Ventun giorni e venti notti sul tetto del mondo, immerso in un silenzio purissimo, a contemplare il tramonto più bello della terra: Francesco Frascaro, architetto trentunenne di Scano Montiferro, è da poco rientrato da un’esperienza straordinaria. In compagnia di altri viaggiatori sconosciuti e guidato dagli sherpa ha raggiunto una delle vette dell’Himalaya nepalese, a 5545 metri di altitudine: una spedizione tra laghi azzurri, foreste, ghiacciai, vette innevate e cieli stellati.
Una vita intera a studiare i diari dei grandi esploratori e il sogno di immergersi nella natura selvaggia hanno portato Frascaro a lasciare tutto per attraversare i passi più alti del pianeta: “Con l’idea di attraversare le montagne e conoscere nuovi popoli ho preso lo zaino con dentro lo stretto necessario – ci ha raccontato al suo ritorno – quando si affrontano queste esperienze bisogna essere pronti a selezionare le cose giuste da portarsi appresso. Più di tutto è fondamentale abbandonare i pesi del passato, scaricare l’inutile e fare spazio a tutte le nuove esperienze. Ho portato con me la curiosità, il coraggio, la passione, la volontà e l’apertura mentale, e ho lasciato a casa le paure, i pregiudizi e la diffidenza”.
Il viaggio per Francesco Frascato è iniziato: dalla Sardegna ha raggiunto la Turchia per incontrare un gruppo di esploratori e da qui insieme hanno volato verso il Nepal. La spedizione ha contato 12 viaggiatori ma solo tre hanno completato l’itinerario: gli altri si sono fermati a causa delle difficoltà fisiche. “Ho camminato per circa 240 chilometri, attraversando passi montani oltre i 5400 metri, per arrivare fino al confine con il Tibet. All’inizio è stato molto faticoso per via dell’altitudine: l’assenza di ossigeno si sente e il corpo deve abituarsi gradualmente salendo e scendendo di quota continuamente, per potersi acclimatare e ridurre il rischio del mal di montagna o, peggio ancora, di andare incontro a embolie. Non ero mai salito così in alto ma non ho avuto paura: noi sardi abbiamo un fortissimo spirito di adattamento e abbiamo il sangue giusto per poter andare ovunque ci porti il cuore. Tuttavia per affrontare questo genere di esperienze occorre essere in perfetta forma fisica e disposti ad adattarsi a qualsiasi situazione: prima di partire mi sono allenato in palestra e sui sentieri di montagna, ho seguito un corso di arrampicata e ho preso lezioni di yoga. Senza ossigeno, con temperature glaciali fino ai meno venti, e in mezzo a forti venti abbiamo camminato all’alba e al tramonto su ripidi sentieri calcati da esploratori e avventurieri, e abbiamo dormito alle pendici di nevai, risvegliati dal suono di campane e bandiere sferzate dal vento. Ho vissuto una delle esperienze più intense della mia vita, con il corpo e con l’anima nella natura più selvaggia”.
Lassù, sulle montagne nepalesi, Francesco ha incontrato gli Sherpa, che hanno guidato e aiutato il piccolo gruppo nella scalata: “In loro ho trovato complicità, forse data dal comune senso di appartenenza alla terra, che è ben presto diventata fratellanza. Mi sono immerso totalmente nella loro cultura e ho cercato di apprendere il più possibile sui loro modi di vivere, fatti di fatica, meditazione e semplicità. Ho notato che nei loro occhi scuri si riflettono le montagne e nel loro cuore batte come un tamburo incessante una profonda melodia che chiamano preghiera. Con la voce bassa e con lo sguardo alto camminano a passo incessante sopra le nuvole, fermandosi solo per darti una mano e per sorriderti. ‘Bìstari bìstari’ dicono, che in lingua locale significa ‘piano piano’: delle vere guide, per il corpo e per l’anima. Ho camminato con loro e, pur non essendo uno di loro, non mi sono mai sentito un estraneo e non ho mai avvertito la lontananza da casa”.
Tra scalate, discese, notti completamente buie, camminate e soste il viaggio è durato 21 giorni, fino al 9 novembre. È partito dalla remota regione del Khumbu e ha toccato i passi di Renjo La, Cho La e Kongma La, per arrivare alla cima del Kala Pattar, a 5545 metri di altitudine, da dove si ammirano i giganti himalayani: il monte Everest che con i suoi 8848 metri è la vetta più alta del pianeta, il Pumori, il Nupse, il Lhotse e l’Ama Dablam.
Un’esperienza che Frascaro non dimenticherà facilmente: “È stata una ricerca continua che mi ha permesso di allontanarmi per comprendere ciò che mi è sempre stato vicino, e scoprire che libertà è sapersi ascoltare. Oltre alle immagini delle montagne, dei cieli stellati e dei tramonti sui giganti della terra, ho portato indietro più rispetto, amore e consapevolezza per me stesso e per il mondo in cui vivo. Tra le tante emozioni e il ricordo di persone straordinarie ci sono sorrisi, abbracci, silenzi, lacrime e gioie condivise. Ho salutato l’Himalaya con un nodo alla gola e ho pianto mentre le voltavo le spalle per fare ritorno a casa. Questa esperienza non è stato un arrivo, ma un punto di partenza per nuove storie da condividere”. http://www.sardiniapost.it/