di Filomena Cuccuru
Nel contesto delle migrazioni popolari si dice che partire sia un po’ come morire. Tuttavia il termine di una fase della vita di una persona nell’ambito della propria terra di origine può lasciare spazio all’inizio di nuove “stagioni” esistenziali, circostanze nelle quali è possibile far fruttificare i talenti, i ricordi ed il bagaglio culturale individuali nella costruzione di una nuova “casa” presso i luoghi di arrivo. Le donne sono da tempo protagoniste particolari di tale realtà nel mondo dell’immigrazione nazionale: a partire dalla fine dell’Ottocento, infatti, la presenza femminile nei flussi migratori italiani ha visto progressivamente crescere il suo peso numerico. Laddove si è riscontrato tale fenomeno di frequente le partenze non hanno assunto più un carattere temporaneo ma i profili di un vero e proprio sradicamento dai territori di nascita, un esodo verso la ricerca di un futuro migliore, coinvolgente, anche in un secondo momento rispetto al primo arrivo del gentil sesso, interi nuclei familiari, strettamente incardinati attorno alla figura della mogli e delle madri, sebbene non isolati siano stati anche i casi di migrazioni individuali di “figlie”: donne sole, per lo più giovani. Il Biellese è stato il teatro per eccellenza di simili processi. Nello specifico, dal primo Novecento, le locali analisi demografiche hanno registrato l’arrivo dalla Sardegna di un fenomeno migratorio prevalentemente femminile, per lo più canalizzato, oltre che nell’ambito dell’industria tessile e nel settore agricolo, verso il lavoro domestico presso le dimore dell’agiata borghesia e, più in generale, nei servizi a malati, bisognosi e, specie negli ultimi decenni, agli anziani. Molte di queste donne, progressivamente nel tempo, si sono integrate nel tessuto socio-economico del territorio, diventandone, così, una parte silenziosa ma, talora, in diversi casi, fondamentale nella locale vita quotidiana. Oggi, in continuità con il passato, una decina di socie di “Su Nuraghe” si accinge ad offrire gratuitamente, con dedizione e competenza, le proprie disponibilità, capacità professionali e umane a seguito dell’apertura di un Ambulatorio Infermieristico Sardo “Emilia Cavallini”, garantendo un servizio alla cittadinanza ben oltre i “confini” della locale Comunità dei Sardi. Un’opera concreta attraverso la quale esprimere, oltre alla consapevolezza dell’appartenenza culturale, l’amore e la gratitudine verso l’intera Città di Biella, da anni, ormai, propria “casa” di adozione.