È il “traguardo” il momento più difficile. La laurea in tasca, complimenti, soddisfazione, pacche sulle spalle, tutta la vita davanti. Il salto nel vuoto per molti ha un atterraggio morbido. Si fa fatica, ci si arrangia, a volte ci si accontenta. Ma spesso la realizzazione arriva, il lavoro dei sogni c’è, è lì, basta prenderlo. Per molti altri no. La storia non ha un lieto fine, almeno non a casa propria. Il lavoro non si trova e gli studi fatti, la fatica sui libri, non vengono ripagati. Dopo qualche anno di attesa, tentativi, a volte calci in faccia, ecco la decisione. Via dall’isola, lontano, in cerca di un futuro. Fuga di braccia e fuga di cervelli, che spesso altrove mettono su casa e famiglia. E in Sardegna ritornano solo per le vacanze. L’anno scorso 7200 sardi sono andati via. E tra loro la stragrande maggioranza sono giovani, perché l’età media è 33 anni. Tutti hanno capito che la laurea non è il traguardo. È solo l’inizio. Molti vanno via dalla Sardegna delusi per non essere riusciti a realizzarsi nella loro terra. Altri sono certi di tornare, dicono che l’esperienza all’estero li aiuterà a farsi valere, un domani, in casa propria. Altri ancora non fanno programmi: partono e basta, vogliono mettersi alla prova, camminare da soli su gambe sinora fragili. Portano con sé qualcosa di molto prezioso, la chiave – sperano – per aprire le porte giuste. Quasi tutti hanno un titolo di studio, laurea o diploma, da mettere sulla bilancia. Perché devono costruirsi un futuro ma sono anche fieri del loro passato. Il dato è significativo: il 35 per cento ha una laurea, spesso seguita da master, di più – circa il 40 per cento – ha studiato sino al diploma o comunque sino a conseguire una qualifica, un attestato. Di meno, più o meno il 25 per cento del totale, dopo la scuola media ha deciso di mollare gli studi per lavorare subito: questi ragazzi sono i primi a rendersi conto che portare a casa uno stipendio – anche piccolo – può essere complicatissimo. C’è chi parte senza una idea precisa e chi sa già come muoversi e cosa andare a cercare. I laureati vogliono mettere a frutto i loro studi, anche i diplomati puntano a fare valere la qualifica conquistata. Gli altri si accontentano, qualunque impiego può andare bene, almeno per iniziare. Poi chissà che succede. Racconta Sara, di Sassari, da 2 anni a Londra insieme al fratello: «Io ho un diploma, ho studiato all’Alberghiero, mio fratello ha solo la licenza media. Entrambi lavoriamo in un grande fast-food. Ci pagano bene, lo stipendio è sufficiente per pagare l’affitto di una casa insieme ad altri giovani. In Sardegna mi dovevo arrangiare, lavoravo solo pochi mesi all’anno e dovevo ancora dipendere dai miei. Qui è più semplice, ci sono molte più opportunità. Per ora va bene così, un domani non so ma non mi piace fare troppi programmi». Aggiunge Nicola, oristanese, anche lui a Londra dove lavora come medico da cinque anni. «Sono riuscito a trovare un ottimo posto. Un bel lavoro, quello per cui ho studiato, all’interno di una bella squadra. Casa mia mi manca, ma tornerei nell’isola se mi offrisse almeno quello che ho qui». È curioso come l’inizio sia più o meno lo stesso per tutti. A parte chi va sventolando un contratto o per fare un tirocinio in un’azienda o in un ente pubblico, la maggior parte dei giovani emigrati dopo qualche giorno si ritrova dietro il bancone di un bar o a servire ai tavoli di un ristorante. Sono questi i settori nei quali è più facile essere presi in considerazione e che danno la possibilità, a chi cerca qualcosa di meglio, di temporeggiare e guardarsi intorno. Il dato che deve fare riflettere è soprattutto un altro. Chi ha un titolo di studio, magari accompagnato da master e qualifiche varie, fatica molto meno a dare un senso al percorso scelto. Sono tanti i medici e gli infermieri sardi negli ospedali tedeschi e inglesi, molti gli ingegneri informatici che hanno trovato un impiego nel settore dell’alta tecnologia. Altro che Sardegna culla del digitale: forse c’è più di qualcosa da rivedere. Nell’ultimo anno c’è stato un vero stravolgimento nella classifica delle mete predilette dai giovani sardi in fuga. All’interno dei confini nazionali dominano la Lombardia e il Lazio, in calo – soprattutto il terremoto – la ricca Emilia Romagna. Per quanto riguarda l’estero, in testa resta saldamente la Germania, ma la novità è rappresentata dalla Gran Bretagna. È Londra che attira come una calamita, per le mille opportunità di tipo economico che offre ma anche per le sue caratteristiche di metropoli multiculturale, incrocio di etnie, di mondi totalmente differenti che hanno saputo trovare un equilibrio. Nella classifica delle destinazioni è l’Europa a dominare, probabilmente per non spezzare del tutto il cordone ombelicale delle proprie origini. Ecco allora la Francia, il Belgio e la Svizzera, ma anche i Paesi Bassi e la Spagna. Tengono sempre bene gli Stati Uniti e l’Australia. Ma quando le mete sono così lontane la stragrande maggioranza dei giovani torna indietro dopo un periodo di permanenza che varia generalmente da un minimo di 6 mesi a un massimo di 2 anni. Poi i contratti scadono o più semplicemente prevale la nostalgia. Solo i più tenaci (o più bravi) mettono radici. E alcuni riescono persino a fare fortuna. Incompresi nella loro terra, gratificati molto lontano.
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“Via dall’isola, lontano, in cerca di un futuro. Fuga di braccia e fuga di cervelli, che spesso altrove mettono su casa e famiglia. E in Sardegna ritornano solo per le vacanze. L’anno scorso 7200 sardi sono andati via. E tra loro la stragrande maggioranza sono giovani, perché l’età media è 33 anni. Tutti hanno capito che la laurea non è il traguardo. È solo l’inizio. Molti vanno via dalla Sardegna delusi per non essere riusciti a realizzarsi nella loro terra. Altri sono certi di tornare, dicono che l’esperienza all’estero li aiuterà a farsi valere, un domani, in casa propria. Altri ancora non fanno programmi: partono e basta, vogliono mettersi alla prova, camminare da soli su gambe sinora fragili. Portano con sé qualcosa di molto prezioso, la chiave – sperano – per aprire le porte giuste. Quasi tutti hanno un titolo di studio, laurea o diploma, da mettere sulla bilancia. Perché devono costruirsi un futuro ma sono anche fieri del loro passato.”