Ma, le inadempienze e le insufficienze che hanno sempre caratterizzato la storia del sistema ferroviario sardo hanno origini lontane.
Se, si esamina la cartina sopra con le strutture ferroviarie che nel 1870 esistevano in tutte le regioni che appartenevano all’allora Regno d’Italia, si notano evidenti i numerosi collegamenti ferroviari esistenti tra Piemonte, Lombardia e Liguria e poi, sempre più in diminuzione da nord vero sud, i collegamenti presenti nelle altre regioni italiane.
Ed è, a questo punto, sconcertante scoprire l’assoluta assenza di una qualsiasi opera ferroviaria in Sardegna.
Anni dopo, tuttavia quando i treni incominciarono a viaggiare nell’isola, la loro velocità non superava i15 chilometriall’ora, e s’ impiegavano anche 15 ore per percorrere la distanza tra Sassari e Cagliari. Questo era da attribuire al pessimo stato delle ferrovie isolane; per anni non si era provveduto al rinnovo del materiale e alla sua manutenzione.
Per l’isola non era stato stanziato nemmeno un centesimo, mentre 1.800 milioni erano stati stanziati per le reti continentali.
Nei primissimi mesi del 1919, nelle pagine del Secolo XIX, apparve il seguente elegante vibrato articolo sul problema delle comunicazioni in Sardegna e sull’assestamento dei servizi ferroviari sia per quanto atteneva gli aspetti commerciali, che quelli prevalentemente civili. a opera di Ezio Maria Gray, fante scrittore.
Egli non diceva cose nuove, ma ebbe il merito di dirle in modo facile e persuasivo; per questo è opportuno riprodurre integralmente il suo articolo.
Le comunicazioni trala Sardegnae il continente.
“ Dalle parole recenti di S.E. Caviglia, che di parole non è prodigo se non in quanto rispondano a un maturato proposito, sembra ché la Brigata “Sassari” non sarà sciolta in considerazione delle sue eccezionali benemerenze.
Ora la “Sassari”, essendo eccezionalmente composta quasi esclusivamente da sardi (il 96%), il riconoscimento delle sue altissime benemerenze ( mai una parentesi d’incertezza o di scoramento) andrà dritto, dritto alla madre Sardegna.
Evviva la Sardegna dunque! Eh si, ma alla moneta degli elogi e della riconoscenza verbale la Sardegna è abituata da alquanto tempo, da troppo tempo.
Grazie anche di questa, ma si vorrebbe ( e non è un sardo che scrive) si vorrebbe vedere altro. E’ interesse italiano ed è giustizia per la Sardegna che si veda altro.
La Penisola esce dalla vittoria stremata dallo sforzo ma con la prospettiva sicura di una rapida restaurazione e poi di un incremento mirabile sul passato sia per virtù produttive del popolo sia per quel che di territori, di mercati e di sbocchi all’emigrazione la vittoria le attribuirà.
La Sardegna esce parimenti stremata da un sacrificio di risorse e d’uomini che misurato comparativamente appare già più notevole rispetto a quello delle altre regioni. Ma, tale criterio non è sufficiente.
Infatti, in Sardegna questa diminuzione di ricchezze economiche ed umane deve considerarsi dal punto di vista della preesistente condizione di disfavore in cui il governo lasciò l’isola in 40 anni di vita nazionale.
Prendiamo ad esempio le ferrovie. Certo, durante la guerra, la Lombardia soffrì ferroviariamente moltissimo e ne risentirono gli interessi privati ed i pubblici ma si trattava di una crisi, non vi era che da attendere.
Si è potuto attendere ed ecco che la ricchezza e l’intensità di comunicazioni va ristabilendosi.
La Sardegna aveva già un servizio ferroviario deplorevole per sviluppo, per percorsi, per orari, per materiale.
Le Ferrovie Reali Sarde non credevano, che la Sardegna meritasse (beh mettiamo abbisognasse) un regime ferroviario superiore a quello Eritreo e del resto, prevedendo il riscatto, si guardava bene dal defalcare dai suoi utili, che furono sempre ragguardevoli ( e crebbero nella guerra) il fabbisogno per il materiale obbrobrioso.
