Il Gremio dei Sardi di Roma ha organizzato Sabato 5 dicembre 2015 presso la Sala Italia al Palazzo Unar, in collaborazione con l’AIDE Associazione Italiani d’Egitto un incontro/dibattito con l’archeologo-sociologo Francesco Licheri sul tema“I Shardana nell’epoca Ramesside – Indicazioni storiche ed archeologiche”.L’incontro è stato preceduto da una brevissima proiezione di una intensa e coivolgente sintesi del dramma musicale in tre Atti “I Shardana – Gli uomini dei nuraghi” scritto dal Maestro Ennio Porrino e rappresentato per la prima volta al San Carlo di Napoli il 21 marzo 1959.
Il Presidente dell’AIDE, racconta che gli italiani che vivevano pacificamente in Egitto, nel 1956, hanno dovuto lasciare il paese che era terra loro e degli avi. Per il desiderio di migliorare la propria vita e il loro avvenire avevano trovato, infatti, in quelle sponde del Mediterraneo la loro fortuna e proprio in questa avventura si potrebbe individuare il legame con il popolo de I Shardana, guerrieri estremamente capaci tanto che le loro gesta sono state immortalate nel Tempio di Karnak. Nella Grande iscrizione di Karnak, infatti, il faraone egizioMerenptahparla di “nazioni(o popoli)stranieri del mare“.
La questione de I Shardana è stata così dibattuta dagli esperti del settore che si è prestata alle più disparate interpretazioni spesso in contraddizione tra di loro. Cionondimeno l’argomento ha suscitato un grande interesse dando luogo a opere della fantasia che hanno espresso ipotesi favorevolmente accolte dall’immaginario collettivo, forse ancor più vere nel cuore della gente dei ragionevoli dibattiti degli studiosi.
L’incontro dopo una breve introduzione del presidente Masia, che ha salutato la presenza in sala della vedova del Maestro Porrino, Malgari Onnis autrice dei disegni e dei bozzetti dell’opera, ha avuto inizio a cominciare dal citato dramma di Porrino che costituisce sicuramente una delle opere liriche più affascinanti del Novecento, tanto che uno dei maggiori esperti di etnomusicologia e letteratura popolare sarda, Felix Karlinger, la definì senza mezzi termini: «La più grande opera lirica composta in Italia in questo dopoguerra».
Porrino era nato a Cagliari nel 1910, si era affermato negli anni del fascismo, ma dopo la fine della guerra fu epurato e costretto ad accettare incarichi minori. Il maestro si è subito occupato di una accurata rielaborazione della musica popolare sarda con la sinfonia “Sardegna” (1932-1933), poi ha composto nel 1959, come detto,“I Shardana”,rappresentata al San Carlo di Napoli con ottimo successo, e, dopo un lungo silenzio, al Teatro Lirico di Cagliari nel 2013, quest’opera che descrive una civiltà arcaica fiorita nell’Età del Bronzo sull’Isola al centro del Mediterraneo, tra riti d’iniziazione alla vita militare e battaglie per mare e per terra a difesa delle coste contro le invasioni nemiche, in uno scenario di rude bellezza dominato dalle architetture megalitiche.
È vivo in Porrino il mito delle genti dei nuraghi e la sua passione per questo tema si innalza in momenti cruciali del dramma come, ad esempio, nel cosiddetto Inno dell’isola e nella danza nuragica del primo atto o nella disperazione di Nibatta, l’archetipo della mater dolorosa, nel terzo atto, quando piange la morte del figlio Torbeno, un lamento funebre tipicamente sardo (un attittidu) cantato, però, in italiano.Lo strazio di questa madre e il dolore del padre Gonnario, culminano nel compianto delle Voci dell’Universo; poi nel finale ritorna l’armonia, l’antico regno lascia il posto al nuovo, sotto la guida salda di Norace e torna a risuonare, come all’inizio, la voce di Perdu, il pastore-guerriero che canta la Sardegna, la sua bellezza e la sua storia, il valore delle sue genti. Si tratta di una Sardegna proiettata in una preistoria mitica, tra torri di pietra e volti imperscutabili dei bronzetti, tra immagini di guerrieri e musici, re e sacerdoti, nell’incalzare dei canti e delle danze militari e nella melodia suadente e volutamente “popolare” del canto dei pastori, dove non manca la passione di due amanti in un abbandono in cui si fondono irrimediabilmente eros e thanatos.
Masia ha comunicato di aver scritto di recente all’Opera di Roma affinchè esamini la possibilità di mettere in scena “I Shardana”. Un sogno, un desiderio…da coltivare!
L’immagine de “I Shardana” ha ispirato questa e altre opere, come i romanzi storici di Leonardo Melis “I Shardana- I popoli del mare” e “I Shardana – I principi di Dan”.
