I fatti di cronaca sono abbastanza noti: nel 2011 Valentina Pitzalis, all’epoca 28enne, è stata cosparsa di kerosene dall’ex marito, che ha poi tentato di ucciderla dandole fuoco. Il risultato è stato che mentre lui è morto, suicidatosi in quello stesso fuoco, Valentina è sopravvissuta, dovendosi però sottoporre a una miriade di operazioni per salvare la pelle e gli arti bruciati. Difficile, in una situazione del genere, pensare di riuscire ad andare avanti, ma basta cercare su Internet qualche sua foto per rendersi conto della forza che oggi muove questa 32enne sarda: impegnata, autoironica e sempre sorridente, Valentina non ha voluto arrendersi e, nonostante le ferite che porta, continua a dimostrare (anche nei fatti) la voglia di vivere, per testimoniare che violenza e accondiscendenza non sono, come lei pensava, modi di amare.
In tutta questa storia due cose stupiscono: la tua capacità di perdonare e la tua grande voglia di continuare a sorridere. Si può davvero andare oltre? A un certo punto mi sono trovata davanti a un bivio, dove ho dovuto scegliere se mollare tutto o continuare a combattere: forse con una buona dose di istinto di sopravvivenza e certamente con la voglia di sfruttare la seconda possibilità che mi era stata data, ho deciso di andare avanti. In questa mia scelta sono state tante le persone che mi sono state accanto e alle quali rivolgo la mia gratitudine: la mia famiglia, i medici preparati dal punto di vista scientifico e umano, gli amici e i tanti angeli che hanno iniziato a seguirmi aiutandomi psicologicamente. E così sono riuscita a perdonare quella persona, perché aveva tanti problemi, era malata a disturbata, era una delle tante vittime che miete la nostra società. Ma non ho perdonato il suo gesto, perché non ha avuto nessun senso logico. Ed ecco che, nonostante la difficoltà anche fisica nell’uso della bocca, il mio sorriso c’è ancora: ho pensato “Basta lagnarmi, voglio lasciare un segno positivo”, ossia che dalla violenza si può uscire. Bisogna solo essere più forti, riappropriarsi della propria vita e non farsi mai scalfire da situazioni come queste.
A chi rivolgi tutta questa tua carica? Sicuramente ai più giovani: assieme alla Onlus FarexBene porto avanti progetti di sensibilizzazione e informazione sui temi della violenza di genere, del bullismo e del cyberbullismo perché credo che non si debba agire solo nel pieno dell’emergenza, che non si debba parlare sempre dell’“ennesima vittima”, quanto piuttosto che ci si debba confrontare per prevenire il problema. I nostri incontri tipo si svolgono in due momenti: durante la prima parte parliamo di stereotipi di genere, affrontando il problema in maniera dialettica, studiando i dati dai quali siamo invasi e portando esempi pratici di discriminazione, magari avvalendoci di pubblicità. È un modo per parlare ai ragazzi con il loro linguaggio: capiamo perfettamente che la violenza è un tema pesante da affrontare e per questo cerchiamo di renderlo il meno gravoso possibile avvicinandoci al mondo dei giovani, a modelli che loro percepiscono come “normali”. Nella seconda parte, poi, racconto la mia storia: ci tengo molto perché non voglio che succeda più una cosa del genere, voglio che mi si guardi e che mi si prenda non come esempio ma come monito. Invito soprattutto le ragazze a non sottovalutare mai le situazioni negative in cui ci si può trovare, ad ascoltare i campanelli d’allarme senza che si arrivi per forza alle botte: io stessa, durante tutto il mio matrimonio, non sono mai stata vittima di violenze fisiche, quanto di quelle psicologiche. Lui mi opprimeva con vessazioni verbali, attuando una serie di meccanismi psicologici e convincendomi che ero io a sbagliare. Io, d’altro canto, accondiscendevo, subivo, perdevo di vista la storia, ero convinta che fosse amore. Ma amare non significa mai prevaricare l’altro. Insomma, ci tengo che gli errori che ho commesso non li commetta nessun altro, e devo dire che i ragazzi sono sempre molto attenti e curiosi: mi piace parlare con loro, non solo perchè il confronto è la cosa più importante ma anche perché sono loro i primi a darmi una gran forza.
Hai parlato di avvisaglie, ma come si fa a capire quando l’amore si sta trasformando in morbosità? Il modo migliore per capire cosa sono quegli atteggiamenti non normali è comunicare, raccontare, mai nascondersi e mai chiudersi in casa. Ecco perché riporto ai ragazzi i miei campanelli d’allarme: intimarmi di cambiare numero di telefono, dirmi che non avrei potuto vedere gli amici, impormi di indossare gonne più lunghe, fino a prendermi il telefono per rispondere alle chiamate e impedirmi di parlare con i miei genitori in sua presenza. Alcune sono piccole cose, ma è la modalità con cui vengono fatte: mi faceva passare per una brutta persona, mi metteva davanti a una scelta e io, che ero sicura di quello che provo, gli stavo accanto e lo assecondavo. Ma l’errore più grande è quello di convincersi del proprio ruolo di crocerossine: mai e poi mai credere di potere risolvere i problemi da soli, altrimenti non esisterebbero, nel matrimonio, persone esperte come gli psicologi, che hanno un compito diverso da quello che ha una moglie. Io mi incazzavo tantissimo perché non mi piegavo con facilità, ma alla fine mi prendeva per sfinimento, lui non demordeva e gliele davo buone. Non avrei mai dovuto cedere, ma col senno di poi è facile parlare. Quando ci sei dentro ti convinci che è normale, quando c’è il sentimento, quando c’è il senso di colpa per persone che si disperano per te che sei il loro unico appiglio, è un’altra cosa.
Il 25 novembre è stata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne: a che punto è la legislazione che vige su questo tema? I dati confermano che il fenomeno è sempre in crescita. Ma se le leggi ci sono, perché non applicarle? Leggiamo spesso di storie in cui il carnefice è beccato, arrestato e rimandato a casa con un semplice divieto: ebbene, in questi casi lo Stato dovrebbe essere più duro. Non mi piace quando una donna fa diecimila denunce ma viene uccisa lo stesso, non mi piace quando le pene non sono esemplari, perché si ha l’impressione che tutto questo sia normale, e si rischia l’accettazione sociale. Vero è anche che si stanno facendo i corsi di aggiornamento per poliziotti e forze dell’ordine soprattutto sul tema dello stalking, che ci sono molti centri contro la violenza che vengono seguiti dai volontari e che la violenza è una cosa talmente trasversale da colpire tutti, senza distinzione di classe sociale: ma c’è bisogno di un impegno capillare in tutti si mettano a lavorare e a fare la loro parte. Spero davvero che le istituzioni possano prestare più attenzione.
Come passi la tua giornata? Accanto alle fisioterapie quotidiane per salvare la manina che mi è restata, mi occupo di sociale con eventi di sensibilizzazione, soprattutto con la Onlus FarexBene: qui ho conosciuto Giusy Laganà, il vero lato positivo di situazioni come quella che sto vivendo, un’amica, una confidente e pure compagna di scrittura del libro Nessuno può toglierti il sorriso. E così passo le mie giornate: ho 32 anni e sono una persona normale, esco con gli amici, ascolto musica e faccio della sana autoironia. Mi piace prendere la vita così: il segreto è ridere.