TZIA PEPPINA SALIS E L’IMPRENDITORIA FEMMINILE ANTE LITTERAM: LA VOGLIA DI EMERGERE TRA CAPARBIETA’, ABNEGAZIONE ED UMILTA’

foto d'epoca: donne di San Sperate


 
di Emanuela Katia Pilloni

Pobiddu e mulleri. A San Sperate il ruolo femminile non subordinato a quello maschile è evidente anche dal lessico familiare. La moglie non è “pobidda”, femminile di pobiddu, come invece in molti paesi del campidano ma mulleri. Ha una sua ragion d’essere autonoma che prescinde etimologicamente e culturalmente dal rapporto con la componente virile della società.

Tzia Peppina non si era sposata. Nata nel 1919 da una modesta famiglia contadina, sesta di otto figli – per scelta o per caso – rimase nubile. Ma non era disposta a passare la sua vita fra le mura paterne dedicandosi alla vita dei campi, come la sua estrazione sociale sembrava indicarle. Non amava il lavoro contadino, cui pure non si era mai tirata indietro negli anni della gioventù. Era un dovere e, in quanto tale, andava assolto, ma i sogni erano altri.

Primi guadagni. Nel 1956 acquistò un terreno nella zona di espansione del paese, nelle vicinanze della Scuola Materna Beato Cottolengo. Alla vigilia del Natale del 1959 con la sorella minore Caterina Salis, con “duasa pobiasa piene di quaderni, rocchetti, nastrini, aghi e ditali”, inaugurò la sua nuova attività. Il primo incasso della merceria furono le 15 lire guadagnate con la vendita di alcuni quaderni al bidello delle scuole, il signor Fillacara.

Una nuova vita. Nel ‘62 Peppina e la sorella Caterina trasferirono anche la loro residenza nella nuova abitazione accanto al negozio. Gli affari però stentavano a decollare, non per mancanza di clienti quanto piuttosto per la scarsa disponibilità di merce: troppo esiguo il capitale a disposizione dell’imprenditrice. Fu proprio allora che la realtà paesana mostrò il suo volto migliore: la generosità gratuita. Venuto a conoscenza delle difficoltà di Peppina, Domenico Ginoretti – titolare di uno dei pochi alimentari del paese – si offrì di aiutarla. Sponsorizzazione diremmo oggi, agiudusu torrausu si consideravano allora. Con la macchina messa a disposizione dal benefattore si recò a Cagliari per fare gli acquisti necessari. Le vendite aumentarono e la merce si diversificò, la tradizione si adattava ai cambiamenti della società: non più solo merceria ma anche dolciumi e le prime merendine confezionate. La vicinanza con l’asilo delle suore del Cottolengo ne fece per anni tappa obbligata dei bambini e dei ragazzi la domenica sera all’uscita dall’oratorio.

Ed ora che tzia Peppina aveva realizzato il suo sogno, anche  la sorella maggiore Brigida apri una rivendita di pane in via Arbarei. L’imprenditoria era nel sangue delle donne della famiglia Salis.

La scuola. Con il trasferimento della scuola elementare dal Museo del Crudo al nuovo stabile di via Cagliari, la rivendita di tzia Peppina conobbe una stagione di grandi soddisfazioni. La cancelleria, i boboisi, ma anche la merceria e gli articoli da regalo, tutto ciò che il mercato chiedeva lo si trovava da lei. Continuò ad essere così anche dopo il passaggio di consegne alla nipote Paola negli anni novanta: la sua impronta – e la sua presenza – non venne mai meno.

Per più di cinquant’anni la sua attività fu caratterizzata da una clientela eterogenea, dai bambini che acquistavano la merenda prima dell’inizio delle lezioni alle anziane che si rifornivano di cotone o lana per i lavori a maglia. La duttilità della società del tempo che non conosceva rigide divisioni del lavoro, era perfettamente rappresentato dalla bottega di tzia Peppina. Anche il suo fare talora scontroso, mitigato dal dolce sorriso della sorella Caterina, era in sintonia con un mondo di duro lavoro e convenzioni sociali che pur attribuendo ruoli precisi agli uomini e alle donne, non lesinava opportunità di crescita e cambiamento.

Tzia Peppina fu protagonista di quel cambiamento. Realizzò il suo sogno, aiutò altri a fare altrettanto incarnando alcune delle virtù muliebri – caparbietà, abnegazione e umiltà – più celebrate della società sarda. E ora che Peppina non è più fra noi, oltre al suo ricordo, ci resta quest’edificante esempio di imprenditoria femminile ante-litteram…

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