Chi ci è andato in Sardegna non può minimamente pensare che anche quella era Italia; ci voleva buona volontà; a viaggiare ci volevano filosofia e necessità improrogabili.
La guerra sfido! Non ha peggiorato molto la ferrovia sarda.
Colpa del governo, della ferrovia, e dei dirigenti che non si fecero ascoltare.?
Vi si aggiunse lo sconcio delle truppe in licenza, che, una volta sbarcate in Sardegna non trovavano i treni per l’interno, ma neppure i baraccamenti per aspettare i treni stessi. E, presso la ferrovia i gloriosi fanti citati da Diaz all’ammirazione d’Italia accampavano all’aperto.
Gelo e pioggia e si accendevano in regime autonomo i loro fuoccherelli e sempre in regime autonomo provvedevano (come? Non approfondiamo) a sfamarsi.
Ma, era la guerra … E va bene. Ora però la guerra è finita. Che cosa si conta di fare? La Lombardia, abbiamo detto, aspettando, vede ritornare il benessere ferroviario di prima. La Sardegna, aspettando, può veder tornare alla meno peggio l’obbrobrio di prima. Dicono che il governo abbia dato disdetta alle Ferrovie Reali sarde.
Ah si, ma la disdetta cadrà tra undici mesi.
Ora questi undici mesi ( che saranno altri undici mesi di vergogna ferroviaria) valgono undici anni. Questi undici mesi, in cui, per tutta Italia, durerà più intenso, se pur trasformato, il vigore, che la guerra impose ai privati ed allo stato, saranno il vero periodo d’impostazione della ricchezza futura.
Se, lasciamo passare un anno, due anni, senza dare, senza pretendere, senza imporre, riprenderà impero l’antica ‘routine’ subdola, beffarda, vischiosa e progetti e problemi si areneranno per sempre.
Intende proprio il governo permettere alle Ferrovie Reali Sarde altri undici mesi di governo? La guerra ha dato al governo pieni poteri che superarono leggi, decreti, regolamenti preesistenti. E, poiché si trattava di salvare la Patria, nessuno osò obbiettare che ciò fosse antigiuridico.
Ora la Sardegna è nobile parte della Patria e se per salvarla dalla decadenza , da quel restare indietro, che sarà domani fatale più che ieri, occorressero al governo provvedimenti draconiani, forzosi, li addotti e per uno che strillerà (se oserà strillare di fronte ai guadagni fatti) vi sarà tutta l’isola a benedirlo.
Non credo capiti facilmente al Governo di essere benedetto.
Colga quest’occasione ed imponga alle Reali Sarde – anche per questi undici mesi – quel che non sarebbe dopotutto che una modesta riparazione degli esosi arbitri del passato. La Sardegna non è povera, è ricca.
Ma, è ricca di cento ricchezze non valorizzate non civilizzate.
Di questo risveglio che già si annunzia dovunque a riparare le molte servitù straniere che subimmo in passato per ignavia ed incapacità a sfruttare quel che noi possedevamo, molti sardi e molti continentali si incontreranno nell’accorgersi delle ricchezze isolane, nel volerle attivare nel volerne trarre fonte di provvidenze nazionali e di benessere sardo.
Ma, a che serviranno queste volontà se non si troveranno i mezzi?
Ora il primo mezzo indispensabile sono le comunicazioni. Certe industrie si possono e si devono fondare all’interno dell’isola ma bisogna che all’interno arrivino rapidamente gli elementi atti ad integrarle e bisogna poi che i prodotti trovino la via rapida e sicura verso i mercati.
Qualche altra industria c’è già, ma è caduta in mano al primo occupante e a lui più che all’isola da guadagni notevoli.
Per levarsi questo giogo dal collo bisognerebbe che intervenisse la concorrenza e la concorrenza non si avvia la dove mancano le comunicazioni facili e rapide per sostenere tali concorrenze.
