Girando per la fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili “Fà la Cosa Giusta!2016” (Milano,fieramilanocity) e sognando che i 32.000 metri quadri di spazio espositivo che ospitano i 770 espositori si dilatino a comprendere tutta la penisola italiana, viene da pensare davvero che il futuro è di chi lo fa, e che potrebbe essere di molto migliore di quanto si possa oggi immaginare. Fuori, all’uscita della nuovissima stazione della metropolitana “lilla” del Portello, quella i cui treni sono guidati da computer tanto efficienti quanto anonimi, gruppi di volontari ti mettono in mano volantini che invitano a votare “Sì” al referendum del 17 aprile, quasi fosse possibile che il “popolo verde” che preme ai cancelli d’entrata possa avere la tentazione del “No”. Del resto anche la ministra confindustriale di Matteo, con le sue opportunissime dimissioni, oggi fa, inconsapevole, campagna per le ragioni degli ambientalisti. Sempre per ricordare al nostro giovane presidente del consiglio che premono decisioni non rinviabili, le ragazze di Amnesty International, pettorine nere con scritte in oro, ostentano un grande striscione: “Verità per Giulio Reggeni”, e chi volete che non sia d’accordo sulla richiesta? Anche qui su i due piatti di bilancia della Giustizia i giacimenti di gas scoperti da ENI sulle sponde mediterranee egiziane (una delle maggiori scoperte a livello mondiale), dall’altra la morte per tortura di uno studente italiano di 28 anni che al Cairo portava avanti la sua tesi di dottorato sull’economia del paese. Sempre Amnesty dice che gli egiziani “scomparsi” e torturati nelle prigioni di al Sisi (golpe egiziano del 2013, fonte Wikipedia) sono più di Quattrocento, e di loro poco si interessa il mondo “civile”. Il “caso Reggeni” dopo essere rimbalzato anche sul “New York Times” e, pare, fin negli uffici della Casa Bianca, mette in crisi le relazioni politico-commerciali del nostro paese con quello egiziano, la verità che si legge sul corpo senza vita del ragazzo friulano è di quelle che gli Stati non possono dire, nel mondo di oggi. In quello di “Fà la cosa Giusta!” è l’unica cosa da pretendere, e vadano al diavolo accordi commerciali e giacimenti di gas e petrolio da pompare nel Mediterraneo mare. Senza di loro, qui, ti dicono come si potrebbe agire per avere un’esistenza meno stressante e più “slow”: regine sono le fonti d’energia alternativa, solare e fotovoltaico, auto elettriche e piste ciclabili, orti metropolitani e frutta e verdura a chilometro zero, meno consumi di carni e meno terra seminata a soia e mais solo per alimentare bovini e suini, costruzioni di case in terra cruda che respirano d’estate e tengono il caldo d’inverno. Riciclo d’acqua e utilizzo di quella piovana per sciacquoni e risciacquature di piatti, ritorno dei giovani alle campagne, ai mille borghi disabitati d’Italia, ripristino dei sentieri che uniscono vecchie fattorie a chiese campestri, e ancora prodotti biologici, origini e valori economici e qualità, l’economia tra antichi e nuovi mestieri. Cose tutte che già qualcuno mette in pratica: Retenergie dal 2008 aggrega un numero sempre maggiore di persone che partecipa coi propri risparmi alla realizzazione di impianti collettivi per la produzione di energia rinnovabile. Grazie anche alla partnership di Banca Etica. I gruppi di acquisto solidale italiani sono oramai ottocento (un quarto dei quali nella “ricca” Lombardia), per i cosiddetti Gas, piccolo locale e solidale sono le parole d’ordine. La rete amplifica, come sua natura impone, questi comportamenti virtuosi: su Facebook la “comunity” che si è radunata su “Non sprecare: il nuovo stile di vita degli Italiani” ha raggiunto il numero di 250.000 persone. Se non ce la fate a pensare che l’Italia tutta possa diventare un simile paradiso ecologicamente “verde”, magari sarà meno difficile immaginare che possa diventarlo presto la Sardegna nostra, se non altro il tentativo va esperito se si vuole evitare, con politiche effettive, che diventi, come ogni studio sullo spopolamento dei comuni dell’interno dice da tempo, un’isola disabitata, come si fosse tornati ai tristi tempi della malaria e dei Savoia regnanti, nel 1911, ieri, i sardi residenti erano 868.000. Certo quasi sicuramente qualche emiro del Dubai o del Qatar si comprerà le spiagge più belle e i villaggi-vacanze si moltiplicheranno come funghi, visto che le crisi politiche levatrici di martiri che si fanno saltare in aria in mezzo a ignari turisti non accennano a diminuire. Per scongiurare un destino che non è ancora scritto occorre fare rete, coalizzarsi, essere comunità ospitali, magari fare parte di quelli che si chiamano “Borghi Autentici d’Italia”. Qui alla fiera di Milano mi dicono che quelli sardi sono ben quindici, nel Medio campidano Sardara e Collinas. E Masullas anche lui paese della Marmilla. Nel loro modo speciale di accogliere i viaggiatori c’è