Quale sia la verità su “I Shardana” è un mistero, visto che la questione è ancora incerta.
Nel corso dei decenni sono state proposte varie ipotesi, fra queste due sono quelle più ricorrenti:
I Shardana provenivano dal mediterraneo occidentale e sarebbero identificabili con le popolazioni nuragiche della Sardegna.
I Shardana provenienti dal mediterraneo orientale, si insediarono in Sardegna a seguito della tentata invasione dell’Egitto.
Nel corso dell’incontro l’archeologo-sociologo Francesco Licheri si è occupato, come previsto, di questo tema, attraverso un racconto dettagliato e documentato dalle fonti, sposando senza dubbio la prima ipotesi e partendo dalla considerazione fondamentale che il periodo in cui si riscontrano nel mediterraneo I Shardana coincide con quello in cui in Sardegna vivevano i popoli nuragici.
Una delle teorie più accreditate, quindi, è che “I Shardana (o Sherden)” fossero una delle popolazioni, citate dalle fonti egizie del II millennio a.C., facenti parte della coalizione dei popoli del mare; la loro presumibile identificazione con gli antichi Sardi è, al momento, oggetto di dibattito archeologico.
Nella corrispondenze occorsa fra Rib-Hadda di Biblo e il Faraone Akhenaton, “Lettere di Amarna”, databili al 1350 a.C. circa, si trova la menzione più antica del popolo Šrdn/Srdn-w, detto Shardana o Sherden, descritto come un popolo di pirati e mercenari, pronti ad offrire i loro servizi ai signori locali.
Nel 1278 a.C., Ramses II sconfisse I Shardana che avevano tentato di saccheggiare le coste egiziane assieme ai Lukka (L’kkw, forse identificabili in seguito con i Lici) e i Shekelesh (Šqrsšw), in uno scontro navale lungo le coste del Mediterraneo (nei pressi del Delta Egiziano). Il Faraone, ammirandone la destrezza ed abilità nel combattere, volle successivamente arruolarli nella sua guardia personale.
Le loro continue incursioni e il pericolo costante che la loro presenza comportava per le coste egizie, sono descritti in un’iscrizione di Ramses II incisa in una stele ritrovata a Tanis: «I ribelli Shardana che nessuno ha mai saputo come combattere, arrivarono dal centro del mare navigando arditamente con le loro navi da guerra, nessuno è mai riuscito a resistergli».
I Shardana sono poi citati nell’iscrizionedi Qadesh, che riporta una cronaca della battaglia omonima tra Egizi ed Ittiti, dove si legge che ben 520 Shardana furono impegnati nella difesa del Faraone. I Shardana facenti parte della guardia reale sono rappresentati con il tipico elmo cornuto, con uno scudo tondo e con la spada. È curioso ricordare che, insieme a I Shardana, Ramses utilizzava un leone addomesticato, raffigurato anche nelle pareti dei templi di Abu Simbel, come guardia personale.
Molti anni dopo, una seconda ondata di “Popoli del mare”, e tra essi anche I Shardana, venne respinta dal figlio di Ramses II, Merenptah. In seguito Ramses IIIfu impegnato in un’importante battaglia con gli stessi raffigurata presso il tempio di Medinet Habu a Tebe. In quell’occasione I Shardana sconfitti, catturati, furono arruolati nell’esercito del Faraone.
Nel papiro Harris è scritto, infatti: «I Shardana e i Wešeš del mare fu come se non esistessero, catturati tutti insieme e condotti prigionieri in Egitto, come la sabbia della spiaggia. Io li ho insediati in fortezze, legati al mio nome. Le loro classi militari erano numerose come centinaia di migliaia. Io ho assegnato a tutti loro razioni con vestiario e provvigioni dai magazzini e dai granai per ogni anno».
Queste unitamente a tante altre indicazioni da parte dell’archeologo Francesco Licheri che nello sviluppo delle sue argomentazioni ha fatto riferimento ad immagini che venivano proiettate sullo schermo e che riguardavano, stele, bassorilievi, bronzetti nuragici, navicelle, tavolette, papiri, cartine geografiche ecc.
A conclusione della presentazione e conferenza ed anche del vivace dibattito sviluppatosi, si può affermare che l’ipotesi Shardana=Nuragici sia più che una ipotesi, più che un mito, più che un sogno, sia una realtà che, seppurein attesa di verifica definitiva da parte degli studiosi ed addetti al settore, va a coincidere con la suggestione suggeritaci da Ennio Porrino.
E per quanto mi riguardami piace continuare, da sarda non archeologa ma semplicemente scrittrice ed innamorata della mia Terra, su questo affascinante tema dal valore fortemente identitario riferendo i punti di vista di altri scrittori e ricercatori tutti abbastanza coincidenti con la sovrapposizione fra Shardana e Sardi Nuragici.
