di Patrizia Boi
Nel corso della rassegna Incontro con il Cinema Sardo (a cura di Franca Farina),il Gremio dei Sardi ha proposto la presentazione, la proiezione e il commento dell’interessante documentario “L’insolito ignoto – Vita acrobatica di Tiberio Murgia”, prodotto dal giornalista e critico cinematografico Sergio Naitza di Cagliari, presente all’incontro.
Chi non ricorda quel volto imperturbabile e altero di siciliano geloso e sciupafemmine che divenne una presenza fissa della commedia italiana dal 1957 in poi?
Nell’introdurre l’evento e presentando il regista, il presidente del Gremio Antonio Maria Masia ha voluto sottolineare che il valore e l’importanza dell’opera di Sergio Naitza, a suo avviso, consisteva nel restituire allo spettatore una immagine completa, gradevole, coinvolgente, emozionante e persino tenera dell’uomo e dell’attore che andava a sostituire quella ingessata e stereotipata seppure vincente che s’era fissata nel ricordo di chi da giovane e per tanti anni aveva seguito nei cinema quel singolare grande e amato caratterista ch’era stato Tiberio Murgia.
Così è stato, come anticipato in premessa.
Dal ruolo di Ferribotte, nel film “I soliti ignoti”,il piccolo operaio sardo,nato ad Oristano il 5 febbraio 1929 e morto a Tolfa il 20 agosto 2010,viene trasformato nello stereotipo del siciliano irascibile e focoso che lo accompagna in tutti i suoi film da “La grande guerra”, a “L’audace colpo dei soliti ignoti”, da “La ragazza con la pistola” a “Costa Azzurra”, “Caccia alla volpe” etc…
Un sardo dell’Isola prestato ad un’altra Isola per impersonare una maschera che gli viene tagliata addosso quasi per caso. Il regista Mario Monicelli lo prende dalla strada – all’epoca era lavapiatti in un ristorante – e lo scrittura per quel primo film che lo rendefamoso, un “falso d’autore” divenuto celebre caricatura nella commedia italiana.
Eppure Tiberio non sapeva una parola di Siciliano, veniva sempre doppiato con cadenza sicula da attori quali Renato Cominetti, Ignazio Alsamo e Michele Gammino.
Il grande pubblico ne apprezza la formidabile mimica facciale, quegli occhi un poco socchiusi rivolti sempre al cielo, quelle sopracciglia foltissime perennemente arcuate, la testa leggermente piegata all’indietro per rappresentare meglio la diffidenza e l’ostinazione della sicilianità, che di fatto è tipica anche della sardità e forse dell’insularità in genere.
Murgia rimane fedele al personaggio, allo stereotipo caricaturale del siciliano, per tutti i 40 anni successivi, attraversando i principali generi popolari del nostro cinema recente. Questo non lo rende popolare nella sua Terra che lo avrebbe voluto rappresentante anche dello spirito della sua gente. Il rapporto con gli oristanesi sarà difficile per anni fino a quando gli viene assegnato ad Oristano il Premio… In quell’occasione Tiberio cade platealmente in ginocchio davanti ai suoi conterranei, emozionato come non lo era mai stato di fronte a nessuna telecamera.
Il documentario racconta l’uomo e l’attore, quasi mezzo secolo di carriera, 155 film, un pezzo di storia del cinema italiano partendo dalla natia Sardegna, passando per il successo fino ai giorni nostri.
Tiberio ha una fortuna cinematografica “sfacciata”, nonostante non sia istruito e sebbene non abbia mai frequentato una Scuola di Recitazione, però lo contraddistingue una grande presenza scenica, una capacità di suscitare ilarità solo con uno sguardo o con un movimento di quel suo corpo mummificato dal ruolo, una grande capacità nei piani d’ascolto, talenti che possedeva dalla nascita grazie a quel suo sguardo strano e irripetibile. Pensate che, come svela Naitza nel suo documentario, un chirurgo gli propone un’operazione agli occhi per eliminare quel difetto dello sguardo rivolto verso il cielo – gratuitamente vista la condizione economica non agiata di Tiberio, – e lui si rifiuta; gli piace continuare a guardare in alto come se fosse volto all’indomani, a quel futuro che lo aspetta nella Capitale.
