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di Francesca Cocco
Ho appreso degli attentati intorno alle 22 mentre ero in sala operatoria per un trapianto di fegato. Gli anestesisti e gli infermieri della sala hanno iniziato a diffondere le notizie ma solo a fine trapianto, verso mezzanotte e mezzo, ho potuto accendere il cellulare per cercare di capire cosa stesse succedendo e soprattutto per assicurarmi che tutte le persone che conosco a Parigi stessero bene. La notte è andata in bianco, avevamo in programma un altro trapianto che è saltato perché sugli ospedali di Parigi è entrato il cosiddetto codice bianco che prevedeva solo interventi salvavita. L’ospedale in cui lavoro non ha un pronto soccorso quindi non ho avuto un rapporto diretto con i feriti degli attentati. Appurato che tutti i miei amici di Parigi stavano bene ho anche appreso che i miei amici e colleghi Gabriella e Roberto han passato la notte a soccorrere i feriti spalancando le porte di casa loro, che si trova a due passi dal Bataclan, per aiutare chi cercava riparo. Sono andata via dall’ospedale la mattina di sabato 14. Ho guidato in preda al sonno e alla paura per le strade attorno alle sedi degli attentati, percorso obbligatorio per poter tornare a casa. Nel tragitto avevo voglia di piangere. Per la tristezza, per lo sconvolgimento, ma anche perché il caso aveva voluto che la sera prima anziché trovarmi in giro per le strade di Parigi come un comune venerdì sera, per fortuna ero a lavoro e Daniele, il mio fidanzato si trovava ad Amsterdam a trovare degli amici. Le strade erano semi deserte e lo sono state per tutto il week end. Poche auto. Qualche persona a piedi, e già sabato mattina alle 11 i primi fiori e le prime candele per strada per commemorare le vittime. Place de la Republique era militarizzata. Ho deciso di non uscire quel giorno ma di stare a casa. Impossibile sfuggire alle immagini degli attentati. Impossibile pensare ad altro. Ogni giorno quando esco di casa ho paura. Molta. Ho paura che qualcuno si faccia saltare in aria, ho paura che inizino a sparare per strada, quando sento le sirene di ambulanze o polizia penso subito al peggio. Ho paura ogni mattina quando Daniele prende la metro per andare a lavoro ed ho paura ogni volta che termina la sala operatoria e accendo il telefono possa leggere che è successo un altro attentato. Ma, poi i pensieri negativi passano quando rientrando verso casa nelle strade del marais vedo la gente che chiacchiera allegramente e sorride seduta nei tavolini dei locali. Li vedo e tiro un sospiro di sollievo. Se loro riescono, devo riuscirci anche io. I francesi sono resilienti. È vero. Non sono animati dall’odio. Non si fanno sopraffare dalla tristezza. Amano e rispettano la vita. Amano e rispettano le altre culture senza averne paura. Perché il razzismo è paura. Ho deciso di non avere paura e di andare a bere una birra con una collega stasera a una settimana dalla strage. Non voglio avere paura perché rischierei di essere razzista. Su tutto il resto: cause, reazioni, scelte politiche e militari non mi esprimo perché per me è più forte il sorriso e il coraggio dei parigini per strada.