di Patrizia Boi
Per chiudere la 1° parte della stagione 2016 degli eventi organizzati dal Gremio dei Sardi di Roma, l’Associazione ha promosso, sabato 18 giugno 2016 nella sua Sede, un incontro di giovani e vecchi talenti sardi subito dopo lo svolgimento dell’Assemblea dei soci convocata per l’approvazione delle modifiche statutarie e per il rinnovo elettivo degli organi sociali.
Ideata, presentata e coordinata dall’inesauribile presidente Antonio Maria Masia, la serata, intitolata, Raighinas (Radici), ha proposto una passerella di grandi personaggi del passato, interpretati da altrettanti talenti del presente.
Apre la giornata, in sala Italia stracolma di soci e amici del Gremio, una brevissima proiezione di “Sardegna quasi un Continente”, tratta dal documentario RAI del 1961 in 4 puntate ispirato dal capolavoro omonimo di Marcello Serra, un poderoso volume pubblicato nel 1959. Il giornalista, poeta di cui ricorrerà ad agosto il 25° della scomparsa, collaboratore Rai a Cagliari e del quotidiano L’Unione Sarda, ha contribuito a diffondere un’immagine della nostra terra: “La Sardegna … ha conservato i profili e le prospettive delle sue origini nella forma aspra e frastagliata delle sue coste. L’assalto del mare e del vento hanno appunto ricamato le sue coste e sagomato la sua natura”. Il documentario propone, infatti, un poetico viaggio nelle origini antiche e nel presente dell’Isola. Le musiche sono di Ennio Porrino autore, tra l’altro, del dramma musicale ,“I Shardana” http://tottusinpari.blog.tiscali.it/2015/12/10/i-shardana-mito-sogno-o-realta%E2%80%99-incontrodibattito-a-roma-con-il-gremio-dei-sardi/ .
Grazia Deledda, Maria Carta, Antonio Gramsci, Enrico Berlinguer, Emilio Lussu, Sebastiano Satta, Salvatore Satta, Marcello Serra, Ennio Porrino, Venerabile Elisabetta Sanna, Beata Maria Gabriela Sagheddu, sono radici che affondano le loro qualità nella terra per restituirci quella conoscenza antica utile a far fiorire nuovi talenti.
Raighinas sono le poesie (lette dall’autore) Il mio sogno, Nelle acque più chiare, Le mie radici tratte da “I Silenzi di Pietra” di Masia, un invito all’ascolto dei grandi silenzi dell’Isola, dove le pietre antiche, i graniti dipinti dal vento, i giganti di pietra che preservano l’identità di noi stessi, urlano i loro segreti al mondo di oggi, svelando i misteri celati nei nuraghi, nelle tombe, nei fiori selvatici “nei contorti ginepri sabbiosi/nei lecci solenni ed ombrosi”, rivelando “il groviglio tribale di lunghe vendette”.
Dopo il soffio sottile e suggestivo di queste poesie, le sorelle Sabatini suonano una loro composizione musicale (pianoforte, violino) dedicata alla Venerabile Elisabetta Sanna, dove le corde del violino di Rafaela trasportano lo spettatore verso “ottave superiori” nel loro raffinato dialogo con il tocco dell’archetto.
Elisabetta Sanna nasce a Codrongianos (Sassari) il 23 aprile 1788. A tre mesi perde la capacità di sollevare le braccia, eppure si sposa e alleva cinque figli. Dal 1925 diventa vedova e decide di fare voto di castità, facendo della sua casa un piccolo oratorio per riunirsi in preghiera, dove lei vive come una monaca e così è chiamata con rispetto: “sa monza”. In questi anni, compone in dialetto logudorese una bellissima lauda, che sarà cantata a lungo a Codrongianos: “Deus t’apo in coro e in mente, pro chi m’at tropu istimadu, ti est su coro meu presente, sia drommidu o ischidadu.. Dio ti ho nel cuore e nella mente, perché troppo mi hai amato, il mio cuore ti è presente, che io dorma o sia sveglia …”.
È stata la madre spirituale delle ragazze e delle donne della sua terra. Morta a Roma nel 1857, dove si era spostata sarà beatificata nel prossimo settembre presso la basilica della Santissima Trinità di Saccargia a Codrongianos.
