di Paolo Pulina
Pubblichiamo una sintesi della relazione con cui Paolo Pulina ha presentato il libro “Sardegna. La grande diaspora” di Gianni De Candia al Salone Internazionale del libro di Torino il 14 maggio.
Gianni De Candia ha scritto un ponderoso volume dal titolo “Sardegna. La grande diaspora. Memorie e ricordi dei 40 anni della cooperativa ‘Messaggero Sardo’ (1974-2014)”, editore Carlo Delfino, 432 pagine, 230 fotografie in bianco e nero, presentazioni di Gianfranco Ganau, presidente del Consiglio regionale sardo, e del prof. Manlio Brigaglia.
De Candia (presidente della cooperativa di giornalisti s.r.l., alla quale a seguito di specifico bando la Regione Sardegna aveva affidato negli anni l’edizione del giornale cartaceo dal titolo “Il Messaggero Sardo”) ha potuto dedicarsi alla stesura del volume perché, in una determinata situazione temporale (il libro spiega con precisione la concatenazione dei fatti), il suo impegno pubblicistico non ha più potuto – e quindi non ha più dovuto – concentrarsi sulla creazione delle pagine del periodico, il cui sottotitolo, “Mensile del Fondo sociale della Regione sarda per gli emigrati” (ai sensi della legge regionale n. 10/1965), indicava bene la fonte di finanziamento.
Sono stato semplice lettore del “Messaggero Sardo”, mensile cartaceo, a partire dal 1982 (anno di fondazione del Circolo culturale sardo “Logudoro” di Pavia, che ricevette subito il giornale, con articoli puntuali sulla sua iniziale attività) all’autunno del 1985. Nel numero datato settembre 1985 il “Messaggero” pubblicò il mio primo articolo: la presentazione dell’importante convegno “Problemi storici della Sardegna” (che si tenne a Pavia nei giorni 12-13 ottobre 1985), che fu poi seguito dall’inviato Antonello De Candia, e di cui poi avrei curato gli atti (Milano, Cisalpino-Goliardica, 1986, pp.156). Gianni De Candia lo conobbi, sempre a Pavia, in occasione dello svolgimento, nell’aula del ’400 dell’Università, del quarto congresso nazionale degli (allora) 25 circoli della Lega Sarda, di cui era presidente Tullio Locci (confermato a Pavia). Gianni mi incoraggiò a intensificare la mia collaborazione, data anche la mia qualifica di giornalista pubblicista (dal 1982).
Ci misi poco a capire che la cucina redazionale ricadeva soprattutto sulle spalle di Gianni, che, quando non era impegnato nelle trasferte nella Penisola o in Paesi europei ed extraeuropei (di cui dà puntuale conto nel suo libro di memorie), doveva curare l’uscita del mensile: i testi arrivavano per posta (il fax era di là da venire), man mano – è vero – la linotype (composizione tipografica a “caldo”) cedeva il passo al sistema a “freddo”, e cioè alla fotocomposizione e all’impaginazione sugli schermi del computer, ma qualcuno (cioè, in primis, Gianni De Candia) doveva pur governare tutti i vari procedimenti fino alla etichettatura degli indirizzi, prima con incollatura e poi con metodi meno artigianali, dato che le copie raggiunsero quota 77.000 (anche se ufficialmente quelle contabilizzate erano solo 75.000), e poi fino all’inoltro per le poste, operazione ogni volta esposta al rischio del ritardo della spedizione o, addirittura, di irragionevoli “multe” (anche di tutti questi aspetti non proprio gradevoli per la tranquillità personale e per l’equilibrio economico della cooperativa viene riferito nel libro).
Ho sempre apprezzato il fatto che il compianto Gino Zasso, Gianni De Candia, Antonello De Candia, Roberto Puddu, quando si trovavano a seguire una iniziativa culturale o, ancor di più, le diverse giornate di lavori di un congresso nazionale dei Circoli, erano i primi ad arrivare e gli ultimi a lasciare la sala del convegno o del congresso, riempiendo scrupolosamente di appunti interi bloc-notes: esempio apprezzabile di deontologia professionale.
I loro resoconti erano sempre completi con citazione di tutti gli interventi e sempre con alcune righe di sintesi dei contenuti. Così il lettore poteva avere una registrazione fedele e non monca della successione dei lavori.
Come giornale di servizio (non di house organ; istituzionale quindi, ma non supinamente governativo), “Il Messaggero” ha fornito ai Circoli e ai singoli emigrati tutte le informazioni sui piani triennali e annuali dell’Assessorato al Lavoro della Regione Autonoma della Sardegna, dando vita anche alla pubblicazione di veri e propri vademecum di documentazione.
Ora che Gianni De Candia ha potuto scrivere la storia del “Messaggero Sardo”, tutti si possono rendere conto che in quelle migliaia di pagine, oggi digitalizzate scrupolosamente nell’ “Archivio storico del Messaggero Sardo: tutti i numeri dal 1969 al 2010” (si veda alla voce archivio della Home http://www.ilmessaggerosardo.com/), è depositata la memoria di 40 anni di emigrazione sarda nel mondo e che il giornale da meritorio “giornale per gli emigrati”, grazie alla sensibilità (che vuol dire partecipazione emotiva ad un progetto) dei giornalisti della cooperativa “Il Messaggero Sardo”, è diventato “il giornale degli emigrati”. Per rendere anche gli emigrati meno acculturati e più lontani nello spazio coscienti della cultura e della storia dell’isola natia o di origine dei propri antenati il giornale ha saputo assicurarsi le firme più prestigiose della intellettualità democratica sarda, quella non rinchiusa nelle torri d’avorio dell’Accademia: in primis, Manlio Brigaglia (oltre 400 pezzi); Salvatore Tola (quasi 500 pezzi: seguitissima la sua rubrica “Parlando in poesia”, in lingua sarda massimamente, è ovvio); Giovanni Mameli (250 pezzi); Natalino Piras (150 pezzi); se è permesso, Paolo Pulina (oltre 200 pezzi); Cristoforo Puddu (90 pezzi).
Massimo Pittau e Francesco Masala vantano, ciascuno, una ventina di pezzi. A proposito di quest’ultimo, De Candia scrive: «In quegli anni – caratterizzati dalla presenza dominante della SIR di Nino Rovelli sul sistema informativo sardo – era importante garantire uno spazio a chi veniva emarginato e rischiava perciò la cancellazione dall’Albo professionale. Tra i casi più eclatanti lo scrittore Francesco Masala, ma non solo» (cfr. pagina 55).
Dal maggio 2011 Gianni De Candia ha fatto uscire fino al giugno-luglio 2015 un giornale mensile on line di 24 pagine con un impegno personale che ha confermato che l’ “impresa” del “Messaggero Sardo” è sempre stata per lui una sfida a superare gli ostacoli, una ragione di vita, una passione autentica.
Di questo le migliaia di emigrati sparsi nel mondo gli sono giustamente riconoscenti.