Il dono di Giorgia. Una corsa per i ponti di Londra per la ricerca sulle malattie renali. Domenica 3 luglio, un piccolo gruppetto di persone camminerà e correrà sul London Bridge, il più famoso ponte di Londra, per sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere fondi per la ricerca sulle malattie renali. Promotrice dell’iniziativa è Giorgia Serra, una giovane donna di 26 anni, oristanese di nascita e londinese di adozione che dal dicembre 2014 vive con un rene donatole dalla madre. Furono proprio le sue condizioni di salute e la possibilità di avere una migliore qualità di vita, a spingere la sua famiglia a trasferirsi a Londra quando lei aveva appena 5 anni. Accanto a lei: Rosanna, sua madre; Nicola, il suo compagno di viaggio, come lei lo definisce, e la sua cara amica Lizzi. Insieme, uniti da un atto d’amore, percorreranno 7 chilometri. Non molti se paragonati a una maratona, ma tantissimi per Giorgia, a cui l’aggravarsi della malattia negli ultimi mesi che precedettero il trapianto, impediva anche di camminare. La storia di Giorgia è una storia molto simile a quella di tante altre persone che soffrono di malattie renali; la sua ha avuto un esito positivo grazie alla generosità e al grande amore della madre, ma quali sono le prospettive per tutti gli altri? Qualcuno potrebbe fare delle obiezioni – “ Ma che può interessarci, lei vive a Londra non a Oristano”, oppure – “E chi mi dice che la mia donazione andrà veramente investita nella ricerca sulle malattie renali?” Giuste considerazioni, ma prima di prendere qualsiasi decisione, ogni cosa va vista da diversi punti di vista e, soprattutto, va compresa. Chi scrive, ha vissuto di persona, fin dall’inizio, l’iter della malattia di Giorgia, la sofferenza dei genitori, dei familiari, della sorella Valentina, di appena 3 anni più grande, e ha visto quanto coraggio, amore e disponibilità ha fatto emergere nelle persone vicine. Quando nacque, Giorgia era una bambina molto bella con dei grandi occhi neri che ti guardavano come se volessero scrutarti dentro. Si aveva l’impressione che niente sfuggisse ai suoi occhi che sembravano riflettere una grande profondità e una visione adulta della vita. Era come se lei conoscesse qualcosa che a noi sfuggiva. Devo dire che questa mia impressione ha avuto modo di trovare conferma già nei suoi primi anni di vita. Era una bambina buona, tranquilla, mangiava e dormiva, eppure, già dal primo mese si notò che lei non cresceva a sufficienza. Poco prima del compimento del secondo mese, la situazione si aggravò: la sua pelle e il suo corpo sembravano avvizzire e le sue reazioni agli stimoli esterni erano sempre più assenti. La bambina e la madre ritornarono in ospedale: non più la felicità della nascita, ma l’insicurezza e la sensazione di qualcosa di grave. Nonostante le cure, le sue condizioni peggioravano a vista d’occhio e le speranze di vederla migliorare si affievolivano di giorno. Tra i numerosi medici che assistevano Giorgia, c’era una dottoressa che aveva per la bambina una particolare predilezione. Non abbandonò mai la speranza, non si arrese. Quella bambina così piccola aveva toccato particolarmente il suo cuore: i suoi occhi sembravano chiederle di salvarla. E lei continuò a cercare finché trovò la risposta giusta. Appena in tempo: la bambina non rispondeva più a nessuno stimolo e stava per entrare in coma. Fu una corsa contro il tempo verso l’ospedale Brotzu di Cagliari, dove mamma e figlia vennero ricoverate nel reparto pediatrico. Qui si ebbe la conferma della malattia che la dott.ssa aveva individuato: Sindrome di Bartter, malattia molto rara (colpisce ogni anno 1 persona ogni 1.000.000), che provoca un difetto di riassorbimento del sodio, del cloro e del potassio con conseguenze gravi sui reni. Tra le conseguenze del malfunzionamento renale vi sono la disidratazione, difficoltà nella crescita e poca resistenza alle malattie. In alcuni casi, se non riscontrata in tempo, può portare a una grave disidratazione con conseguenze mortali. Giorgia e la madre rimasero in ospedale per ben 75 giorni. Come spesso accade in queste situazioni, tutti furono coinvolti, ma fu sicuramente Valentina, la sorella, a sentire maggiormente l’impatto della mancanza della madre. Nonostante avesse poco più di tre anni, affrontò tutto con molto coraggio e maturità, quasi capisse la gravità della situazione. Chiedeva il motivo della mancanza della madre, ma non si lamentava e cercava di non mostrare il suo dolore. Lei fu sempre molto protettiva e dolce con la sorellina più piccola.
