di Cristoforo Puddu
Gli studiosi assegnano l’invenzione della ruota ai Sumeri del V millennio a.C., nell’antica Mesopotamia. Utilizzata originariamente per la lavorazione del vasellame, ma considerate le molteplicità di funzionali applicazioni ed utilità sviluppate, è certamente da immaginare come la più geniale e rivoluzionaria invenzione che, in modo determinante, abbia impresso “velocità” al progresso tecnologico dell’intera umanità.
Ed è proprio la malia per la ruota, anzi per le ruote di bici e moto con intermezzo per le quattroruote d’auto, che segna, e caratterizza ancora di passione a 360°, la vita del giornalista e studioso di poetica sarda Salvatore Tola.
In un percorso di scrittura autobiografica, appunto con l’opera titolata Le ruote e pubblicata come ventiquattresimo volume nella “Piccola collana di memorie” edita dalla Soter, Tola rappresenta l’innato senso di movimento-viaggio – talvolta mettendo alla prova i propri limiti nella “sfida” con motori e meccanica – nell’esplorare il mondo con i suoi mezzi “alternativi”, dove le due ruote muovono l’anima nell’emozionante coltivo di scoperte, di libertà e ricchi rapporti interpersonali.
L’originale biografia ha l’imput iniziale da una foto, risalente all’ottobre del 1940, in cui l’autore, come significativo segno di iniziazione e “a soli due mesi e mezzo”, compare dentro una solida carrozzella “dalla struttura compatta di evidente ispirazione teutonica”. Al neonato, orgoglioso del mezzo dalla superba gommatura e già attento nello sguardo da immortalare nell’obiettivo fotografico del genitore, segue il racconto del vivace ed energico andare di ragazzo “disinvolto guidando la bici”; una bici protagonista “un po’ per bisogno un po’ per divertimento” perché usata per raggiungere la scuola o la parrocchia, fare le frequenti commissioni, la spesa (“con le borse gonfie appese al manubrio”) e per socializzare con i coetanei o raggiungere il mare. Il narrare è un quadro collettivo ricco di personaggi, luoghi e di particolari sull’infanzia ed adolescenza romagnola, trascorsa tra le province di Ravenna e Forlì, dove il padre del Tola prestava servizio nella guardia di Finanza.
Ma è la scoperta dell’universo dei motori ha rendere mitica ed avvincente la passione del giovane Salvatore per le moto: rivivono, con tratti di pura competenza tecnica e meccanica, i modelli Guzzi, Gilera, Benelli, l’Aquilotto Bianchi, gli scooter Lambretta e Vespa, la monocilindrica GTV, il Capriolo 125 e la Motom, 48 di cilindrata, dello scrittore Dante Arfelli di Cesenatico.
Anche con il trasferimento in Sardegna della famiglia Tola, correva l’anno 1954 e si stabiliscono nella campagna sassarese in regione Logulentu, la bici conserva la sua primaria utilità: permette al quattordicenne Salvatore di raggiungere l’Istituto magistrale che frequenta, con grande serietà e profitto, a Sassari. Il conseguimento del diploma è segnato dall’acquisto di una Legnano “col manubrio sportivo, i freni a cavo flessibile e il cambio a quattro rapporti”.
Il parco motori che circola, in quegli anni, nei dintorni di Sassari è ancora modesto e l’attenzione-passione del giovane Salvatore si rivolge per le moto Morini, le Iso, l’Alpino 125 e la Galletto Guzzi che fedelmente l’accompagna per le diverse sedi di insegnamento tra sassarese, Anglona e Meilogu.
Di grande interesse la descrizione storica e sociale degli anni sessanta, coi discorsi popolari e “specialistici” in tema d’auto, nella fase di massima diffusione delle Fiat Cinquecento e Seicento. E ancora i viaggi giovanili, da Parigi al Marocco o da Trieste al kibbutz in Israele, in auto con amici e mitiche Seicento con “marmitta Abarth che aumentava appena il rendimento e produceva un bel rombetto”.
Di pari passo all’acquisto di auto (Cinquecento, Mini, Ford, Renault) e moto (Guzzi 250 Airone, Suzuki 400 e 750, SP III e Norge) seguono le biografiche vicende personali e familiari che arricchiscono piacevolmente la narrazione-viaggio ed attestano la fedeltà di Salvatore “a tutte le ruote che hanno fatto parte della mia vita”.