di Marina Atzori
Cristian Mannu ha vinto il Premio Italo Calvino (Premio letterario per scrittori esordienti). Il suo nome mi è apparso sotto gli occhi quasi per caso, qualche settimana fa, leggendo un articolo comparso sui Social. La curiosità è stata tanta, ma anche la gioia di aver visto che un autore conterraneo, per di più emergente, aveva vinto un riconoscimento così importante. Ho acquistato subito la versione digitale e ho iniziato a leggere nella speranza di mettere piede con la memoria in quei luoghi dimenticati, in quei paesi sperduti che hanno da dire e da dare più di tanti altri. Già, perché se sei lontano dalla tua terra, come lo sono io in questo momento, la cerchi dapperutto, nelle foto, negli articoli di giornale e sui libri. Certo, proprio sui libri, perché le parole scritte sui libri rimangono, eccome se rimangono! Sui libri può succedere di tutto, anche di rischiare di tornare per qualche attimo in Sardegna, nella mia terra. Sì, è stato così: la Sardegna raccontata su Maria di Ísili l’ho sentita familiare come un abbraccio che non ti aspetti. Così ho deciso di scrivere di quello che ho letto e di come mi è sembrato.
Questo libro profuma di Sardegna, di quella Sardegna in cui vorrei tanto fare ritorno un giorno, della Sardegna che sento tanto mia e dalla quale sono dovuta scappare proprio come Maria, la protagonista. “M” come Maria e come Marina, una lettera soltanto mi separa da questo nome e da questa storia così simile a me e alle mie radici, tanto vera e tanto vicina, da poterla sfiorare con i pensieri più intimi e le immagini dei ricordi più inquieti. Maria è una sognatrice, fragile e bella, così tanto bella da maledirla questa sua bellezza quasi angelica. Il suo è uno sguardo che non appartiene a questo mondo. Il suoi occhi azzurri potevano essere solo di un angelo o di un demonio. Maria è unica, così come è unica la storia di questo romanzo. Devo essere sincera fino in fondo, Cristian Mannu mi ha regalato, attraverso il suo stile pungente e romantico, le verità nascoste dei sardi, quelle realtà sussurrate con un filo di voce dietro le porte e, quelle urlate dentro, fino a farti sentire che qualcosa, nell’anima e nel cuore può strapparsi da un momento all’altro. Ho letto di tanti personaggi feriti, di volti femminili gonfi di lacrime, presi a schiaffi dalla vita, messi alla prova, uno accanto all’altro, come soldati in guerra con se stessi e con il mondo fuori. Un mondo dove le preghiere e le piccole chiese non bastano per essere assolti dai peccati. Su queste pagine che odorano di orgoglio smisurato, di confini e linee immaginarie estreme, in cui regna la lingua sarda e il tono selvaggio, ostico, chiuso, ma anche aperto e poetico che la contraddistingue, si respira aria di Sardegna. Uomini e donne legati da catene strette e da un destino che non perdona mai, si raccontano tra le mura di case anguste, nei corridoi stretti, in cui fanno eco dolore e vergogna. L’autore scrive di sentimenti puri che rapiscono, come se stesse sorseggiando acqua fresca ad una fonte, dopo aver percorso chilometri e chilometri di vita vera, vissuta, fatta di condanne non volute, di scelte sofferte e impopolari, che marchiano a fuoco e bruciano come l’arsura della Trexenta, di Mandas e di Senorbì. Emozione, umiliazione, errori umani che non danno via di scampo in una terra che dei segreti si nutre come una belva feroce lasciata alla fame per giorni. Segreti e deserti che nessuno sa e che nessuno dovrebbe attraversare. Terra di banditi, di pastori, di silenzi spessi come sbarre e arrugginiti come lucchetti abbandonati. Terra di bestiame e di ventopadrone del cielo e delle nuvole e che, non vuole più accontentarsi della terra da coltivare. Questo romanzo è forza e debolezza insieme, è coraggio ma è anche paura di non sentirsi più a casa. Ísili è quasi il simbolo di una ribellione taciuta troppo a lungo, ma anche di una prigione, per coloro che insistono a stringerlo tra le braccia e a farlo proprio come un paese di niente in cui tutto sembra mancare come l’aria. Un paese imbuto, il collo di una bottiglia dentro al quale scorrono l’olio dei frantoi, il vino fruttato che conserva e altera la percezione di un futuro che in Sardegna non c’è. Maria di Ísili è un libro che invita alla fuga, ma che poi si pente e ti incolla addosso le righe di Mannu, colme di desiderio di restare, colme di vuoti da riempire con la vista di rari papaveri viola. Lo scrittore sardo con il suo talento tocca ogni punto debole dell’Isola, lo fa con la punta delle dita, appoggiando la penna delicatamente sul cuore del lettore e sui desideri soffocati dai bavagli della vendetta e della solitudine non cercata, ma ereditata. Figli e padri, nonne e nipoti, zie,piccole e grandi storie di vita vera sono quelle di Maria e di sua sorella Evelina, di Antonio Lorrài di Silíus e diZia Borica e di tutte le parole che hanno messo le ali a questo libro, che ho pensato fin dalle prime pagine essere come un gabbiano che sorvola il mare, un leccio che ingoia le raffiche di Maestrale, un fiore dai petali fini e setosi che rinasce ogni anno dopo un gelido inverno, una nuvola che copre il sole e poi si sposta lasciando lo spazio all’azzurro del cielo più bello e infinito. Cosa posso aggiungere ancora? Che la Sardegna è terra di talento e cultura, che vivono da una parte, negli angoli dei vicoli, sui tetti delle case di Pirri, sui davanzali, dentro vasi d’argilla ricoperti di conchiglie. Talenti, cultura e tradizione fusi insieme in un’unica opera d’arte. Terra di tesori rari come lo zafferano e, come il miele e il formaggio delle nostre Seadas, terra di mani abili e forti che chiudono i Culurgiones ogliastrini che somigliano a spighe di grano. La Sardegna è anche questo: è cultura ed è anche scrittura, intensa e coinvolgente come quella di Cristian Mannu con il suo grande libro, Maria di Ísili.
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