Il rientro a Oristano segnò per Giorgia, la madre Rosanna, il padre Antonello e la sorella Valentina l’inizio di un percorso difficile. La piccola doveva assimilare oralmente ciò che i reni non assorbivano. Ogni giorno, in ogni pasto, dovevano essere aggiunte 6 fiale di sodio e 6 di potassio. Non esisteva un’alternativa. E qui emerse la grande forza, il coraggio e la determinazione di sua madre. Utilizzava qualsiasi strategia per convincere Giorgia a mangiare la sua pappa da cui dipendeva la sua vita. Io ero spesso presente e in uno di questi momenti volli assaggiarla: era veramente immangiabile. L’inverno era il periodo peggiore: raffreddori e influenze potevano rappresentare un pericolo. Fu così che, quasi periodicamente, figlia e mamma passavano diverse settimane nel reparto pediatrico dell’ospedale di Oristano. Valentina, la sorellina, rimaneva sola e tutti noi cercavano di farle comprendere che la madre non l’aveva abbandonata e colmavamo il suo vuoto con il nostro amore. Fortunatamente, il mare e il sole erano un vero toccasana per Giorgia che si nutriva dell’energia della natura diventando più robusta e più resistente.
Io ero molto vicina alle due bambine, le adoravo e avevo con loro un rapporto speciale.
Giorgia era una bambina dotata di un grande spirito di osservazione: intuitiva, riflessiva, faceva tesoro di ogni esperienza e apprendeva con grande facilità. Aveva poco più di tre anni, quando mi rivolse una domanda che mi lasciò senza fiato. Si trovava, come spesso accadeva, nella mia casa assieme alla sorella. Si giocava, si parlava, si rideva: tra di noi esisteva una grande complicità e e ci si divertiva tantissimo. Improvvisamente smise di ridere, stette in silenzio, poi, con grande serietà, mi chiese se poteva farmi una domanda. Risposi che avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa. Si sedette di fronte a me, mi guardò dritta negli occhi – “Perché io sono nata così?” mi chiese. In quel momento i suoi occhi non erano più quelli di una bimba, ma rivelavano la presenza di un essere adulto, di grande profondità e spessore. Il mio cuore si fermò per un attimo e in quell’attimo scelsi di risponderle col cuore, così come avrei fatto con un adulto. Le dissi quello che sentivo e in cui credevo fermamente. Lei mi ascoltò con grande interesse come se conoscesse già la risposta, poi, fece un grande respiro, si rilassò e aggiunse: “Ora ho capito!” Giorgia cresceva e desiderava ardentemente frequentare la scuola materna assieme alla sorella, ma questo non sarebbe stato possibile. Doveva stare attenta a non muoversi troppo, a non stancarsi, a non prendere freddo e, situazione ancora più condizionante, non avrebbe potuto mangiare con i suoi compagni. Aveva quasi 5 anni, quando l’intervento di un vecchio amico di famiglia che viveva a Londra, cambiò completamente la sua vita e quella dei suoi familiari. Venuto a conoscenza della situazione di Giorgia, s’informò e scoprì che a Londra venivano prodotti degli sciroppi al gusto di frutta che avrebbero potuto sostituire le odiate fialette, permettendo così a Giorgia di condurre una vita normale. A Londra è presente uno dei più più importanti ospedali a livello europeo per la cura delle malattie renali e il Centro Kidney Research, uno dei punti di riferimento per la ricerca e la cura delle patologie renali a livello mondiale. Si fece la richiesta per l’invio delle medicine che avrebbero cambiato la vita di Giorgia, ma le regole sanitarie del nostro paese ne impedirono l’invio in Italia. Non ci furono dubbi: la decisione di trasferirsi a Londra fu immediata. Dopo pochi giorni, Giorgia e la sua famiglia lasciarono casa, amici, parenti per andare incontro a un’altra vita. Valentina, la sua sorella di 8 anni, si trovò sradicata dalla scuola che frequentava a Oristano e iscritta in una scuola londinese. Non conosceva la lingua, non aveva amici, non aveva zii e nonni che la coccolavano. Per mesi andò