“E’ dal culto dei morti che nasce la civiltà” ed è questo che il Circolo Sardi di Udine “MONTANARU” ha fatto nelle due giornate di celebrazione del centenario della Grande guerra . Sabato 12 Marzo alle dieci del mattino nelle sale del circolo il nostro presidente, Domenico Mannoni, sempre di poche parole,oggi ancor più laconico, apre i lavori facendo partire l’inno della Brigata SASSARI. Tutti in piedi e … ” China su fronte … ” ascoltiamo silenziosi le amate voci. Il moderatore della giornata di studio, prof. Carmelo Spiga socio fondatore del Circolo, nel salutare gli illustri relatori e tutti i convenuti, ci tiene a ricordare di essere figlio di un “Sassarino” che ha fatto la guerra dal primo all’ultimo giorno e commosso ricorda che il monumento primigenio, creato dalle mani stesse di un fante sardo alla “Sassari”, è stato scoperto al Azzida ove, incisa con la baionetta in un masso, c’è la scritta che “Lì” la Sassari ha bivaccato. Nulla di più imperituro.
Poi ha letto una pagina in cui si ricorda Pasqualino Fior, tenente della JI’ Compagnia del 151°Reg.to della Sassari, era un Friulano di Belvedere d’Aquileia, tacitu-: J, sempre vigile tutto vedeva e di tutti si prendeva cura, tanto che i suoi fedeli fanti, di nascosto, fra di loro, lo chiamavano “Fiorellino”. La personale “balentia”, che gli è valsa la stima e l’affetto di tutti, sottoposti e colleghi, l’aveva dimostrata nel Febbraio del 1916 sul Carso dove la Sassari era in linea da oltre un mese ed era decimata dai continui assalti. Al rientro nella propria trincea dopo l’ennesima vana sortita, si era accorto che il suo fedele sergente Guarducci, fino a poco prima alle sue spalle, non era rientrato e, senza indugio, era tornato sui suoi passi a cercarlo, lo ha trovato ferito gravemente alle gambe, lo ha caricato sulle spalle e riportato in trincea! E’ lo stesso Fior, promosso capitano, che l’anno dopo a monte Zebio, sull’altipiano dei Sette Comuni al comando della lA compagnia contrastava l’avanzata austriaca con successo. Ed è lo stesso Fior che con i sardi Salis, Mariani, Banu e altri non nominati, ad essere stato assolto a guerra finita, dai giudici militari per aver, legittimamente impedito con le armi sparando al maggiore Marchesi ,ubriaco e fuori di testa, di procedere alla “decimazione” di presunti disertori. A sparare fù il Salis ma, gli uomini della Sassari non lo hanno lasciato solo a prendersi la colpa e forse la condanna a morte.
Qui s’invera il Motto “Forza paris”.
Prende la parola un’autorità indiscussa in ambito Storico/militare: è il Col. (Ris.) Lorenzo Cadeddu nato a Gergei (NU), vecchio amico del nostro Circolo. Una pagina non basterebbe ad elencare i suoi plurimi comandi e le sue molteplici specializzazioni con le relative pubblicazioni e collaborazioni onuste di decorazioni. Da buon militare entra subito in argomento: il 1915 si conclude male per il Regio Esercito. Nel 1916 la Sassari, che era a riposo ad Aiello dopo mesi di Carso a ricostituire i ranghi decimati nelle gloriose vicende nelle trincee dette delle “Frasche” e poi dei “Razzi”, viene inviata d’urgenza sull’Altipiano d’Asiago a tamponare la massiccia offensiva austro/germanica tendente a far abbandonare il conflitto all’Italia per poi impiegare la massa d’urto tedesca sul fronte franco/belga nord-occidentale.
Come accadeva a Cadorna di trovare resistenze da parte del Ministro della Guerra Zuppelli, anche il Gen.le Conrad ha dei contrasti con i pari grado austriaci sul numero di unità da impiegare, tant’è che le due offensive si bilanciano. La nostra VA Armata è al comando del Gen.le Frugoni e la ha al comando del Duca d’Aosta, combattono furiosamente, non mancano le stragi d’ambo le parti fino all’esaurirsi per fame dell’offensiva austriaca.
E’ in questi frangenti che si verificano i fatti narrati dal Ten.te Lussu nel suo” Un anno sull’Altipiano” di cui abbiamo narrato l’epilogo con l’assoluzione piena dei fanti della Sassari dall’accusa infamante di omicidio di comandante.