Quando, si deve contare a settimane il tempo per giungere (uomini o merci) da Oristano a Bologna vien meno il coraggio anche ai più volenterosi”.
A questo punto l’egregio scrittore accenna a una maggiore anzi a una più intima collaborazione tra tutti i sardi al fine di risolvere nel modo più degno la questione ferroviaria, che presuppone la puntualità dei servizi marittimi.
Con un elegante humor egli ci fa notare quel senso di difficoltà che impone il mare e aggiunge:
“ Perdio lo sappiamo tutti che c’è il mare, ma, appunto per ciò, mica avere paura di essere La Palissiani, nel trattare della Sardegna bisogna ricordare sempre che è un isola e cercare – prima di tutto – di analizzare il più possibile questa sua caratteristica. Il mare?
Ma, non è affatto possibile che il mare separi; il mare unisce.
E, nel campo economico il mare è da benedirsi come mezzo di comunicazione. Naturalmente bisogna mettere sul mare dei bastimenti.
E non dimenticare che c’è anche un’aviazione italiana che, da meravigliosa arma di guerra, può trasformarsi in meravigliosa arma di pace.
Gli affari non si possono trattare tra Sardegna e continente col beato servizio postale marittimo e con le anche è più beate coincidenze ferroviarie che ci sono ora.
Ma, un servizio aereo regolare avvicinerà la Sardegna a Roma, a Milano e a Napoli assai più che non queste tre città tra di loro.
Il mare?!
Ma, quando si trattava di prendere il Valbella, di resistere a Capodargine, di liberare Conegliano il mare non ha mai impedito al Governo di chiedere e di ottenere regolarmente dalla Sardegna il fiore della sua gioventù.
Questa gioventù insuperabile viene ora ringraziata con commosso cuore dal Governo e dalla Nazione. Va bene, ma il miglior modo di ringraziare la Sardegna per ciò che ha dato è quello di darle ciò che deve avere e ciò che deve avere sarà pur in sostanza altrettanta ricchezza per l’Italia tutta.
Bisogna però aggiungere che tutto questo va pensato, elaborato e attivato, pretendendo
dal Governo, ma anche collaborando col Governo, che deve ricevere dagli interessati un programma organico e serio, il più possibile documentato di ciò che in Sardegna e per la Sardegna deve farsi”.
Ezio M. Gray.
Ma, sono ormai trascorsi oltre 100 anni da quando questo articolo apparve sul Secolo XIX e, ancora oggi, un unico binario, e per giunta non elettrificato, collega le principali città della Sardegna e ahinoi i discendenti degli eroici fanti sardi sono costretti a viaggiare alla fantastica velocità di50 chilometriall’ora, mentre l’Italia da nord a sud, da ovest ad est incomincia ad essere attraversata dai collegamenti ad alta velocità, e già sono in servizio dei treni veloci, che raggiungono e superano i300 chilometriall’ora.
Eppure Francesco Saverio Nitti, ministro delle Finanze, il 17 giugno del 1918 aveva detto in parlamento:
“La Sardegna è la regione d’Italia che ha dato il maggior numero di morti, di feriti e di decorati al valore e il minor numero di imboscati e disertori.
A guerra finita avrà i mezzi necessari per la sua rinascita economica e sociale”
.
Eppure, il 20 giugno del 1918 Vittorio Orlando, presidente del Consiglio, fra la commozione generale, aveva detto alle camere dei deputati:
“Quando vidi i fanti della Brigata Sassari ebbi l’impulso di inginocchiarmi”.
La nazione ha contratto un debito di riconoscenza per i sacrifici ed il valore dei sardi in guerra, e questo debito pagherà”.
In quegli stessi giorni, sulla riva destra del fiume Piave i fanti sardi della Brigata “Sassari” stavano combattendo, come al solito, con tutte le loro energie e il loro coraggio, tra mucchi di cadaveri e interi reggimenti distrutti, per arginare il disperato furore austriaco nel tentativo di dilagare nella pianura veneta