IL XXIV “COMPASSO D’ORO” DELL’ASSOCIAZIONE PER IL DISEGNO INDUSTRIALE A MILANO: IL DESIGNER JACOPO RUGGERI TRA I FINALISTI

ph: Jacopo Ruggeri


di Sergio Portas

Un bel po’ di Sardegna quest’anno nel premio che, ogni due anni, consacra il successo nel campo mondiale del design: il compasso d’oro che l’ADI, l’associazione per il disegno industriale, assegna dopo una selezione che vede alla partenza parecchie centinaia di “segnalazioni” fatte da giurie superqualificate che operano in tutto il territorio nazionale. E’ uno di quei campi, il design, in cui questo nostro sgarrupato paese diventa faro per il restante dell’umanità tutta. Come se nel suo DNA (tutti i popoli del mondo ne hanno uno diverso) non avessero mai dormito del tutto quei geni che un tempo sfornavano artisti nelle botteghe fiorentine e venete e  lombarde, i cui quadri e gioielli e armature di guerra si vendevano, a caro prezzo, nelle corti cinquecentesche d’Europa. L’ADI (fondata a Milano nel 1956) riunisce e rappresenta i principali protagonisti del sistema del design italiano, una galassia in cui ruotano pianeti e sistemi stellari fatti di imprese, distributori, scuole e università, critici e giornalisti, e una miriade di enti e associazioni. E anche un bel mucchio di soldi che aiutano a tenere su PIL e bilancia commerciale italiana, design e “made in Italy” sono sinonimi. A sentire i protagonisti premiati ci vuole poco per partire, in genere una matita copiativa e un foglio bianco, poi occorre che l’idea che prende forma tra le sinapsi dei neuroni si lasci dispiegare dallo scorrere della grafite appuntita e il gioco è fatto. Al centro di tutto è l’uomo che opera, che crea. Ben piantato nel contesto socio-economico in cui vive, conscio che il suo operare è nel solco dell’innovazione tecnologica e, oggi sopratutto, attento a ogni tipo di risparmio e riciclo sotteso alle problematiche ambientali ineludibili e sovrastanti. Ci vogliono poi, è ovvio, imprenditori che si impegnino a perseguire i valori di questa estetica industriale, che rimane protagonista di una cultura del progettare tutta particolare, che deve essere supportata in sede di produzione e distribuzione fino a raggiungere il consumatore finale. Numerosissimo il più delle volte, il successo nel nostro tempo è scandito dai “mi piace” di facebook, ma non necessariamente è così sempre. Della Ferrari FXX K che ha disegnato Flavio Manzoni e per cui ha vinto il suo secondo compasso d’oro,ne hanno messe in produzione, ahimè, solo 40 esemplari, e dire che stavo facendo un pensierino a cambiare la mia “vecchia” Punto del 2003, altro ostacolo non indifferente sono i 2,5 milioni di euro che servono sull’unghia per farsela portare in garage. Comunque non c’è niente da fare: sold aut, tutte vendute, come fossero biglietti del concerto di Bob Dylan, bisogna prenotare per tempo, che i milionari cinesi crescono oramai come funghi e i petrolieri del golfo non conosco vere recessioni da mai. Flavio deve il suo cognome, che più lombardo non si può, a un bisnonno che approdò per mestiere di armi alla Maddalena, dove è nato anche il babbo di lui Giacomo, la mamma Francesca Marras è di Nuoro e lì sono nati, oltre a lui che è del ’65, anche il fratello Maurizio, designer di mobili, e Cristiano pianista concertista. La sorella Monica è, meno male, impiegata al Comune , la qual cosa ce la rende chissà perché molto simpatica: finalmente in famiglia una che fa un lavoro “normale” (perdonate l’invidia!). Anche Flavio ama la musica e pare se la cavi molto bene al pianoforte, musica e disegno doni, a sentir lui, di babbo Giacomo, che pur con diploma di geometra amava trasformarsi in architetto. Lui elementari Podda a Nuoro, poi liceo scientifico e laurea in Disegno industriale a Firenze. Le macchine gli piaceva disegnarle fin dai 16 anni, primi anni di lavoro in Lancia, poi alla Seat  e al centro Stile Fiat, nel 2006 grande salto a Wolfsburg, bassa Sassonia, regno Volkswagen: direttore di un team di quattro marchi: Volkswagen, Skoda, Bentley e Bugatti, quattrocento persone. Davvero numerosissime le macchine che ha disegnato. Dal 2010 è direttore del Design Ferrari e anche del Centro Stile creato per la prima volta dalla casa di Maranello. Primo Compasso d’oro ADI nel 2014 per il progetto F12 Berlinetta. Oggi qui a Milano,a palazzo Isimbardi, già sede della provincia, se ci fate un salto non perdetevi il dipinto del Tiepolo in sala Giunta, è in completo blu ma senza cravatta, un sorriso davvero simpatico mentre ritira il dorato compasso, il nome “Ferrari” scatena tifo e applausi da stadio essendo il cavallino rampante, dopo la nazionale di calcio, il grande amore dell’italico