Supportato dall’ormai immancabile sequela d’immagini memorizzate in un p.c., inizia il suo dettagliato intervento il Prof. Marco Pascoli di Ragogna (UD). Seppur giovanissimo è nato nel 1985, è già unanimemente riconosciuto come esperto di Storia militare della Grande guerra, tanto da essere ufficialmente incaricato dalla Reg.ne Friuli – VG. Quale esperto storico Grande Guerra (L.R. 11/2013) e di presiedere il Museo e luoghi della Grande guerra di Ragogna che merita senz’altro una visita accurata.
La sua è una puntuale e dettagliata descrizione dei fatti d’arme, chiamati “la battaglia di Ragogna, conseguenti alla rotta di Caporetto. Siamo alla fine d’Ottobre del 1917la 14/\ Armata del generale prussiano Otto von Below, forte di circa 50 mila uomini e 450 cannoni, cerca con tutto l’impeto di tale forza, di valicare il Tagliamento in piena prima che il nostro Corpo d’Armata Speciale, fortemente voluto dal Gen. Cadorna in contrasto fin col Ministro della Guerra, formato dalle Brigate di fanteria: Bologna, Lombardia, Lario e Barletta più unità minori per un totale-di . circa 20 mila effettivi e 120 pezzi d’artiglieria con scarso munizionamento, varcasse il fiume e facesse saltare i ponti di Pinzano e Comino. Sono tre giorni di strenui combattimenti che coinvolgono tutta l’area compresa fra San Daniele e Forgaria nel Friuli e solo nella notte del 4 Novembre del 1917 le forze Tedesche riescono a passare sul ponte di Comino rabberciato alla meglio. Le nostre Divisioni riuscirono, dopo sanguinosi combattimenti a far ritardare di almeno 24 ore la conquista del terreno oltre il Tagliamento, consentendo così al grosso delle nostre forze di sfilare alle pendici della pedemontana veneto/friulana e di attestarsi oltre il Piave.
La Divisione Bologna viene sacrificata lasciandola sola con alle spalle il Tagliamento in piena, il ponte saltato, e i tedeschi di fronte. Viene decorata di medaglia d’argento ed è anche l’epopea del Generale Carlo Sanna, di cui oggi celebriamo i fasti d’armi, che, al comando della Div.ne Catanzaro, viene decorato con l’Ordine Militare di Savoia, la massima decorazione del tempo.
Dovrei ora descrivere l’interessantissima sequela d’immagini fotografiche che il terzo relatore, il Prof. Alberto Monteverde di Cagliari, lui pure titolare di una lista interminabile di titoli accademico/onorifici, ci ha recate ricavandole proprio dall’archivio personale del Generale Sanna ma, avendo lo stesso allestita nei locali del Circolo una Mostra dal titolo: “La guerra a fuoco. La grande guerra dei Sardi nelle raccolte fotografiche del Generale Carlo Sanna “. E’ opportuna una visita individuale lenta ed accurata dei pannelli espositivi : ognuno guardi, legga e giudichi personalmente fatti, persone ed avvenimenti, sono immagini che parlano da sole!
L’intensa mattinata di relazioni si conclude con il nostro Presidente che ,elencate brevi note d’ordine pratico, fa partire l’Inno di Mameli. Tutti in piedi senza chinare la fronte!
Domenica 13 Marzo ci ritroviamo numerosi sul piazzale antistante il Sacrario di Redipuglia per iniziare l’escursione storica alla famosa” Trincea delle Frasche”, ci ragguaglierà sempre il dr. Marco Pascoli. Iniziamo raggiungendo, dopo Sagrado in località Castelvecchio, la villa del ‘700 che in tempo di guerra era adibita, mezzo diroccata, ad ospedale di retrovia; ora è sede di una moderna avanzatissima azienda vinicola che conserva però amorevolmente, al suo interno, i disegni, le memorie e i pensieri scritti a matita dai ricoverati sulle pareti del salone principale.
Significative e commoventi le frasi conservate con semplicità francescana dall’attuale proprietaria che ha dedicato il luogo anche alla memoria del poeta Ungaretti che fu a combattere sul Carso e di ritornarvi in età avanzata cambiato nell’animo e nella visione sulla guerra.