Tiberio non vuole fare l’operaio, né il lavapiatti, è come se si immaginasse un altro destino e riuscisse in qualche modo a crearselo, con i suoi piccoli gesti: il rifiuto di farsi eliminare un difetto che si sarebbe rivelato la sua fortuna e la scelta di recarsi deliberatamente a Roma nonostante i suoi fratelli lo invitino ripetutamente a Savona – dove risiedono – per lavorare con loro. Non ne ha mai voluto sapere scegliendo di seguire le sue manie di grandezza.
Poi la vita e il cinema si confondono, Tiberio non sa realmente discernere lo schermo dalla vita e vive come in un set, da una donna all’altra, da un’avventura all’altra, una toccata e fuga che non gli consentono mai di fermarsi veramente da una parte. I figli e le due mogli di certo ne pagano le conseguenze, costretti a subire quel padre e marito egoista, così narcisisticamente tronfio del suo ruolo e del suo personaggio, da non poter dedicare pienamente se stesso alla famiglia.
Come faceva del resto a tornare alla realtà dopo aver lavorato con mostri sacri come Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi, Totò, Monica Vitti, Claudia Cardinale, Vittorio De Sica, Peter Sellers, Adriano Celentano, Peppino De Filippo, Lando Buzzanca, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Nanni Loy e tanti altri?
La sua storia artistica quindi si confondeanche con la sua storia personale, lui si riscatta da una vita di fame e stenti e ci regala quella faccia che buca lo schermo. Ci lascia la memoria del suo “Capello corvino, sopracciglia cespugliose, baffetto malandrino, mento all’insù come a reclamare una nobile alterigia che il DNA di proletario sardo gli negava”.
Tiberio Murgia “ha clonato Ferribotte centinaia di volte tra parodie, imitazioni, remake fino a svuotare la caricatura d’ogni efficacia”.
Oltre quella maschera c’èla sua vita, fatta di persone normali che lui in qualche modo tradisce, una vita picaresca, una sorta di sceneggiatura da film. Un “poveraccio” che la fortuna rende ricco, ma che per la sua ignoranza e incapacità di gestire il denaro, scialacqua ogni sostanza. Naitza la definisce “Un’esistenza da acrobata, oscillante fra bugie colossali e arte d’arrangiarsi, una figurina del povero meridione d’Italia ustionata dai neon del successo. E, soprattutto, il buffo cortocircuito di chi aveva scambiato, senza volerlo, la vita con il cinema e il cinema con la vita”.
Ne viene fuori un uomo irrigidito dal successo e dalla fama, incapace di dare amore, rispetto e sostentamento ai suoi cari, ma sconfinatamente indifeso e incorrotto nella sua essenza, come un bambino che interpreta costantemente il suo copione di vita senza rendersi conto che il mondo intorno a sé è cambiato e lui ha continuato ad oltranza il suo folle gioco, una figura umana da comprendere ed amare, come emerge dalla bellissima testimonianza di sua figlia Manuela – anch’essa presente all’incontro –che, pur consapevole dei limiti di suo padre,è capace di accettarlo per quello che è e di perdonagli ogni assenza e mancanza.
Il pubblico in sala, tra cui erano presenti i vari attori che gravitano spesso nelle manifestazioni proposte dal Gremio (Alessandro Pala, Francesco Madonna, Vanni Fois e Luca Martella), ha applaudito a lungo dopo la proiezione e si è intrattenuto apprezzando l’interessante scambio con il regista che ha risposto con passione a tutte le domande (prima di cambiare scena verso “i soliti rinfreschi sardi”), ricordando, con evidente emozione, quelle settimane passate accanto a un Tiberio, anziano e malato (la morte lo raggiungerà subito dopo la fine delle riprese), che finalmente “confessava” il suo passaggio umano, con tutti vizi e le virtù di un piccolo, grande uomo, normale e straordinario.