Saccargia, non è una scelta casuale, è un altro capolavoro della Sardegna, per il suo ergersi all’improvviso, solitaria, in un luogo inaspettato. La sua immagine appare misteriosa al viaggiatore, attratto dal campanile svettante nella campagna e dalle bianche colonne del portico, dai sette archi a tutto sesto e dai capitelli decorati da quattro figure alate e da quattro figure mostruose. È come un richiamo alle nostre più profonde Raighinas, al mistero della nostra Isola bianca e immacolata, distesa verso il cielo, da un lato, e ai suoi peccati nascosti in quelle figure mostruose che ne richiamano la memoria del lutto, dall’altro lato.
E per tornare al tema del silenzio, è il momento di un altro straordinario personaggio, Sebastiano Satta, rappresentato dall’attore Alex Pascoli, dal nome eloquente del suo illustre antenato, che legge, con una personale a intensa interpretazione, le poesie Banditi, Il poledro, Ditirambo di giovinezza, Il ritorno. Pascoli evoca quello dei due Satta nato a Nuoro nel 1867. Figlio di un giurista di cui segue le orme, nonostante lo abbia perso a soli 5 anni. Allevato con sacrificio da una madre (sola/ e triste come l’aquila selvaggia/che nutre i figli sulla rupe) insieme a suo fratello, nel 1908, si ammala. È costretto a lasciare l’attività forense per una paralisi che gli impedisce di parlare, ma resta lucido nella sua capacità intellettuale e può quindi osservare con spirito critico i vizi e le virtù del popolo barbaricino (Incappucciati, foschi, a passo lento/ tre banditi ascendevano la strada).
Dopo Pascoli è il turno di Neria De Giovanni, stimata saggista italiana, autrice di quasi 40 volumi tra saggistica e prosa letteraria, esperta sul Premio Nobel Grazia Deledda, a cui ha dedicato 12 volumi. Neria legge con trasposto ed emozione un suo brano tratto dall’ultimo libro dedicato alla Deledda, dove, immedesimandosi nella scrittrice, svela i retroscena del suo successo, le invidie dei colleghi, le maldicenze del suo paese, i dispiaceri e le delusioni di una vita felice e forte, comunque, delle sue scelte.
Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, nata a Nuoro nel 1871, insignita del Premio Nobel per la letteratura nel 1926, considera l’italiano una lingua non sua e l’Italia una civiltà distante da quella sarda. Tuttavia rappresenta un ponte tra queste due realtà, mettendo in comunicazione con il resto del mondo le sue storie nuoresi fatte di intrecci d’amore, sofferenza e morte, che riecheggiano quel senso di colpa e del peccato tipico delle vicende dell’Isola. Profondamente legata alle sue Radici, alla cultura sarda e alle tradizioni della Barbagia, la Deledda racconta la sua terra, le sue genti, la saggezza dei popolani, paragonata al verismo di Verga e a scrittori russi come Tolstoj. I suoi romanzi e racconti hanno reso famosa la Sardegna nel mondo. Fra i più noti: Elias Portolu (1903), Cenere (1904), L’Edera (1908), Sino al confine (1910), Colombi e sparvieri (1912), Canne al Vento (1913), L’incendio nell’oliveto, (1918), La madre, (1919), Il Dio dei venti (1922). Da Cenere è stato tratto un film interpretato da Eleonora Duse. È rimasta incompiuta la sua ultima opera autobiografica, Cosima, quasi Grazia. Da essa è tratta la seconda lettura, la straordinaria novella Il Muflone, le cui sfumature e metafore sono sottilmente trasmesse dal recital di Neria che, con il suo impegno in favore delle donne, con i suoi studi, con la spinta a rendere nota al mondo l’opera della scrittrice, ne fa una gemella, quindi, “Neria, quasi Grazia…”
A questo punto entra in scena l’attore Daniele Monachella che ci offre un brillante ed appassionante saggio del suo spettacolo “Un Anno sull’Altopiano” di Emilio Lussu, portato in scena con successo in molti teatri italiani.
Nato ad Armungia nel 1890, Lussu è uomo d’azione e di pensiero, politico e scrittore. L’Opera rappresentata è un libro di memorie, ambientato sull’altopiano di Asiago, e secondo Mario Rigoni Stern, «Tra i libri sulla Prima Guerra Mondiale Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu è, per me, il più bello».
