e la stragrande maggioranza dei nostri intellettuali immaginano di intervenire su situazioni ad hoc, con una strategia destinata a fallire (e infatti sta fallendo), frutto di schemi usurati come quello del dualismo città/campagna che nella Sardegna di oggi non ha veramente più alcun ragion d’essere.
In tutta la Sardegna non si fanno più figli, nelle zone ricche come nelle zone povere, nelle zone interne come in quelle esterne: interrogarci su cosa succede a Ussassai ci aiuta a capire il fenomeno nella sua complessità? Probabilmente no. Non basta tenere aperti una manciata di uffici postali, scuole e caserme, perché il problema è più drammatico e attiene alle ragioni profonde per le quali i sardi (tutti i sardi) non credono più nel futuro.
A questo punto bisognerebbe cambiare punto di osservazione e dotarci di nuovi schemi di interpretazione della realtà. Perché oggi, come il mitologico Sisifo, che doveva ogni giorno spingere un masso fino alla cima di un monte per vederlo poi nuovamente rotolare giù, anche i sardi sono costretti a questa fatica immane. Parlano, discutono, litigano, ma in definitiva stanno fermi nelle loro convinzioni: frutto di stereotipi e convenienze.