HALLOWEEN IN SARDEGNA: IL VERO SIGNIFICATO DI UN RITO DIMENTICATO


di Natascia Talloru

Il passaggio tra la fine di ottobre e i primi di novembre è un momento particolarmente sentito da tutte le culture del pianeta. Volendo approfondire l’argomento, con grande sorpresa potremmo scoprire che, proprio in quei giorni, si presenta un appuntamento con la storia antica, sottoprodotto di un amalgama di religione, magia e credenze popolari.  Anche la Sardegna, terra dalle tradizioni millenarie tuttora visibili, che sembrano volersi opporre a  una  forzata modernizzazione, ha preservato parecchie usanze, incastrate con le dottrine che via via hanno impregnato  la nostra società.  Non si comprende ancora se alcuni modus operandi si verifichino con la consapevolezza del loro reale significato da parte degli abitanti stessi, o se, scaturiscano come riflesso di alcune tendenze d’oltre oceano. E’possibile ci sia stata una contaminazione americana finanche i piccoli centri dell’entroterra? Ma facciamo un po’ di ordine cronologico.  La festa di Halloween ha avuto origine presso la popolazione celtica che divideva l’anno in due periodi: quello della nascita e del risveglio della natura, Beltane (intorno a maggio), e il periodo  nel quale la natura cede e muore, Samhain (metà ottobre), corrispondente al Capodanno celtico e alla fine dell’estate. Anche nella civiltà romana compare una festa analoga, che indicava il termine della stagione agricola, con omaggi e ringraziamenti per il raccolto ricevuto dalla terra nell’anno precedente. In seguito i romani divulgarono usi e consuetudini della loro civiltà, cui fece seguito l’inserimento della Chiesa, la quale, dedicava un giorno di commemorazione ai Santi il 13 maggio, coincidente nei secoli successivi con ilSamhain di fine ottobre. Nacque così la festa di Halloween, vigilia di Ognissanti (All Hallows, tutti i santi; eve, vigilia). In questo giorno speciale e dall’atmosfera incantata nel quale tempo e spazio sembrano sospesi in una dimensione parallela, diverse popolazioni dell’antichità eseguivano dei rituali per ingraziarsi gli spiriti, offrire loro doni e cibo, rivolgere preghiere e, in cambio, chiedere protezione durante il buio dell’inverno alle porte.  Ancora oggi in Sardegna tra il 31 ottobre e il 2 novembre i ragazzi percorrono le vie dei paesi, con una sacca o una federa, bussano di porta in porta e recitando filastrocche in lingua sarda, ricevono doni offerti con l’intento di “tenere a bada” i defunti, che, in questi giorni, tornano nelle loro dimore, abitate durante la vita terrena. All’esterno le case vengono addobbate con le zucche che, private della polpa interna, assumono le fattezze di un volto umano, e illuminate da una luce, tracciano alle anime la via del ritorno. La zucca sostituisce, pare, un antico rito, praticato sia in Sardegna che in Corsica, secondo il quale venivano estratti i teschi dal cimitero per richiamare la pioggia. Riti volti a esorcizzare la paura della morte, con la richiesta, in cambio, del bene delle anime (su bene e is animas).  I nomi variano a seconda della zona: su mortu mortu, animeddas, su prugadoriu, is panixeddas. Cambiano  anche i tipi di dolci preparati per l’occasione: pabassinas, su pan’ e saba o pane nero, le ossa di morto. Ma il valore di questi antichi rituali è comune, e niente ha a che vedere con l’America, la quale, ha acquisito le feste dei popoli emigrati e ha avuto l’accortezza di diffonderle in tutto il mondo, trasformandole in un carnevale macabro e commerciale. In Sardegna è la lingua stessa, con le sue varianti, a dirci che può non esservi un’influenza americana.   E’ il nostro stesso sentire, l’intuito, dimenticato, a riportarci in epoche lontane. A insinuare che, forse, dovremmo riappropriarci e mantenere vive le nostre tradizioni.

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