segnalazione di Maria Vittoria Migaleddu
articolo di Laura Scatoloni
Ho conosciuto Bonaria Manca più di vent’anni fa, nel fondo di una cantina di un paesino del viterbese, Tessennano; io come spettatrice dell’esibizione di un gruppo di poeti estemporanei a braccio che improvvisavano mottetti e stornelli su svariati temi, ben innaffiati dal nostro buon vino novello.
Anche lei si esibiva in questa sfida poetica, improvvisando saluti e poesie cantate in un originale miscuglio di lingua sarda, orunese, italiano e dialetto dell’alta Tuscia.
Mi ha subito affascinato questa donna insolita e stravagante, già avanti negli anni, elegante, in un abito molto colorato e la testa avvolta in un altrettanto colorato ed originale copricapo che poi ho saputo tessuti e confezionati da lei stessa.
Ho ammirato la sua figura minuta e forte, così fuori dalle righe dalla nostra cultura che vede le donne di età avanzata vestite di nero che non vanno nelle cantine a poetare e sbevazzare con gli uomini, ma si recano in chiesa in atteggiamento composto a sgranare rosari ogni giorno.
Mi sono avvicinata a lei per conoscerla meglio, ed ho saputo che di mestiere faceva la pastora, ma che amava dipingere, per ritrovare nei “suoi scarabocchi” (sua affermazione) i ricordi, i colori e gli odori della sua terra, la Sardegna e del suo paese, Orune dal quale era partita già da cinquanta anni e mai più ritornata.
Mi sono chiesta subito che impatto potesse avere la figura di questa donna così particolare ed eccentrica, in un contesto dell’entroterra viterbese che vede le donne ancora oggi, purtroppo, imbozzolate in rigidi cliché dettati da mode televisive, miti, stereotipìe, ruoli prefissati duri a morire…
Poi, dopo questa allegra e stimolante serata, di lei ho perduto le tracce, per rivederla con gioiosa sorpresa, di recente in Tv, all’interno della sua casa, affrescata con i suoi bellissimi dipinti, intervistata dal professore-psicologo/scrittore/psicoanalista dell’Università di Roma, Massimo Ammaniti.
Finalmente sabato, 21 maggio alle 10 di mattina, l’ho nuovamente incontrata, al teatro “Il Rivellino” di Tuscania, (Vt) paese in cui Bonaria risiede, durante il convegno a lei dedicato, “L’arte di Bonaria Manca dai nuraghe alla terra etrusca”, organizzato dall’Associazione “Sarda Domus” in collaborazione con la Regione Autonoma della Sardegna – Regione Lazio – Comune di Tuscania – Comune di Orune – F.A.S.I. (Federazione Associazione Sardi in Italia).
Dopo i saluti dei rispettivi sindaci dei Comuni di Tuscania e di Orune, dei rappresentanti delle varie associazioni , si sono succeduti interventi di autorevoli critici dell’arte; molto interessanti sono stati i commenti all’opera di Bonaria di Roberta Trapani, “Itinerari di una bussola interiore”; Pietro Clemente “Bonaria, tra antropologia e arte”; Maria Elena Piferi “Istantanee dell’anima”; Daniela Rosi “Aspetti sinestetici nell’arte di Bonaria”.
Ho molto apprezzato il lavoro della giovane coordinatrice web marketing, Angela Sanna per la presentazione del sito ” La casa di Bonaria “, curato in ogni sua parte, soprattutto nella divulgazione delle opere dell’artista: dai murales affrescati delle pareti della casa-museo di Tuscania, agli arazzi da lei tessuti, fino alla mostra dei numerosissimi quadri e dipinti che hanno marcato il passo negli ultimi trenta anni della sua vita.
Vorrei soffermarmi sul prezioso contributo offerto della prof.ssa Daniela Rosi, la quale chiama in causa l’artista francese Jean Dubuffet, che nel 1945 coniò la nozione di “art brut”, un’arte senza alcuna traccia di intellettualismo e pretese culturali per spiegare e collocare la produzione artistica di Bonaria in questo filone artistico.
“L’Art Brut designa opere realizzate da persone indenni da cultura artistica, nelle quali il mimetismo, contrariamente a ciò che avviene negli intellettuali, abbia poca o nessuna parte, in modo che i loro autori traggano tutto dal loro profondo e non da stereotipi dell’arte classica o dell’arte di moda.” (J.Dubuffet)
Ma la dott.ssa Rosi ha fatto di più e meglio: ci ha mostrato l’anima di Bonaria commentando con voce vibrante di pathos le immagini dei suoi dipindi più belli. Definisce la sua pittura, sinestetica come se da quelle pennellate si potessero “sentire” i colori, gli odori e i profumi, i sapori, i suoni, allegri e tristi della sua Terra, tanto amata e mai dimenticata.
Non ho gradito, invece, alcuni interventi che richiamavano avvenimenti di violenza e faide: non si onora un’artista richiamando episodi fuori dal contesto e dal fine che si proponeva l’incontro.
Comunque, a mio avviso, le storie di “chi resta e di chi parte” dal luogo natio sono diverse ed altrettanto differenti sono le motivazioni personali che spingono a partire… Però diventa meraviglioso, quando, chi resta sa aprire le porte della solidarietà e della calda accoglienza a chi arriva, nella reciproca conoscenza e condivisione di usi, modi di fare, tradizioni, in una parola di culture differenti e chi parte reca con sé le radici, i ricordi e le tracce di quanto ha lasciato… Quando poi si riesce a dare corpo e voce ai frammenti del proprio vissuto e della propria origine siamo di fronte ad un artista a tutto tondo!
Mi sono anche chiesta, constatando la scarsa partecipazione delle persone del luogo alla manifestazione, quanto abbiano cara prima di tutto la persona, poi l’artista e se dopo settant’anni che una persona risiede in un luogo non vincano ancora diffidenze e pregiudizi! Detta fuori dai denti mi sarei aspettata una partecipazione più massiccia ed affettuosa…
Ma ad un certo punto, nel bel mezzo degli interventi compresi le mie riflessioni e rimuginii un canto forte e chiaro si è diffuso per il teatro. Con sorpresa Bonaria si è rivolta alle persone in sala “cantando” il saluto, il ringraziamento e la sua gioia di essere presente all’evento.
In quel momento ho sentito tra il pubblico vibrazioni di profonda commozione e ho immaginato la voce di Bonaria contraltare in un un coro “a tenores” nella sua amata Terra natìa.
Mi sono infine avvicinata a lei per salutarla, che era seduta al centro della prima fila di poltrone, vestita di bianco, con un bellissimo abito di lana ricamato all’orlo e soprabito abbinato, da lei stessa confezionati, elegante come sempre e con uno stravagante colorato copricapo.. I cappelli debbono essere proprio la sua passione!
Mi ha preso la mano, ringraziandomi della presenza e finalmente ho potuto ammirare da vicino, ancora una volta il suo sguardo che tanto mi aveva colpito più di vent’anni fa: acuto, penetrante, fiero, un po’ irriverente, sbarazzino… dolcissimo.
Ed anch’io con profonda consapevolezza ed affetto le ho sussurrato all’orecchio: “Ne hai fatta di strada, cara Bonaria…dalle cantine ai teatri! Salute e ancora lunga e buona vita a te, maestra”. www.lacasadibonaria.it