Lussu, che pure era stato un acceso interventista e si era battuto con grande coraggio durante tutta la guerra, assume un atteggiamento fortemente critico nei confronti dei comandi militari dell’epoca. E questo è evidente nella interpretazione di Monachella. Il libro racconta l’irrazionalità e insensatezza della guerra, della gerarchia e dell’esasperata disciplina militare di quei tempi e Daniele lo evidenzia con ironia e sarcasmo facendo interagire Emilio con l’assurdità dei comandi. Lussu è tra i fondatori del Partito sardo d’Azione movimento che pone al centro della sua azione la “questione nazionale sarda”.
Segue l’attore sardo Vanni Fois, interprete di ruoli chiave in molti importanti film, tra cui Il figlio di Bakunin, a rappresentare Antonio Gramsci, attraverso la lettura di alcune sue lettere alla famiglia.
Si tratta di un uomo di grande statura umana e intellettuale, esempio di impegno, dedizione e sacrificio. Nato ad Ales nel 1891 e morto a Roma il 27 aprile 1937, lo ricordiamo per essere stato un politico, filosofo, giornalista, linguista e critico letterario italiano, ma soprattutto perché nel 1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia e fondatore del giornale L’Unita.
È considerato oggi uno dei più importanti pensatori del XX secolo.
Come affermò Palmiro Togliatti al Convegno di studi gramsciani del 1958 «fu un teorico della politica, ma soprattutto fu un politico pratico, cioè un combattente».
Nei suoi scritti, tra i più originali della tradizione filosofica marxista, Gramsci analizza la struttura culturale e politica della società.
Elabora in particolare la «quistione» degli intellettuali e il concetto di «egemonia», secondo il quale le classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l’obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le classi sociali, comprese quelle subalterne.
Ci ha lasciati i suoi 33 Quaderni del carcere, pubblicati dall’editore Einaudi – unitamente alle sue Lettere dal carcere indirizzate ai famigliari – in sei volumi, ordinati per argomenti omogenei, con i titoli: 1) Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, nel 1948; 2) Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, nel 1949; 3) Il Risorgimento, nel 1949; 4) Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno, nel 1949; 5) Letteratura e vita nazionale, nel 1950; 6) Passato e presente, nel 1951.
L’attore algherese Alessandro Pala Griesche legge un brano tratto dal romanzo Il Giorno del Giudizio, di Salvatore Satta. Si tratta di uno dei più grandi giuristi italiani – immensa la sua opera sulla procedura civile -, nato a Nuoro nel 1902. Si deve alla sua famiglia se Salvatore è conosciuto anche come romanziere. Dopo la sua morte, tra le vecchie carte del giurista, è stato scoperto il dattiloscritto de “Il giorno del giudizio”, romanzo, pubblicato postumo nel 1977, tradotto in diciassette lingue, che svela i caratteri umani e psicologici di alcuni personaggi di Nuoro ormai defunti.
«In questo tratto pianeggiante si raccoglieva naturalmente tutta Nuoro… E di qui dovevano passare, al mattino, tutti quelli che andavano dal dio Terragnolo che era il Tribunale, o dal dio anfibio che era la Chiesa, enorme, sproporzionata…».
Il romanzo è pervaso da una sorta d’amarezza latente che fa risaltare prima di tutto gli aspetti tragici o grotteschi della vita individuale e collettiva.
Il protagonista è un’anima aristocratica che si arrende al nichilismo e alla mancanza di senso dell’esistenza, in cui i destini degli individui, giovani e vecchi, ricchi e miserabili, intellettuali e matti del villaggio che siano, si intrecciano e si esauriscono nell’inevitabile conclusione comune a tutti: la morte. Pala riesce a cogliere ogni sfumatura dell’opera, trasmettendo nella sua lettura i più svariati colori dipinti dall’autore, dettando i tempi con maestria in particolare nell’interpretazione dello straordinario brano sul vino.