Il ricercatore Leonardo Melis ha teorizzato che I Shardana fossero una popolazione mesopotamica, proveniente da Ur, che si insediò in Sardegna nel III millennio a.C. Secondo Melis lo “ziggurat” di Monte d’Accoddi (SS) sarebbe una prova della presenza Shardana-mesopotamica nell’isola.
Un’altra ipotesi che lega I Shardana e la Sardegna è quella proposta da Alberto Areddu che li descrive come una popolazione di navigatori sardo-illirica. Altri elementi che vengono citati dai vari autori a favore dell’ipotesi sarda sono: la provenienza isolana de I Shardana , descritti come“il popolo delle isole che stanno in mezzo al grande verde”, la famosa iscrizione in lingua fenicia “SHRDN” incisa sulla stele di Nora e il rinvenimento di reperti nuragici quali ceramiche, utensili e lingotti nell’Egeo. La navigazione dei Sardi verso quell’area del mediterraneo è testimoniata inoltre dal mito di Talos, un gigantesco automa di bronzo invulnerabile, la cui statua vivente fu creata da Efesto per Zeus,incaricato da Minosse di sorvegliare l’isola, mettendo in fuga gli stranieri (e in particolare ai Sardi) che tentavano di raggiungere Creta.
Altri studiosi considerano I Shardana come una popolazione anatolica originaria della città di Sardi.
Recentemente l’archeologo sardo, Giovanni Ugas, direttore dei lavori di scavo della “Tomba dei guerrieri“ di Decimoputzu (CA), ha rinvenuto 13 spade in rame arsenicale a lama triangolare, analoghe a quelle raffigurate nei bassorilievi egizi, datate al 1600 a.C. circa, cioè a un’epoca precedente all’apparizione deI Shardana in oriente.
Ugas ha inoltre collaborato con l’archeologo Adam Zertal il quale sostiene che il sito israeliano di El-Ahwat, che presenterebbe alcuni parallelismi con i nuraghi, sia stato edificato dai Sardi.
Un altro apparente esempio di architettura nuragica al di fuori della Sardegna, secondo Ugas ricollegabile a I Shardana, sarebbe il pozzo sacro di Gârlo scoperto nei pressi di Sofia (anticamente Sardica) in Bulgaria.
In base a questi ritrovamenti, Ugas si è fatto propugnatore della identificazione deI Shardana con le popolazioni sardo-nuragiche, in particolare con la tribù degli Iliensi dimoranti nel centro-sud dell’isola.
In realtà, si possono riscontrare tracce della presenzade I Shardananon solo nell’ambito del Mediterraneo ma anche nell’Europa del Nord. In Irlanda e Inghilterra sono stati rinvenuti numerosi reperti riconducibili a questi antichi guerrieri. Conosciuti col nome di “Eracliti” dai Greci, I Shardanadiedero vita ad una civiltà assai evoluta. Oltre ad essere dei valenti guerrieri ed ottimi strateghi in ambito militare, sono abilissimi nella navigazione e nelle tecniche di costruzione delle navi, danno vita a strutture architettoniche complesse e sono esperti nella lavorazione del bronzo di cui custodiscono gelosamente i segreti.
Per produrre il bronzo, di cui hanno il monopolio nel Mediterraneo, usano il rame che abbonda in Sardegna ma possono trovare lo stagno solo in terre lontane. Dopo aver circumnavigato l’Africa, probabilmente arrivano in Zimbawe, dove si racconta fossero le leggendarie miniere di re Salomone, e dove ancora oggi, accanto alla zona mineraria, esistono le grandi fortificazioni in pietra con mura e torri tronco-coniche simili ai nuraghi, che hanno dato nome alla località e poi all’intero paese: infatti Zimbawe in lingua Shona vuol dire “grandi case di pietra”. Il loro simbolo principale èun labirinto, rintracciabile in numerosi reperti venuti alla luce negli ultimi decenni in Sardegna. Lo stesso simbolo è presente in molte altre località sparse in tutta Europa tra cui la cittadina di Chartres, nota per l’omonima Cattedrale. La vasta diffusione di reperti riconducibili al popolo Shardanaha dato origine a numerose leggende. Secondo un’antica tradizione furono I Shardana a costruire il complesso megalitico di Stonehenge in Inghilterra contribuendo alla nascita della tradizione druidica.
Chi non ricorda, poi, quella famosa leggenda sul popolo dei Feaci? Conclusa la guerra di Troja, Omero ci racconta il viaggio di Ulisse e descrive Skerìa, l’isola dei Feaci, che pone al centro del Grande Mare. Essa è stata spesso identificata con la Sardegna che successivamente i Greci chiameranno Sandalion e Ichnussa: i Feaci sarebbero i Sardi del centro ed i Lestrigoni, giganti antropofagi, sarebbero le popolazioni del nord della Sardegna.
