Aru all’attacco.
Nell’infinito magma della rete, ecco uno streaming che trasmette la Vuelta. Inglese o spagnolo, non ha importanza. Aru all’attacco. Ha solo una chance, one shot, come dicono i cronisti inglesi, per vincere la Vuelta.
Damoulin, l’olandese, nel suo terreno, la cronometro, ha rimontato lo svantaggio e riuscito a guadagnare tre secondi sul giovane sardo. Tre secondi che sono diventati sei, grazie all’ultima tappa con un arrivo in leggera salita, più favorevole alle doti di passista dell’olandese.
Perdere un grande giro per 6 secondi, è una beffa atroce. Dopo 20 giorni di gara, migliaia di chilometri, ore passate in bicicletta, un distacco di 6 secondi è una frazione infinitesimale.
Per tornare indietro nella storia del ciclismo, si ricorda che nel 1974, una giovane promessa italiana, Gianbattista Baronchelli, al primo anno di professionismo, perse il Giro d’Italia per soli 12 secondi, dopo una gara appassionante.
Solo che chi vinse quel giro, era un certo Eddy Merckx, il cannibale, forse il più grande ciclista di tutti i tempi. E Baronchelli non riuscì più a vincere nessuna gara a tappe, nonostante una brillante carriera e i tanti piazzamenti.
Certo, Damoulin non è Merckx. Tuttavia è un eccellente ciclista, specialista delle cronometro, (vanta un terzo posto al campionato del mondo), che si difende bene in salita, dove preferisce salire con il suo passo e contenere il distacco. Che tanto poi a cronometro recupera.
E così ha fatto, recuperando lo svantaggio di quasi due minuti accumulato in salita.
Ora l’ultima tappa di montagna, prima dell’ultima gara, tutta pianeggiante, di esclusivo dominio dei velocisti.
L’ultima possibilità, one shot. E Fabio parte, parte all’attacco, è indemoniato, col coltello tra i denti manco la Brigata Sassari.
Parte da lontano, l’unica possibilità che ha per sfiancare Damoulin. Gara dura, renderla ancora più dura con scatti e velocità elevata.
Nella penultima salita, Damoulin dà qualche segno di cedimento. La squadra di Aru è attorno, che tiene e sostiene il capitano. Damoulin è solo, invece, perde secondi a 30 chilometri dal traguardo. Non ha il passo dei giorni migliori, quando frulla con alta frequenza quei rapporti che gli consentono, sul passo, di essere uno dei più forti del mondo.
La Squadra di Aru, l’Astana, a tirare a testa bassa. Encomiabili i compagni di Aru, compreso il discusso Landa, che stavolta tira pancia a terra come un treno.
Damoulin nel falsopiano che conduce all’ultima salita, restato solo con Nieve, tira finché può. Poi si arrende, sfiduciato. Un crollo anche psicologico, che lo porta in pochi chilometri a tre minuti di svantaggio su Aru.
Ma il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Perché Il giovane polacco Majka, con il fuoriclasse Quintana, il colombiano favorito a suo tempo per la vittoria finale e bloccato da non perfette condizioni fisiche, rispettivamente quarto e quinto in classifica con un distacco di circa 2? 30” e 3”, partono all’attacco, approfittando della stanchezza di Aru che ha lottato per tutta la tappa per sfiancare la maglia rossa di leader Damoulin.
La situazione si ribalta. Aru diventa inseguitore, e non più lepre.
Sono quelle situazioni che, psicologicamente, creano enormi problemi alla concentrazione. Occorre cambiare strategia e modalità in corsa. E al termine di una gara massacrante, com’è stata la Vuelta quest’anno, non è facile.
In realtà, lo scopo di Majka e Quintana è sopravanzare Damoulin in classifica. Quando un albero cade, tutti vanno a fare legna, è la legge dura e spietata dello sport.
Aru contiene il distacco dai due in salita. Mancano dieci chilometri di discesa, lunghi, lunghissimi, al traguardo. Aru scivola in discesa senza correre troppi rischi. Vola attorniato dai compagni attenti, che lo sorvegliano e gli disegnano le traiettorie.
L’esito di una gara epica si avvicina, chilometro dopo chilometro.
Aru si avvicina a quel traguardo, alla vittoria di un grande giro, si avvicina al sogno della vita di un atleta, di un ciclista.
La maledizione di Baronchelli è lontana. Aru è giovane, e una intera carriera davanti.
Una vittoria meritata, strameritata, per Aru e, non dimentichiamolo, per tutta la sua squadra.
Il ciclismo è uno sport di squadra.
Aru vince strameritatamente la Vuelta di Espana. La merita per l’impegno, per averci sempre creduto, per l’intelligenza in gara, e per l’umiltà con la quale ha sempre rispettato gli avversari.
La merita per le lacrime e l’abbraccio con la quale va a cercare, superato il traguardo, uno ad uno, i compagni di squadra.
Sono le cose che contano nel ciclismo, e che distinguono il ciclista dal pedalatore.
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