E giunge a questo punto il momento di Francesco Madonna, preceduto da un lungo applauso del pubblico all’attrice Stefania Masala assente, per problemi di salute. L’attore, nativo di Cagliari, regista di teatro, ideatore e direttore artistico della Rassegna teatrale S heliae-estate, regista di cortometraggi e documentari, tra cui “Contos de fuchile“, che interpreta, con immedesimazione e brio, Ombre, Gonario Ruiu, Toia Spano, Tonina Carta, tratte dal “Canto Rituale” della straordinaria Maria Carta, cantante, attrice e poetessa di Siligo, a cui il Gremio ha già dedicato un’intera appassionante serata: http://tottusinpari.blog.tiscali.it/2014/06/29/il-canto-di-maria-carta-grande-madre-della-sardegna-roma-e-l%e2%80%99associazione-sarda-%e2%80%9cil-gremio%e2%80%9d-ricordano-la-cantante-di-siligo/.
Voglio solo citare solo questi pochi versi tratti dall’ultima poesia che Maria scrisse prima di morire e che ne ritraggono il carattere di donna e artista:
«Io chiederò umilmente che ogni fiore continui a sbocciare anche dopo di me ».
Conclude la carrellata dei personaggi politici il grande Enrico Berlinguer, rappresentato dall’attore romano Luca Martella con il brano Qualcuno era Comunista, tratto dal suo Spettacolo sul Teatro-Canzone di Gaber-Luporini che porta in tournée girando l’Italia.
Il pubblico resta con il fiato sospeso per tutta la durata della sua appassionata interpretazione fino all’ovazione quando afferma:
«Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona».
Enrico è nato a Sassari nel 1922 ed è stato Segretario generale del Partito Comunista Italiano dal 1972 fino alla morte e principale esponente dell’eurocomunismo. Sono indimenticabili le immagini del suo tragico malessere durante un comizio a Padova e l’enorme folla commossa che ha accompagnato il suo funerale in piazza San Giovanni al Laterano.
Era un leader capace di denunciare la corruzione e valorizzare l’impegno dei giovani nella società contro i poteri fondati sul privilegio e l’ingiustizia e su questa denuncia pone l’accento Luca aumentando i toni dello sdegno durante il suo recital.
Voglio rappresentare Enrico, attraverso alcune sue frasi che ne condensano il pensiero:
«I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela».
E lo diceva più di trent’anni fa, ma in realtà è ancora vero…
«La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico».
«Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia».
«Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi, può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità. La prova per questo obbiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita».
È un concetto, questo, espresso anche dal Teatro-Canzone se si pensa al brano “Se ci fosse un uomo”.
«Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno».
Dopodomani…sicuramente, direbbero Gaber/Luporini/Martella…
«Il comunismo è la trasformazione secondo giustizia della società».
Così doveva essere caro Enrico…, ma forse così non è stato…
«Sul sole dell’avvenire oggi discutono più gli scienziati che i comunisti».
Enrico credeva veramente nel suo progetto, come molti altri. Questo sogno è perfettamente rappresentano nel recital di Martella:
«Qualcuno era comunista perché… Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra, il senso di appartenenza a una razza, che voleva spiccare il volo, per cambiare veramente la vita».
Ed immancabilmente la delusione di Berlinguer e di quelli come lui, è poeticamente dipinta nella consapevolezza espressa sempre dalle parole di Gaber/Luporini/Martella: «Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra, il gabbiano senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si è rattrappito. Due miserie in un corpo solo».
A questo punto Masia presenta un Intermezzo musicale delle Sorelle Sabatini che dedicano la loro composizione “Raighinas” agli 11 personaggi la cui immagine scorre sullo schermo a ritmo di musica.
Chiudono le sorelle Sabatini con un brano dedicato a Beata Maria Gabriella Sagheddu, nata a Dorgali nel 1914, da una famiglia di pastori. A ventun anni scelse di consacrarsi a Dio ed entrò nel monastero delle Trappiste di Grottaferrata.
Attraverso un cammino rapido e diretto, cosciente della propria fragilità, avvertì l’urgenza di un’offerta di sé, coerente fino alla consumazione. La tubercolosi si manifestò nel suo corpo, sanissimo, dal giorno stesso della sua offerta, portandola alla morte in quindici mesi di sofferenza.
A conclusione dell’incontro il solito brindisi e cena con prodotti sardi offerto dal Gremio.