a scuola tutti i giorni: non parlava, non capiva, soffriva la mancanza dell’affetto dei suoi cari. Fu per lei un grande trauma, ma aveva una fibra forte, come la sorellina, come la madre e il padre. Dopo 8 mesi cominciò a parlare e diventò la più brava della classe. A Londra, Giorgia venne sottoposta a numerosi esami e le venne diagnosticata un’altra malattia: la Sindrome di Gitelman. Anch’essa molto rara, con un caso ogni 40.000 individui, è una delle malattie tubulari renali ereditarie più frequenti, i cui sintomi non compaiono prima dell’età di sei anni (tra gli effetti: debolezza muscolare e tetania, in associazione a volte con dolori addominali, vomito e febbre, fragilità degli arti, pressione sanguigna più bassa di quella della popolazione generale e, in alcuni casi, arresto cardiaco). Mi sono sempre chiesta se quella risposta che le diedi quel giorno, la portò a accettare, a soli 5 anni, un’altra malattia che complicò ulteriormente la sua vita e quella della sua famiglia, fino a quando non mi trovai di fronte a un’altra domanda. Mi trovavo a Londra, in uno dei miei tanti soggiorni per stare vicino a coloro che amo tanto e che avevo potuto avere vicino a me solo per pochi, ma preziosi anni. Giorgia aveva 7 anni e frequentava la scuola con grande partecipazione e con discreti risultati in tutte le materie o, almeno, così sapevo. Era un pomeriggio di un fine settimana, io lei e Valentina parlavamo di tante cose. Tra noi c’era la stessa complicità e sintonia di sempre: si rideva, si scherzava e si giocava. Improvvisamente vidi Giorgia diventare molto seria, mi guardò e, così come quel giorno a Oristano, mi disse che avrebbe voluto chiedermi qualcosa. “Sai zia…” mi disse con quella pronuncia dolce della z che usava sin da quando era piccolissima. “Non so perché ma la matematica non mi entra in testa. Forse è la mia malattia, perché io so che non fa funzionare bene il cervello e non fa ricordare le cose. Per questo io non mi ricordo di niente. Tu hai aiutato Valentina, ma non so se riuscirai a aiutare anche me.”A dire il vero, uno degli effetti collaterali della sua malattia natale, è proprio un ritardo nella crescita che io riscontrai personalmente in un ragazzo di circa 15 anni che ebbi modo di conoscere. In questo caso posso affermare che il ruolo della madre Rosanna fu per Giorgia di vitale importanza. Lei non diede mai peso alla sua malattia e la considerò sempre una bambina normale, comportandosi di conseguenza. Non è facile rimanere apparentemente incrollabile di fronte alla tua bambina di pochi anni che ti supplica, piangendo disperatamente, di non farle mangiare “quella pappa”. E punirla per un suo comportamento scorretto. Ciò che noi pensiamo e sentiamo genera un bagno vibrazionale che modifica le persone che ci stanno vicine. E Giorgia divenne forte, attenta e consapevole della sua normalità, ma nella sua esperienza scolastica londinese, qualcosa aveva fatto presa su di lei facendola dubitare. In poche ore, Giorgia s’impadronì di un metodo semplicissimo e intuitivo di calcolo matematico che io avevo imparato durante i miei anni di studio. I calcoli matematici non furono più un problema per lei, anzi divenne una delle più brave della sua classe e, da adulta, un valido aiuto nell’attività imprenditoriale di famiglia proprio per la sua competenza nella contabilità. La sua vita a Londra fu certamente più facile che nella sua città natale, lei crebbe con più sicurezza e serenità anche se il pericolo di ricadute era sempre in agguato. Allegra, amante del ballo e della musica, forte e determinata, concluso il percorso scolastico, s’iscrisse al Corso di laurea in Scienze Infermieristiche e nei suo momenti liberi dava una mano nel ristorante di famiglia. Tutto sembrava procedere secondo il suo progetto di vita: ottimi risultati nello studio, la stima dei professori, dei medici, dei clienti del ristorante e l’amore del suo compagno di viaggio, come