una figura che diventa centro dell’ospitalità. E’ il tutor, un cittadino che si offre di accompagnare passo passo il viaggiatore durante il suo soggiorno nel borgo. Così Alessandra, laurea in scienze del turismo, racconterà di Santa Maria Acquas e delle terme neapolitane già menzionate da Tolomeo, l’area archeologica di Santa Anastasia col suo sontuoso pozzo sacro, Gisella Muras che di Collinas ha pubblicato due tesi (una sul bosco sacro di Santa Maria Angiargia, secondo gli esperti vecchio di almeno mille anni) promette una visita per il paese che colpirà per la sua armonia architettonica, le pareti e la volta a botte interamente affrescate della parrocchiale di San Michele , l’antica chiesa di San Sebastiano, il grande falò di gennaio con cui la comunità suole celebrarlo. Un’ altra Alessandra a Masullas, 25 anni frequenta giurisprudenza a Cagliari, dice che vivere nel piccolo paese di 1200 anime è passeggiare in piazze meravigliose e immobili, vedere il rosa acceso dei fiori e il verde degli ulivi, pomodori rossi e fave saporite, da tempo il piccolo borgo organizza la sagra del melograno, di cui si fanno marmellate irresistibili e liquori. Per tacere di piatti come “Su caboniscu ammuttiau (pollo ruspante cotto con mirto) binu nieddu e pani indorau”. Venite per credere. Due che potrebbero benissimo essere tutor di tutta l’isola sono Angelo Serrau Marongiu e Pino Cossu che rappresentano qui: “Sardegnautentica”, rappresentano e presentano prodotti tipici di 19 piccoli comuni sardi e fanno e-commerce: digitare per credere www.sardegautentica.it Sito che parla italiano ma anche inglese e tedesco, a tutta Europa appunto. Responsabile dei prodotti qui esposti è Pino Cossu, camicia immacolata “a zughittu”, completo scuro di vellutino portato con classe, dopo dieci anni di Veneto, prima ad Arsiè comune del bellunese che conta oggi circa 2500 abitanti ( a proposito di emigrazione nel 1911 erano 8500) dove pure ha trovato moglie, Claudia anche lei qui alla fiera milanese. Poi a Conegliano nell’industria del caffè ed infine il ritorno a Narbolia dove ha messo su un negozio che ha nome “Bontasarde”. E’ arrivato anche un figliolo bulgaro di due anni, Alberto, che ora è in seconda superiore e studia aeronautica. Con nel cuore un progetto di bio-agriturismo, su di una collina tra Sarchittu e Narbolia, tutto rigorosamente in terra cruda, pietra e legno, un tetto alla “babilonese”, un terreno dove se scavi appena trovi freccette d’ossidiana. Mi squaderna davanti l’olio di Bolotona “Ozzastrera”, il pecorino di Olzai, le perette di Orotelli, il casizolu di Santu Lussurgiu e Paulilatino, formaggi e dolci di Borore, gioielli di Bolotana e Sorradile, tessiture di Aggius. E ancora vino cannonau della premiata GianPaolo Paddeu di Mamoiada (canonau con una sola enne lo chiamano), distillati di Santu Lussurgiu, pane carasau venuto su a lievito madre nell’antico forno di Stefano Pische, lussurzesu, forno “ca va sans dire” in terra cruda. Tutto lo stand è uno spettacolo di per sé, si intravvedono coltelli tipo
“resolza” dalle ghiere impreziosite dall’incisione della flessuosa foglia d’acanto, maschere di “boes” finemente cesellate di Ottana, fermagli d’argento appesi con la faccia dei giganti di Mont ‘e Prama, catenelle di “ballittu sardu” e di due nuraghi pure d’argento. E poi i dolci, le “tumballinas” decorate a mano ( ripieno di mandorle, marmellata, miele e sapa) e i “coricheddos” (farina grano tenero, strutto, zucchero, miele, mandorle, buccia d’arancia, acqua) della pasticceria di Serenella Spensatellu a Borore. Giuro che ci passo, la prima volta che vado a Dualchi a trovare i parenti, i Cherchi di nonno Domenico. Zafferano di san Vero Milis? Eh no, me ne vado allo stand di Gavino Inconis che espone la sua produzione in stimmi a denominazione di origine protetta da San Gavino Monreale. Presidio “slow food” sin dal 2003, unico per categoria di prodotto. Gavino sa tutto della coltivazione dello zafferano nella sua città, mi dice di un atto notarile datato 1539 in cui un ciabattino pagava le pelli al porto di Cagliari con zafferano. In tempi antichi erano le vedove che passavano di casa in casa a venderlo. La sua è un’azienda a conduzione familiare, segue un disciplinare strettamente biologico, i 2500 metri quadri sono seminati, ad anni alterni con leguminose (ceci), il lavoro è concentrato nei mesi della semina e a novembre nel raccolto. Che siano necessarie le mani delicate della donne è leggenda metropolitana, certo ci vuole pratica. Lui insegna anche laboratorio di meccanica (ha insegnato all’IPSIA di Guspini) e, assicura, con un grammo del suo zafferano si dà gusto e colore dai 40 ai 60 risotti. Scommettiamo che se si diffondono queste buone pratiche la ripopoliamo tutta la Sardegna?
FA LA COSA GIUSTA! 2016: A FIERAMILANOCITY, UN INVITO PER LA SARDEGNA E PER I SARDI
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