“30 ANNI MAMMA”, INTERVISTA A MARIA GIOVANNA DESSI’: LA DETERMINAZIONE DI 12 DONNE, SARDE, MAMME


di Irene Bosu

Anna, Francesca, Debora, Giovanna, Silvia, Raffaella, Vanessa, Monica, Donatella, Michela, Arianna, sono le protagoniste del reportage. Libere professioniste, impiegate, insegnanti, truccatrici, commercianti e perfino un sindaco. Figlie del programma Erasmus, Intercultura e Master and Back. Sono loro le “30 anni mamme” protagoniste del progetto, patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento Pari Opportunità, dall’Ufficio di Gabinetto e dalla Commissione Pari Opportunità della Regione Sardegna e  dal Forum del Terzo Settore di Roma, fotografate da Laura Serra e raccontate dai testi di Maria Giovanna Dessì ideatrici del progetto. Dodici donne trentenni del Sulcis Iglesiente, provincia più povera d’Italia e conosciuta ai più a causa del suo tasso di disoccupazione, della bassa natalità, del suo spopolamento e della morte del sogno industriale iniziato negli anni 60.

Cos’è “30 ANNI MAMMA”? “30 anni mamma” è una campagna di comunicazione sociale che nasce con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica al tema della conciliazione dei tempi di lavoro e della famiglia delle giovani donne. L’idea nasce dal presupposto che un figlio cambia la vita: in modi diversi, ma è sempre vero per tutte, al punto di essere un’ovvietà. Dodici mamme con i loro figli, ci dimostrano che una donna giovane può oggi, anche in un territorio depresso economicamente, avere figli prima dei trent’anni senza per questo rinunciare alla sua formazione, al suo lavoro, ai suoi sogni.

Qual è l’obiettivo? L’obiettivo del progetto è guardare la maternità come ricchezza, privilegio e proiezione verso il futuro. Fotografare un mondo poco esplorato e andare oltre le statistiche, provando a leggere il territorio con occhiali diversi. Accostare stili di vita visti in contraddizione, che queste storie ci dicono essere possibili.

Chi sono le 12 donne che fanno parte del progetto? Le giovani donne sono delle tipiche “ragazze della porta accanto”. Donne semplici divise tra famiglia e lavoro, che cercano nonostante tutti i problemi del nostro territorio a realizzare comunque il sogno di una famiglia. Tra loro tante professioniste, impiegate e persino un sindaco.

Cosa significa essere madri nel Sulcis, un territorio economicamente allo stremo che può essere considerato il “Mezzogiorno della Sardegna”? Essere madri nel Sulcis significa lottare contro un territorio dove la scarsità di risorse e la logica assistenzialistica ha spento l’iniziativa e la speranza delle persone. Una provincia dove a volte vincono i pregiudizi e dove si punta ancora poco sui giovani. Nonostante ciò, il nostro territorio – cosi come i piccoli centri dell’Isola – conserva ancora quei rapporti e legami solidali che ci permettono di avere un sostegno per la crescita dei nostri figli. Qui vale ancora la frase: “I figli non sono solo dei genitori, ma di tutta la comunità che li accoglie”.

Quale è stato il prodotto finale del progetto? Una mostra fotografica, composta da una foto per ogni mamma con i propri figli, accompagnata da una maglia con un breve racconto della giornata tipo di ognuna di loro. Le autrici del progetto hanno scelto di raccontare la maternità tramite la strategia dello storytelling, utilizzando la narrazione, una delle pratiche più antiche ed efficaci della buona comunicazione, con l’obiettivo non solo di informare il pubblico, ma soprattutto di trasmettergli emozioni. Per questo, la scelta di entrare a casa di ogni singola mamma coinvolta nel progetto, seguirla e raccontare la sua giornata  tipo. Il tutto con molta sobrietà, consapevoli del fatto, che una storia semplice è una storia forte. 

Cos’è la maternità oggi? La maternità è tutelata nel nostro Paese. In molti casi è possibile astenersi dall’attività lavorativa anche per lunghi periodi, sia in gravidanza sia dopo la nascita del bambino, ed avere poi agevolazioni, alla ripresa del lavoro. Eppure, non è ancora sufficientemente valorizzata.  La maternità dovrebbe diventare il tema centrale della programmazione politica e della sensibilità sociale. Un investimento per i cittadini, finalizzato ad un radicale rinnovamento culturale.  Diventare genitori non è solo una scelta individuale, ma un servizio sociale di valore incommensurabile, un oggettivo investimento sul futuro che un Paese dovrebbe valorizzare e promuovere. Il nucleo della nostra organizzazione sociale dovrebbe “sentire” la centralità e la priorità di questa scelta facendo sì che le donne non siano più costrette a scegliere tra il lavoro e un bambino, tra la carriera professionale e la maternità.

Le protagoniste del progetto “30 anni mamma” emancipate dalla maternità “obbligatoria” del passato, diventano protagoniste di una maternità davvero libera, perché la sentono prestigiosa, consapevole. Per loro la maternità deve diventare non solo possibile, ma soprattutto influente. Senza con questo giudicare chi sceglie liberamente di non essere madre o chi non riesce a diventarlo proprio perché, finalmente, la consistenza sociale delle donne non è più identificata con la capacità di avere figli come un tempo, ma diventa libera scelta.

A metà marzo avete presentato il progetto a Bruxelles con la partecipazione di parlamentari e funzionari provenienti da vari Paesi Europei. Raccontaci l’esperienza! L’esperienza di Bruxelles è andata molto bene. La mostra, dal 14 al 18 marzo, è stata inaugurata dal Parlamentare sardo Salvatore Cicu e hanno partecipato Europarlamentari di diversi Paesi europei, soprattutto donne. E’ emersa l’attualità del tema della mostra e si è parlato delle politiche europee che favoriscono la conciliazione. Tutti concordavano ad ogni modo sul fatto che ci fosse ancora tanto da fare per aiutare le donne nel loro doppio ruolo.

I prossimi obiettivi di “30 anni mamma”? I prossimi eventi sono una mostra a Roma a partire dal mese di maggio che durerà per tutta l’estate. Nel cassetto il sogno del documentario.

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