È, se si vuole, l’ennesima storia di un giovane gallurese che per farsi strada nella vita e fare soprattutto ciò che più gli sta a cuore, ha dovuto lasciare la Sardegna e cercare fortuna altrove. Fortuna che è puntualmente arrivata, perché il talento accademico di Massimo Ragnedda, studioso ed esperto di comunicazione e sociologia politica, non poteva passare inosservato. E così il bortigiadese e oggi quarantenne Massimo Ragnedda, Senior Lecturer di Mass Communication presso la Northumbria University di Newcastle, può ben dire di avere raggiunto più di un prestigioso traguardo. L’ultimo dei quali è la pubblicazione ancor fresca di stampa di un libro uscito per i tipi della Routledge, una delle più importanti case editrici accademiche al mondo. Nel suo ultimo libro, intitolato “The Third Digital Divide”, Ragnedda elabora tesi di grande interesse, come l’esistenza di un “digital capital” e l’urgenza di sondare meglio la natura di un nuovo livello (il terzo) del cosiddetto digital divide. Una soglia, questa, che non può dirsi caratterizzata solo da un divario generazionale. Le tesi di Ragnedda sono così stimolanti che è impossibile non proporne almeno una sintesi. «In questo libro – spiega lo studioso – introduco il concetto di terzo livello del digital divide. Circa 20 anni fa, si riduceva il divario digitale tra chi accede ad Internet e chi ne è escluso. Anche le policies si sono basate su quello. Subito, però, ci si è accorti che non è solo un problema di accesso, ma anche di quello che si fa una volta che si è online. Questo è il secondo livello, basato sui digital skills, sul perché lo usiamo e così via. Io introduco il terzo livello che è dato dalla capacità di trasformare questa qualitativamente differente esperienza digital (secondo livello) in qualcosa di tangibile che produce effetti concreti nella vita reale. È ovvio che per fare questo dobbiamo avere social capital (reinvestire nel social i vantaggi acquisiti online), ma anche economic, cultural, political e personal capital. Quello che permette di trasformare i vantaggi digitali in benefici sociali è poi quello che io definisco Digital Capital». I contenuti dell’opera sono in piena sintonia con quello che Ragnedda sta facendo al momento. Lo studioso è infatti impegnato in una ricerca sulle diseguaglianza digitali e sul rapporto tra queste e le diseguaglianze sociali. L’occasione è buona per chiedere a Ragnedda come vanno le cose oltremanica e se la terra del Brexit può essere una buona destinazione per altri giovani sardi. «Qui all’estero mi trovo benissimo – dichiara – e, professionalmente parlando, sono un livello molto superiore al nostro. Non esiste nepotismo, c’è meno precariato e più meritocrazia. Se fosse per il lavoro, rimarrei sempre qua, ma la vita è fatta anche di altro. Ai giovani dico di seguire il proprio futuro e magari cominciare a guardare oltre l’Europa. Un’esperienza in Australia o in East Asia non sarebbe male. Il baricentro del mondo si sta spostando»
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