polpolo. Hanno sfiorato il prestigioso premio, entrando però nei finalisti, sia Gabriele Cossu che Jacopo Ruggeri. Cagliaritano il primo e guspinese il secondo, Cossu lascia la Sardegna “sua terra di partenza e di sicuro ritorno” per laurearsi nel 2003 al Politecnico di Torino, anche lui inizia con le macchine: quelle giocattolo “toys-design”, macchinine, un mondo incredibile fatto di tante variazioni sul tema, dal giocattolo classico a quello educativo, a quello in legno. La Nuova Faro dove lavora è un classico made in Italy: azienda che pensa, disegna e produce l’80/90% di ciò che commercializza. A 27 anni è alla Bormioli, per loro disegna teiere, tazze per infusione, tazzine, realizzate poi in vetro borosilicato (quelle delle provette di laboratorio chimico). Disegna linee di prodotti che si chiamano Nettuno e Cassiopea. Ma finisce nella cerchia del compasso d’oro per una linea di cioccolatini, con Piergiorgio Carrozza fonda Officina Quack che , tra le altre cose, inventa Shockino Stampo per Cioccolatino, che era in corsa nella categoria “Food Design”per il brevetto: un kit dove il consumatore, mai termine fu più appropriato, trova la materia prima per assemblarsi il cioccolatino che più gli aggrada. Uno stampo modulare formato da tre componenti concentriche, una base, un anello esterno ed un perno disponibili in vari tipi di cioccolato e poi granella e canditi e noci di Sorrento. Gioielli di cioccolato che naturalmente si vendono su internet. Terzo e più giovane dei moschettieri sardi è Jacopo Ruggeri, in assoluto il più giovane dei designer menzionati qui al 24° compasso d’oro, con lui c’è mamma Daniela Ducato, mi dice di quanto sia fiera di questo figliolo (lui si schernisce ma noi lo scriviamo lo stesso) che a soli 21 anni fa parte del team Edimare (guida: Simona Ortu, ingegnera guspinesa) in qualità di designer dei Materiali e dei Sistemi tecnologici. Jacopo fa oramai integralmente parte della “Banda Ruggeri”, guidata oggi da mamma Daniela e papà Oscar, al timone di comando di quella che era la goletta Edilana ma che si sta lentamente trasformando in una super corazzata. Tutto iniziò con l’idea di utilizzare la lana della pecora sarda come materiale di coibentazione, un elemento che più naturale non si può. Certificata, tracciabile, “cruelty free”, considerata prima “rifiuto speciale” e quindi prodotto difficile da portarsi in discarica. Oscar e Daniela hanno messo su un’azienda che fa della ricerca a stampo ecologico il tratto distintivo, la priorità assoluta, dove il rifiuto dei prodotti derivanti dal petrolio è diventata scelta etica. Nell’ottica di salvaguardare un pianeta che l’animale uomo si sta letteralmente mangiando. E nell’intento di diminuire, limitare, il grado di inquinamento ambientale che il sistema di produzione dei beni, oramai globalizzato, sforna giorno dopo giorno. A New Delhi, dove hanno ricevuto l’ennesimo premio per i bio materiali che usano, tanto innovativi da essere inseriti tra i venti apripista dell’ultimo decennio, c’erano oltre duemila tra imprenditori, associazioni e istituzioni di 108 nazioni, mi dice Daniela, bisogna girare con la maschera sul viso, tanto è soffocante l’inquinamento atmosferico. Jacopo è venuto su con questi valori, barba e capelli ben curati, maglietta e calzoni neri, sorriso dolce, è un po’ che lo incrocio alla corte di mamma Daniela, alla Triennale nel 2011 i premi li consegnava Filippa Lagerback, era ancora al liceo classico, andava in vacanza a Shanghai e studiava il cinese. L’anno scorso per Expo,
il giorno dedicato alla Sardegna, era tutto intento a portare avanti il progetto “social carpet”, il tappeto di lana di pecora di ventidue metri che , partito dall’isola dove in migliaia avevano contribuito a comporlo, era completato da innumerevoli visitatori che ne rimanevano abbagliati e stupiti al medesimo tempo. Chiedo a Jacopo se lo vedrò in Sardegna quest’estate ma mi dice che con molta probabilità sarà impegnato nell’università svizzera in cui studia, a Mendrisio, le vacanze più in là. Un vero cavaliere jedi dei nostri tempi. Mi ero ripromesso di farmi dire da lui se trovasse il tempo per le cose dell’amore, tra lo studio della posidonia marina, la ricerca di un biglietto aereo Svizzera-Sardegna (pare sia roba impossibile), il ripasso di quei trentamila caratteri cinesi con cui un vero gentiluomo si relaziona coi suoi amici di Pechino. Ma qui si mettono a distribuire premi alla carriera a dodici emeriti dell’Italia design, ognuno con motivazioni appropriate, da Luciano Benetton al giapponese Makio Hasuike,  all’undicesimo, confesso, ho tagliato la corda.

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