di Paolo Pulina
“Hanno morto a Vinnèpaitutti”, primo romanzo “sassarese” di Nello Rubattu dal 2006 – anno di pubblicazione presso Il Maestrale di Nuoro – fino all’ottobre 2013, nell’archivio on line dell’ICCU (Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche italiane) era attribuito ad un autore con lo stesso cognome (Rubattu) ma con un nome (Antoninu) che identifica un altro sardo (conosciuto anche col nome di Tonino Mario, che è stato per molti anni sindaco di Sennori, vicino a Sassari), noto per essere poeta bilingue, traduttore in ottava rima sarda-logudorese dell’ “Odissea” e dell’ “Iliade” e al quale si deve – tra le altre numerose opere – anche un importante dizionario della lingua sarda “Dizionario universale della lingua di Sardegna: italiano-sardo antico e moderno: logudorese, nuorese, campidanese, sassarese, gallurese con i corrispondenti in inglese, francese, spagnolo, tedesco”.
Ho detto fino all’ottobre 2013 perché, segnalato lo svarione a una bibliotecaria della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, è stata fatta la correzione citata sopra anche se ad Antoninu Rubattu e non a Nello Rubattu viene ancora attribuita, nell’OPAC dell’ICCU, la paternità del volume “Bologna, un circolo di sardi: la nostra storia” (Editrice Circolo Sardegna di Bologna, 2010) che è indubbiamente di Nello ma la confusione si spiega perché in questo caso in copertina e nel frontespizio la firma che compare è Antonio Rubattu (insomma, Nello Rubattu obbliga i bibliotecari ad un improbo impegno di rinvii tra queste due forme e di disambiguazione rispetto al più ricorrente Antoninu).
Ma chi è Nello Rubattu? È nato a Sassari nel 1951. Dopo gli studi a Bologna, ha vissuto a Modena, Milano, Parigi, Bruxelles (dove ha lavorato per vent’anni come addetto stampa per importanti organizzazioni e aziende italiane), Pavia, Varese. Attualmente vive a Bologna ma è spesso a Sassari, dove ha ancora una parte della famiglia e molti amici (lui dice che “se li tiene stretti e spera di invecchiare con loro”). È presidente di Su Disterru-Onlus che sta dando vita ad Asuni, un piccolo comune in provincia di Oristano, ad un centro di documentazione sulle culture migranti della Sardegna.
Nel pomeriggio di sabato 17 ottobre 2015, il Circolo culturale sardo “Logudoro” di Pavia ha invitato Nello Rubattu a presentare i suoi due romanzi “sassaresi” “Hanno morto a Vinnèpaitutti” (2006) e “Pierre”, postfazione di Gianni Caria, Tissi (Sassari), Angelica edizioni, 2010.
In “Hanno morto a Vinnèpaitutti” – ci dice la scheda editoriale – «Massimino Piras, detto Vinnèpaitutti (“ce n’è per tutti” nel sapido dialetto di Sassari), viene trovato morto, accoltellato. Dalle testimonianze di personaggi amaramente goliardici e sempre indecisi tra moralismo e morbosità, Vinnèpaitutti appare come il torbido responsabile del degrado di una comunità: feste gay, soldi sporchi, traffici ambigui… Una morte, secondo molti, inevitabile quella di Massimino. Qualcuno, però, va oltre gli angoli scuri della sua vita, e torna ai ricordi di un’età in cui non si può essere colpevoli, ma solo vittime… “Hanno morto a Vinnèpaitutti” è una tragicommedia salace, ritratto malinconico di una città che, attraverso il mistilinguismo dei racconti paralleli, inspira dai bassifondi la sua sarcastica e rassegnata essenza».
Nel secondo romanzo il protagonista Pierre (che dà il titolo al libro) parla in prima persona della sua vita avventurosa: dall’emigrazione in Argentina alla Legione Straniera e alle trincee della Prima Guerra Mondiale, dai vicoli odorosi di aglio e cipolla di Marsiglia fino a Piazza Tola a Sassari. Gianni Caria commenta nella postfazione: «Piazza Tola è storicamente il luogo del commercio ambulante diventato stanziale, delle bancarelle e di chi si sedeva in un angolo per proporre anche poche cose. La Piazza era il cuore pulsante della città, un cuore popolare e sentimentale, in cui si intrecciavano le storie personali di poveracci e di figli di signori, di “accudiddi” (quelli che venivano dai paesi) e di prostitute. Per Pierre è il luogo della partenza e del ritorno, il centro del mondo di chi il mondo aveva scelto di vederlo prima di decidere dove tornare. Pierre in piazza Tola è tornato per seguire una sua vocazione, quella di insegnare agli altri quanto aveva imparato della vita. Pierre aveva trovato nei bambini che frequentavano la Piazza, e in particolare nei suoi nipoti, un uditorio attento e privo di pregiudizi. Un universo molto maschile, a ben vedere, dove le donne di famiglia stanno in secondo piano e dove un posto privilegiato e quasi riconoscente nel ricordo trovano invece le prostitute. Pierre nel libro ci parla con una lingua pirotecnica e immaginifica, ricca di parole francesi e spagnole, di termini del gergo degli ambulanti, ma è il dialetto sassarese (o, meglio, la variante sassarese della lingua sarda) a emergere qui in tutta la sua prepotenza verbale. Il sassarese è una lingua espressiva, volgarissima, beffarda, spietata, che colpisce come una schioppettata».
Rubattu, che si può definire “l’Andrea Camilleri sassarese”, è attento a caratterizzare le descrizioni, le osservazioni e i dialoghi presenti nei suoi racconti con i termini della parlata della sua città, cioè con il lessico del linguaggio speciale che in ogni regione o grande città d’Italia identifica una delle specifiche, distinte varianti dell’italiano regionale, parlato ma anche scritto.
Rubattu odia il linguaggio standardizzato perché veicola e sclerotizza forme reazionarie di pensiero che portano dritte all’odio razziale contro gli extracomunitari e oggi soprattutto contro i profughi, all’omofobia, alla denigrazione delle persone che, appartenenti alle classi emarginate (ieri i pastori, oggi i negri), vengono qualificati come disturbatori dell’olfatto borghese e perbenista (“puzzano!).
Rubattu è anche un attivissimo blogger e combatte le sue battaglie quotidiane contro i vizi di una società in cui imperversano corruzione, malgoverno, sfruttamento dissennato del territorio, razzismo, odio contro le minoranze comunque intese (sociali, economiche, culturali, religiose, sessuali, ecc.).
Rubattu è un osservatore che ha ben presente la forza che hanno le parole nella società (definire una persona “guasta” e non semplicemente “disabile” dà subito l’idea della differenza denotativa e connotativa dei due concetti) e che sa quanto sia importante la capacità di mimesi della parlata di una determinata comunità (nel suo caso quella sassarese) se si vuole riuscire a rappresentarla e a raccontarne le storie.
Rubattu è un tipo che non si dà tante arie, ma, modestamente, dopo il notevole successo dei suoi due romanzi (godibilissimi per le invenzioni di scrittura e per le problematiche che divertendo obbligano a prendere in considerazione), annuncia di essere al lavoro per completare la sua terza narrazione sassarese. Anche questa sarà sicuramente, come dicono a Sassari, “toga”!