Attraversato un lungo vigneto spazzato dalla Bora, il relatore ci fa notare l’ampio anfiteatro di monti che circondano l’altura di Castelnuovo dove ci troviamo, che spazia ben oltre il monte Nero fino al lontanissimo, ultimo orizzonte, col monte Grappa. E’ un “quoziente”,così chiamato in termini militari, che è costato, per conquistarlo, la vita di numerosissimi soldati. Le date e il numero di battaglie si susseguono puntuali ed incalzanti tanto da non riuscire a memorizzarle.
Ultimo ampio vigneto e, attraverso un cancello che delimita l’azienda, poniamo finalmente piede sul terreno duro, ostico e tagliente del Carso non domo, tanto simile per certe gibbosità Pietro se, a quello ben noto ai ” Dimonios !” della natia “Sardigna”. C’inoltriamo a fatica e in fila indiana interminabile in un sentiero irto di pietre intagliate dall’acqua e dal vento e di arbusti spinosi che tentano d’imitare il filo spinato e trattenerti pel giaccone. Quozienti e doline si alternano senza soluzione, per ognuna ci sono date, battaglie e morti da ricordare. Tanti, troppi. In ogni dolina c’era un cantuccio per la sepoltura dei morti con accanto una baracca per i temporaneamente vivi.
Un cunicolo scavato con la dinamite segnala un posto di comando/ricovero, siamo vicinissimi alla trincea delle” Frasche” che, tutto sommato, non si distingue molto dal terreno circostante. Forse troppa e ridondante è la fama che la circonda.
Trincea e camminamenti protetti da lunghi e sinuosi ripari di sassi, delimitano un’ampia dolina degradante, chiamata la “Fossa dei Bersaglieri” per le tante, innumerevoli vite di quei valorosi soldati spese nel vano tentativo di conquista che, non senza sforzi reiterati, è poi riuscita ai nostri indomiti Sassarini.
Forse non tutti ma i più anziani un “Requie” silenzioso lo hanno recitato.
Poco distante, sulla sommità della” Quota”, così a caro prezzo conquistata, raggiungiamo il monumento, eretto negli anni 20, a futura memoria in onore della Brigata Sassari.
Foto di rito con sventolio di bandiere coi quattro mori bendati anche con il folto gruppo di partecipanti non Sardi che hanno deciso, coraggiosi poiché ben più giovani dei Soci del Circolo Montanaru, di fermarsi per un pranzo al sacco sul ventoso altipiano e poi proseguire la visita guidata verso altre località carsoline coinvolte nella guerra.
Noi, stanchi ed in clamoroso ritardo, ci avviamo lenti all’agriturismo di Doberdò del Lago dove ci aspettano per un pranzo che si è rivelato “ottimo ed abbondante” .
Visto che abbiamo iniziato con la frase … ” E’ dal culto dei morti che nasce la civiltà “, ci sia consentito ricordare anche i Caduti della parte avversa, quelli cioè che indossavano la divisa grigio/azzurra austriaca e che, guarda caso, erano proprio di queste parti: Goriziani, Monfalconesi, Cormonesi, Triestini, Trentini, Istriani e Dalmati ma, tutti di lingua, religione e cultura Italiana. Erano oltre centomila giovani che già dall’Agosto 1914 sono stati arruolati nell’ Imperial esercito austro-ungarico e in più di ventimila sono morti combattendo per l’Austria con onore e in molti sono stati anche decorati sul campo in Galizia, l’odierna Polonia, sul fronte Russo. L’Italia li ha volutamente dimenticati, non solo, ma appena rientrati nel 1918 a casa propria, ora terra “redenta”, dal fronte galiziano o dalla prigionia russa, i reduci venivano diffidati dai carabinieri a raccontare ciò che avevano vissuto. E’ solo da pochi anni che è possibile dire qualcosa dei fatti accaduti senza essere tacciati di disfattismo austriacante.
La nostra amata Italia ha sempre taciuto! E’ questa la vera “damnatio memoriae” .
Per non concludere in modo che può sembrare avulso dal contesto di grato ricordo della Brigata Sassari da parte di chi scrive, un alpino friulano, vorrei riportare un aneddoto ricavato dal libro “Come cavalli che dormono in piedi” di Paolo Rumiz Ed. Feltrinelli 2014. Scrive il Rumiz: …. ” Il 24 maggio del ’15 la cavalleria italiana passa il confine austriaco dalle parti di Cervignano e chiede a un vecchio seduto sulla porta di casa:” Scusi buon uomo, dov’è il nemico?”. E il buon uomo tranquillo, risponde: “Veramente, signor ufficiale, il nemico siete voi”. Sic!