Questa ipotesi è sostenuta da alcune considerazioni.
Sulla prora delle navi dei Feaci è presente la mano tesa nel saluto che troviamo anche nei bronzetti nuragici e che ancora oggi molti anziani sardi usano.
La capitale del regno di Alcinoo era una città circondata da parecchie torri e in Sardegna abbiamo ancora oggi più di 8000 nuraghi.
Nella sua reggia è descritto il focolare al centro della stanza con sedili di pietra intorno, come era nei nuraghi e nelle case sarde fino a qualche decennio fa.
La corte di Alcinoo è frequentata da Demodoco, un aedocieco, forse un autoritratto dello stesso Omero, e ancora oggi solo in Sardegna esiste il poeta improvvisatore che si cimenta nelle gare poetiche.
In Sardegna si vive l’ospitalità come sacrae si balla il ballo tondo simile a quello praticato dai giovani Feaci.
La Regina dei Feaci, Arete, che in greco significa Virtù, haun potere immenso per essere una donna, concilia e guida la mente e il cuore delmarito che l’ascolta e l’adora. E in tutto il Mediterraneo soltanto in Sardegna si è avuta la caratteristica del matriarcato, che ancora oggi sopravvive in Barbagia.
Omero sostiene che le navi dei Feaci non hanno bisogno di timone o timoniere, ma vanno veloci e sicure nei paesi del mondo, esse viaggiano coi pensieri dell’uomo, solcano il mare e l’abisso, avvolte in una nube di vapore e nebbia. Anche le navi deI Shardana sono veloci e si muovono senza remi né rematori.
Riguardo a I Shardana, l’archeologo australiano Vere Gordon Childe nel suo libro The Bronze Age (1930), scrive: «Nei santuari nuragici e nei ripostigli troviamo una straordinaria varietà di statuette votive e modelli in bronzo. Figure di guerrieri, crude e barbariche nella loro esecuzione ma piene di vita, sono particolarmente comuni. Il guerriero era armato con un pugnale e con arco e frecce o con una spada, coperto da un elmo con due corna e uno scudo circolare. L’abbigliamento e l’equipaggiamento non lasciano dubbi sulla sostanziale identità tra i fanti sardi e i corsari e mercenari rappresentati nei monumenti egizi come “Shardana”. Allo stesso tempo numerose barchette votive, anch’esse in bronzo, dimostrano l’importanza del mare nella vita della Sardegna».
Per i sardi nuragici la divinità superiore a qualsiasi altro dio era la “Dea Madre”, diffusa in Sardegna attraverso migliaia di statuine simbolo di femminilità e maternità, che rappresenta la donna come essere in grado di procreare e quindi di creare la vita, spesso identificata anche come Madre Terra che fecondata dal sole genera il raccolto.
Il loro dio era invece il Sardus Pater, rappresentato sempre con quattro occhi e quattro braccia e con antenne o corna.Il bronzetto più famoso che lo rappresenta si trova al museo di Cagliari, ma è stato ritrovato nell’area archeologica di Teti insieme altri bronzetti.
Platone racconta che un sacerdote egizio disse a Solone che ci fu un tempo più antico in cui gli eserciti di una grande civiltà venuta dal Grande Mare Occidentale invasero il nostro mondo tutto distruggendo e solo Atene si salvò (l’invasione del 1200 a.C.). Poi identifica questa civiltà con Atlantide, ma questa è ancora un’altra storia che piace forse al giornalista sardo Sergio Frau.
Giovanni Lilliu, in merito a I Shardana, sostiene: «I secoli nei quali si svolgono le vicende dei Sherdanw e dei confederati, che vogliono espandersi per contrastare l’egemonia della potenza faraonica, sono quelli che vedono le comunità nuragiche guidate dai loro principi toccare il massimo splendore nell’architettura e sviluppare un consistente e organizzato vivere civile, economicamente prospero».
Al di là di ipotesi, verità, leggende, il tema si presta a sogni e fantasie. Non essendoci stati tramandati testi scritti ci dobbiamo affidare alle fonti, alle ipotesi sui ritrovamenti e magari all’intuito o a una fervida immaginazione… Ma io come avete potuto verificare faccio mia la suggestione e la trasformo in realtà. L’artista può…in attesa della verità scientifica.
sicuramente una realtà ….ma la vera storia della Sardegna viene occultata da personaggi indegni …spesso e purtroppo sardi .
<<<>> La giornalista, dopo aver usato i libri di Leonardo Melis per fare questo articolo, ha preso un sono abbaglio: I LIBRI DI LEONARDO MELIS sono dei SAGGI STORICI, fra i primi di questo secolo a parlare dei SHARDANA.