lei lo definisce. Nell’inverno del 2013, Giorgia venne ricoverata d’urgenza in ospedale dove rimase per una settimana in condizioni gravissime. Le venne diagnosticata un’altra rara malattia: la glomerulosclerosi. Malattia rara (7 casi ogni 1.000.000 individui), causa la necrosi dei reni con conseguente insufficienza renale grave, dialisi e necessario trapianto. Da quel momento, la sua vita cambiò: fu costretta a interrompere il tirocinio pre laurea, non poté più lavorare né muoversi come prima, mentre i ricoveri divennero più numerosi. Il numero delle medicine aumentò esponenzialmente causando gravi conseguenze a tutto l’organismo. Nel giugno del 2014, la sua situazione si aggravò ulteriormente e venne ricoverata per l’ennesima volta. La diagnosi non lasciava alternative: la dialisi e, in tempi brevissimi, il trapianto renale. Molte volte noi abbiamo la sensazione di avere un compito nella nostra vita, un fine per cui siamo nati. Ne sentiamo la presenza, ne percepiamo l’importanza, ma non ne conosciamo lo scopo, fino a quando non accade quel “qualcosa”. In quel momento, ogni dubbio scompare e noi accettiamo lo scopo per cui siamo nati. Sono state queste le parole della madre Rosanna, l’unica, tra tutti i familiari sottopostisi alle analisi, compatibile con Giorgia. Fu una corsa contro il tempo mentre la situazione di Giorgia si aggravava sempre di più. Cominciò
la dialisi ma le sue forze diminuivano progressivamente e le continue trasfusioni non erano sufficienti a sopperire alla sua grave anemia. Era necessario normalizzare la sua condizione per poter eseguire il trapianto, a cui si aggiungeva il rischio di un rigetto del rene proprio a causa del suo stato di salute, di cui lei era profondamente consapevole. In quel lungo viaggio nei mesi che precedettero il trapianto, il suo fidanzato Nicola (ecco perché lei lo definisce “il suo compagno di viaggio”) le fu sempre vicino, anche quando lei era sfinita, stanca e tesa per la continua sofferenza, di cui peraltro non si lamentava mai. Finalmente, il 27 dicembre 2014, nello stesso giorno, la madre donò il suo rene sinistro alla sua secondogenita, quasi una seconda vita. Il 20 ottobre del 2016, Giorgia si è laureata col massimo dei voti in Scienze Infermieristiche. Oggi lavora nel reparto di Dermatologia dello stesso Ospedale in cui è stata operata. Ha comprato casa col suo compagno Nicola e continua a offrire il suo contributo nel ristorante di famiglia. Per la prima volta, assapora la Vita. Ma lei sa che tutto questo è stato reso possibile grazie alle continue ricerche che da anni la Fondazione Kidney Research Uk porta avanti nel Regno Unito. Ne è consapevole e, come profondo ringraziamento, Lei vuole contribuire con un suo Dono d’Amore: una passeggiata lungo il London Bridge per raccogliere fondi per la ricerca. Con lei, coloro che l’hanno sostenuta nel suo lungo viaggio verso un Nuovo Futuro. Circa 60.00 persone con insufficienza renale sono vive grazie al contributo della ricerca di Kidney Research Uk (www.kidneyresearchuk.org) che opera nel Regno Unito ma i cui risultati vengono pubblicati e applicati in tutto il mondo. Nel Regno Unito avvengono 3.000 trapianti di rene all’anno e circa 5.500 persone rimangono nella lista d’attesa. L’insufficienza renale è mortale senza dialisi o trapianto. Giorgia è la mia seconda nipote. Lei mi ha insegnato tanto, così come Rosanna, sua madre; Antonello, suo padre; Valentina, sua sorella. E questa StoryTelling è il mio dono.
P.S.: Se voleste contribuire, potete entrare nella mia pagina Facebook https://www.facebook.com/antonietta.serra1 dove troverete il post di Giorgia. Entrate e seguite le indicazioni, o linkate direttamente: https://www.justgiving.com/fundraising/sidney-the-right-kidney?utm_source=facebook&utm_medium=socspondesktop&utm_content=sidney-the-right-kidney&utm_campaign=post-sponsorship-donation-desktop.
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