di Valentina Silvestrini
“Comuni in estinzione”: è la definizione con cui 31 paesi della seconda maggiore isola del Mediterraneo sono stati ribattezzati dalla recente ricerca commissionata dal Centro Regionale di Programmazione della Regione Autonoma della Sardegna. Ubicati nell’intero territorio isolano, entro il 2060 dovrebbero essere del tutto privi di popolazione. Questo il dato di partenza di SPOP, un progetto di ricerca promosso dalla Fondazione di Sardegna, nell’ambito della piattaforma AR/S – Arte Condivisa in Sardegna, del quale sono parte attiva diversi soggetti: il collettivo Sardarch – composto dagli architetti Francesco Cocco, Matteo Lecis Cocco-Ortu e Nicolò Fenu – per l’ambito scientifico; l’artista multidisciplinare Gianluca Vassallo per quello, appunto, artistico. A lui si deve un’operazione, che vi mostriamo in anteprima in queste immagini, condotta a stretto contatto con le comunità locali, che confluirà nel progetto espositivo curato da Roberto Cremascoli, architetto e co-curatore del Padiglione Portogallo alla 15. Biennale di Architettura a Venezia. Bortigiadas, Nughedu San Nicolò, Semestene, Giave, Padria, Monteleone Rocca Doria, Esterzili, Ussassai, Armungia e Aidomaggiore sono i territori selezionati e mappati da Vassallo, insieme al fotografo e architetto Nicolò Galeazzi. Al termine di questa intensa azione sul territorio, lo abbiamo intervistato per ripercorrere l’attività svolta e conoscere le prossime fasi di SPOP.
Qual è la genesi di questo lavoro? SPOP è nato nelle nostre teste circa sei mesi fa. Il gruppo di ricerca Sardarch, mi ha contattato proponendomi di realizzare delle immagini per una pubblicazione sul tema dello spopolamento alla quale stavano lavorando. Dalla Fondazione di Sardegna, poco dopo, ho ricevuto la proposta di lavorare a un’opera. Da parte mia, ho cercato di mettere insieme le due idee e il risultato sarà duplice: una mostra e un volume. Come in ciascuno dei lavori che curo, anche in questo caso ho cercato di individuare una modalità per associare le tracce relazionali e la produzione fotografica, favorendo una relazione diretta tra me e le comunità di riferimento.
Dei 31 “Comuni in estinzione” ne hai selezionati 10. In che modo? Il dossier commissionato dalla Regione Sardegna ha definito, attraverso approfonditi parametri, i soggetti prossimi allo spopolamento; ho immesso un nuovo parametro, riconducibile alla superficie effettivamente a disposizione delle persone. A partire da quella che ho identificato come la “circonferenza della solitudine”, ho scelto le 10 comunità: sono convinto che la percezione di essere soli è profondamente influenzata dallo spazio fisico che abbiamo intorno. Nelle ultime due settimane di agosto mi sono messo in viaggio, raggiungendo quotidianamente una comunità. Il metodo si è ripetuto, uguale, in ogni luogo: arrivavo, bussavo alle porte, mi presentavo alle persone, cercavo di entrare nel vivo delle questioni umane, tenendo conto delle loro difficoltà quotidiane e del ridotto tempo a disposizione.
E solo dopo, la richiesta di scattare fotografie… Sì, dopo i primi contatti, iniziavo a girare la città con la macchina fotografica: nelle piccole comunità la notizia della presenza di estranei si sparge in fretta e si è quasi sempre attivato un bel passaparola. In più casi abbiamo notato come si sentissero vivi, importanti, oserei dire “esistenti”. Varcata ogni nuova soglia, scattavo delle foto ed entro le 12.30 di ciascun giorno decidevo quali sarebbero diventate manifesti. Plottate e dunque disponibili in grande formato, queste immagini venivano attaccate ad alcune pareti della città.
La scelta degli spazi in cui collocarle da cosa era dettata? E quali sono state le reazioni? Il tentativo è stato concepire interventi temporanei che tenessero conto di una possibile valorizzazione dei beni architettonici e avessero un potenziale narrativo, tenendo in considerazione l’idea di una nuova fruibilità allo spazio. Nel caso di Patria, ad esempio, il luogo scelto è diventato immediatamente piazza, pur essendo stato, fino a quel momento, uno svincolo. Eppure i volti in grande formato della comunità hanno stimolato tutti a circolare lì e alcune gigantografie sono rimaste oltre il nostro passaggio. Nell’arco della giornata, inoltre, il mio assistente Nicolò faceva delle interviste a tre persone, di diverse età – un anziano, un uomo di mezza età, un adolescente – per testarne il legame con il luogo e per raccogliere le aspettative nell’arco del prossimo ventennio, termine secondo il quale il processo di spopolamento sarà profondamente visibile.
Cosa puoi anticiparci della mostra in apertura a ottobre? Prende avvio da una riflessione legata all’esperienza diretta: quello che ho attraversato non è solo un complesso di paesi che si stanno spopolando. È una sola, grande, città invisibile, circondata dal mare, con minuscole differenze tra le varie comunità. Dovremmo immaginare questi “corpi civili” come una città unica: il percorso espositivo sarà concepito in tal senso, senza restituire le singole realtà, con un riferimento esplicito alle opere di Italo Calvino. Oltre alle fotografie, ci sarà un intervento video, al confine tra cinema di documentazione e video arte. Sandarch sta inoltre raccogliendo una serie di materiali e interventi, relativi a varie aree disciplinari – dalla sociologia all’antropologia, dall’architettura all’urbanistica – attorno al tema dello spopolamento.
Quali saranno gli sviluppi della mostra? I materiali confluiranno in una pubblicazione organica, che, come la mostra, non avrà un tono giudicante. In altre parole non sosterrà che questi territori andrebbero necessariamente salvati, ma non appoggerà neanche la tesi opposta: si porrà come strumento utile al dibattito, con interventi di segno opposto da presentare all’attenzione pubblica. Due, infine, le linee di indagine del programma di incontri parallelo alla mostra: intellettuali e artisti saranno chiamati a discutere dello spopolamento, in termini reali e metaforici, con un approccio scientifico, nel programma a cura di Sandarch. Nel palinsesto curato da Roberto Cremascoli e dal sottoscritto, convergeranno interventi di arte pubblica concepiti in varie parti del mondo a partire da elementi di criticità di specifici territori.