Ph: seduta, Michela Murgia
di Sergio Portas
Michela Murgia scrive un altro libro e lo viene a presentare alla “Feltrinelli” di Piazza Duomo, le fa da cavalier servente Marco Missiroli, uno degli “enfant prodige” ( è nato nell’81) della nuova letteratura italiana, suo ultimo successo: “Atti osceni in luogo privato” che proprio Feltrinelli ha dato alle stampe nel 2015, dopo che gli ultimi tre suoi li aveva pubblicati con Guanda, l’esordio con Fanucci nel 2005: “Senza coda”. Marco è un fusto che, a ferma militare imperante, sarebbe finito con corazza e schiniero d’ordinanza tra quelli che di norma fanno ala al capo dello stato. Michela è sarda di Cabras ed ha nei geni, come hanno scoperto da non molto i lettori compulsivi di DNA, quel fattore che a noi isolani impedisce di crescere più che tanto, in altezza s’intende, perché a connessioni neuronali scatenanti intelligenza ha davvero pochi rivali. Non si mettono comunque troppo vicini, i due, consci dell’effetto che una volta si diceva dell’articolo “il”, di quelle coppie che per baciarsi guardandosi negli occhi occorreva usufruire di una qualche panchina, cosa di cui posso portare testimonianza capitandomi, alla fine degli anni ’70, di cadere in amore per una stangona bionda di Parabiago. Ricambiato per altro. Michela l’ultima volta che l’ho incrociata, era in giro per la Sardegna a fare campagna elettorale per una lista indipendentista che, anche grazie a lei, ottenne un ottimo risultato in termini di voti e di percentuale e che comunque non arrivò ad avere rappresentanza nel nuovo consiglio regionale sardo. Ci avevano pensato i “partiti tradizionali”, destre e sinistre uniti nello scempio, a impapocchiare senza neanche vergognarsi tanto, giusto gli ultimi mesi della legislatura, una legge elettorale che neanche Erdogan in quel d’Istambul, senza il dieci per cento di consensi non hai rappresentati, che qui da noi si predilige il concetto di governabilità a scapito di quello di rappresentanza, e per la verità pure il Matteo nazionale sembra farsi fautore di scelte che vanno in questa direzione. Per il vostro cronista, proporzionalista di ferro, una vera bestemmia democratica. Michela era a Marceddì con Omar Onnis e il suo libro “Tutto quello che sai sulla Sardegna è falso” e, ricordo bene quella fine d’estate, i muggini dello stagno spiccavano salti da salmone irlandese, per rimpinzarsi d’insetti e zanzare: sullo sfondo i monti del guspinese, un bel contrasto con il dicembre milanese di oggi, le luminarie natalizie di piazza Duomo a contrastare una nebbia soffusa di polveri sottili e sottilissime, aerosol di porcherie condito col benzene della cosiddetta benzina “verde”.
E poi vanno a fare studi di anni del perché in Sardegna si vada a morire spesso dopo i cent’anni ( non in tutta in verità). Vestito nero lungo, capelli tagliati corti, e qui la finisco che so per certo lei non apprezzerebbe per nulla questo mio esordio che riferisce del suo aspetto fisico, con Marco Missiroli sono del resto d’accordo nel riconoscere a loro maestra Simone de Beauvoir, la scrittrice e saggista nonché filosofa e femminista francese, compagna di una vita di Jan Paul Sartre. Un’altra che scriveva libri “intelligenti”. Come questo “Chirù” del resto, storia di una relazione tabù, una affermata attrice di anni trentanove che si fa “maestra” di un diciottenne, che studia violino al conservatorio di Cagliari. Dice Michela, muovendo a riso il pubblico strabocchevole che affolla lo spazio Feltrinelli destinato alla presentazione di libri: “In Italia una donna non può essere “maestro”, in Sardegna persino gli artigiani (maschi) sono “mest’ e muru” o mest’ e linna (muratori e falegnami, maestri di muro o del legno), le maestre italiane che sono andate per la maggiore avevano fiocchi e penne rosse deamicisiane, poche che sapessero insegnare facendo forza sulle loro debolezze, con la coscienza che pretendere di far passare agli alunni ogni sapere personale vuol dire correre il rischio di passare per padreterni. Che è attraverso la relazione che passa il potere, quello debole di cui tutti disponiamo, ma anche quello forte, il potere dell’amore per esempio: “Fallo per me, se mi ami veramente!”