VENTIDUE ORE BULGARE: DUE DONNE IN VIAGGIO DALLA GRECIA E QUELL’IDEA DI CONFINE

un momento "bulgaro" dell'autrice dell'articolo


di Daniela Melis

Ogni viaggio fa pensare. Alla vita, alle scelte, alla diversità. Ne racconterò uno che mi ha dato il pretesto per congetturare sull’idea di confine.

È novembre a Salonicco. Vogliamo raggiungere la Bulgaria, Alexa ed io. La soluzione più economica è partire a mezzanotte, arrivare alle 5 del mattino, pernottare una notte e via. (Solo Dio, se esiste, sa cosa vuol dire approdare in una stazione di Sofia all’alba. Forse esiste. Perchè noi, una greca e un’italiana in bus verso la capitale, non ci arrivammo. O almeno, non a quell’ora).

Alexa ha doppia nazionalità. Al confine con la Bulgaria esibisce il passaporto albanese. Quello vecchio, ovviamente, scaduto da anni, mentre i documenti greci sono al sicuro, a casa. Siamo gentilmente invitate a scendere dal bus, sotto lo sguardo sghignazzante dei passeggeri. Troviamo riparo nella garitta dei poliziotti di frontiera. Annoiate, ci dirigiamo verso il Greece Duty Free. Ci dilettiamo tra rossetti e mascara. La notte è lunga. Al bar sorseggiamo un caffè. Un immigrato albanese e cinque vecchi incuriositi ci fanno compagnia. Urge rientrare. A salvarci è Thomas, che fa Grecia-Bulgaria Bulgaria-Grecia in meno di sei ore e ci riporta a casa. Il giorno dopo siamo di nuovo in viaggio, col sole alto e carta d’identità greca alla mano. Dopo qualche stazione avranno luogo le famose “22 ore a Sofia”, utili per:

a) Rifornirci di sigarette a metà prezzo;

b) Capire che i ragazzi bulgari son tristi e timidi;

c) Intuire similitudini e differenze del cibo dei Paesi comunicanti;

d) Notare come la Bulgaria sia sfornita di luce, ovunque;

e) Respirare l’aria sovietica;

f) Ricordarci di ricordare a giovani studenti di non fare l’Erasmus a Sofia.

Avevamo solo la curiosità di vedere come stavano le cose oltre quei pochi metri che separano il territorio greco da quello bulgaro. Nient’altro. 

Questo incontro/scontro fa riflettere sulle barriere che popolano il mondo, la cui natura è essenzialmente artificiale. Nemmeno il mare o le montagne tracciano linee divisorie sul globo, in quanto parte dello stesso fenomeno: la natura. 

Le barriere si identificano perlopiù con i confini tra Stati, i serrati controlli alle frontiere, il panico per la contaminazione di spazi arbitrariamente considerati puri. Son come dei fili grossolanamente posizionati a dividere porzioni di territorio.

Muri artificiali disegnati sulla carta sminuiscono il senso pieno dell’essere libero. L’uomo è prima di tutto curiosità, scoperta, esplorazione. I confini isolano e mostrano l’altro come diverso e, quindi, nemico. 

Naturale conseguenza è un confinarsi in se stessi, fino ad aggrovigliarsi.

Allora a chi, come me, bandisce limiti fisici, mentali e territoriali, non resta che seguire il consiglio suggerito da John Lennon con queste poche, semplici, ma efficaci parole: “Imagine there’s no countries, it isn’t hard to do…”.

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