. Nei casi peggiori è solo gerarchia”. Raccontano del libro naturalmente, ed è anche difficile perché trattasi di una storia senza una trama ben definita, una roba che davvero occorre essere scrittori per solo pensare di intraprendere: questo diciottenne che si offre e insieme chiede: insegnami! Voglio il tuo magnetismo, voglio il tuo carisma. Tutte cose che non si assumono per osmosi. Michela ribadisce qui, per l’ennesima volta, quanto l’abbia segnata il suo scegliere a diciassette anni di diventare “filla ‘e anima” (lei dice solo : in me c’è un poco di Chirù), la sfrontatezza di un adolescente che osa dire ad un adulto, non necessariamente parente di famiglia: prendimi! Per i meno esperti di cose sarde, ricordiamo che lo stato di “fill’e anima” consiste in una sorta di affido non codificato, per cui il bimbo che lo subisce (o lo sceglie, ammesso ne abbia la forza e l’autonomia) pur crescendo in una famiglia che non è quella di nascita, continua comunque a farvi riferimento, sia in termini materiali che affettivi. Cresce con due mamme, non a caso in apertura di “Accabadora”, il libro che l’ha fatta conoscere in trenta lingue diverse, Michela dedicava sintetica: “A mia madre. Tutt’e due”. E non è un caso che la magia di “Accabadora” deve molto a come sia descritto questo rapporto tutto particolare che si instaura tra la bimba Maria e tzia Bonaria Urrai che la sceglie “a figlia d’anima” il giorno che la vede rubare due ciliegie in un negozio, perché “le colpe, come le persone, iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge”. Lo stesso concetto che, a proposito di Chirù, ribadisce Marco Missiroli, citando Danilo Dolci: “Ciascuno cresce solo se è sognato”. “Si, è molto vero, dice Michela, tutti i genitori sognano per i propri figli. Ma per i figli questi sogni molti diventano incubi. Eleonora ( la protagonista del libro) viene da una famiglia violenta. E la famiglia è un luogo pericolosissimo. Anche quella di Chirù, pur rientrando in una fascia sociale alta, una dinastia di farmacisti, pretenderebbe che lui seguisse il medesimo percorso. E anche se invece di andare al calcetto viene iscritto al conservatorio non per questo il sogno in cui Chirù si trova inscritto è meno deformante”. Questi genitori che prefigurano sin il lavoro futuro per i loro figli! Ridono tutti in sala quando Michela dice della sua mamma (quella naturale) che sempre alla domanda che le rivolgono sul suo mestiere, il classico: ma cosa fa tua figlia? Ancora oggi risponde: niente, scrive… Che scrivere non sarebbe lavoro, non comporta fatica. A Marco che le chiede come nasca l’idea di un libro e come la porti avanti Michela risponde: “Di storie vivendo ne incontri continuamente. Non scrivo a mano, mi servo delle potenzialità che ti regala il computer. Ho un “file-master” dove appoggio cose. Un altro in cui metto le storie, ogni tanto lo apro e ne cancello alcune. Se dopo tre anni una storia è ancora lì, vuol dire che deve essere scritta. Ma è il primo“file-master” che è il più importante: lì c’è la lingua che userò. E poi ci sono i contatti con l’editor. Fondamentali, dopo averlo sentito a volte mi capita di buttare capitoli interi. E per questo libro ne ho avuti ben quattro”. Potenza dell’Einaudi editore! Emma Dante, dice di lei Wikipedia: è un’attrice teatrale, registra teatrale e drammaturga italiana, una delle più grandi del palcoscenico nazionale, dico io, ha scritto di questo libro nel “Corriere della sera”: “…La scrittura della Murgia è un continuo ragionare che ti mette allegria e subito dopo ti fa soffrire come legger un trattato sulla vita dove regna il delirio. Quando ti sembra di capire precisamente le cose e sei a un passo dalla soluzione, dalla sentenza finale, tutto ti scoppia e ti fai male, ricomincia a girare il coltello nella piaga, ricominci a ridere per il solletico che ti fa il dolore. Chirù è un libro che mi ha messo di fronte al pregiudizio di mio padre e alla morte di mia madre. Lasciandomi orfana…”. Anche la “rete”, luogo dove Michela naviga da sempre come fosse un capitano di lungo corso, si è accorta della magia di questo libro, il blog letterario “dustypagesinwonderland” lo recensisce scrivendone che “Chirù è un libro bellissimo, un aggettivo che, devo dire, poche volte mi sento di affiancare a un’opera contemporanea italiana (concordo pienamente)…La storia delinea una visione tridimensionale delle relazioni umane e dell’umanità, intesa come insieme di fragilità, dipendenze, sensi di colpa. Michela Murgia ha una scrittura intima; nell’indagine che compie dentro il suo personaggio ritroviamo noi stessi, ci scaviamo insieme all’autrice che sembra riversare sulle pagine il doloroso fluire di un’ombra incerta del proprio destino”. Molte le domande del pubblico, l’ultima, di un sardo: “chi te lo ha fatto fare di candidarti in politica in Sardegna?” “Perchè è necessario, non lo rifarò ma se tornassi indietro lo rifarei. Tutti mi dicevano “chi te lo fa fare” (anche il mio ex marito), io l’ho voluto. E’ stata un’esperienza bellissima!”.