di Lisa Ferreli
Silvia Lara, ventenne di Ilbono, dopo tre anni trascorsi tra i banchi del Liceo scientifico di Lanusei, ha deciso di trasferirsi in un paesino vicino a Trieste, per terminare i suoi studi in un collegio internazionale. Questa esperienza le ha permesso di incontrare tanti ragazzi, provenienti da nazioni differenti, e di aprire la sua mente verso nuovi orizzonti. Silvia ora studia fisica a Singapore, presso la Yale NUS.
Quando e perché hai scelto di trasferirti dall’altra parte del mondo? Sono venuta a conoscenza dell’esistenza di questa scuola durante l’ultimo anno delle superiori, quando mi chiedevo cosa volessi fare da grande. Da qualche anno sapevo che avrei voluto studiare fisica per poi dedicarmi alla ricerca. La scuola che ho frequentato negli ultimi due anni, mi ha chiarito le idee su come i sistemi universitari in vari stati funzionino: se non fosse stato per quella scuola, non avrei avuto la possibilità di seguire il mio sogno e studiare dall’altra parte del mondo. Se non fossi capitata per caso in una pagina internet che pubblicizzava questa scuola, completamente gratuita grazie ad una borsa di studio, di certo non avrei immaginato che ottenere ciò che si vuole non è poi così impossibile. Se si è interessati a qualcosa, ben venga passare ore a fare ricerche su Google: ci sono tante possibilità non molto pubblicizzate che aspettano solo di essere trovate. Dunque, con una buona combinazione di fortuna e studio, sono stata ammessa a Yale NUS, un’università che combina l’esperienza educativa americana con la cultura asiatica. Così lo scorso agosto mi sono trasferita a Singapore.
Quali sono le differenze col sistema scolastico italiano? L’ammissione alle università americane è molto diversa da quella a cui siamo abituati noi: i test standardizzati sono solo una parte del giudizio e devono essere accompagnati da un curriculum che rifletta interessi al di là del campo prettamente accademico: suonare uno strumento, fare il rappresentante di istituto o il capitano della squadra di calcio valgono spesso più di qualche punto aggiuntivo nel voto di maturità perché sono attività che insegnano a mettersi alla prova, ad organizzare la propria settimana e a seguire i propri interessi, tutte qualità ritenute importanti per la riuscita in qualsiasi campo accademico. Al momento dell’ammissione, inoltre, non è necessario avere un’idea chiara su che materia scegliere come interesse primario, di conseguenza è obbligatorio seguire dei corsi in diverse materie durante il primo anno. I miei primi esami, tutti obbligatori, sono stati di filosofia, letteratura, metodo scientifico e sociologia. A differenza di una facoltà di fisica in italia, però, il mio corso dura quattro anni invece che tre, in modo tale che tra qualche lezione di filosofia cinese e letteratura indiana ci sia anche qualche equazione!
Perché la scelta di seguire questo percorso? Una delle motivazioni per cui ho scelto questo sistema, nonostante io preferisca la didattica italiana, è la prospettiva di un futuro più “certo”. Fare ricerca in Italia vuol dire accettare condizioni lavorative pessime, con scarsa retribuzione e una carriera lenta e che inizia solo durante il dottorato. Qui a Singapore, invece, ho avuto la possibilità di lavorare in progetti di ricerca già dal mio primo anno, con la guida di professori molto preparati e disponibili. L’atteggiamento dei docenti è un altro dei motivi per cui mi trovo dall’altra parte del mondo: i professori qui ci conoscono per nome perché le classi sono di circa 15 persone, per contratto hanno delle ore a disposizione per consultazione e mangiano con noi nella mensa universitaria.
E’ un’esperienza costosa? Dal punto di vista delle spese, le tasse vengono valutate in base alle possibilità economiche della famiglia dello studente, su base annuale. Questa somma include le tasse di frequenza, vitto, alloggio e eventuali progetti organizzati dall’università. Inoltre, ci sono a disposizione delle borse assegnate in base al merito, indipendentemente dal reddito.
Dal punto di vista della cultura invece, quali sono le differenze che maggiormente ti hanno stupita? Dal punto di vista culturale, inizialmente non ho percepito differenze significative. Singapore è una città pulita e tecnologicamente avanzata. La popolazione è cinese, malese, indiana e sono presenti minoranze provenienti da tutto il mondo. La cultura e la lingua, dunque, riflettono la composizione eterogenea della popolazione. Per poter mantenere una coesistenza civile delle varie etnie ci sono in atto molte leggi di integrazione razziale. Infatti spesso Singapore viene presentato come l’esempio dello stato che riesce a superare le difficoltà tra le varie razze. Quello che a me ha stupito tanto, e che ho notato solo dopo qualche mese qui, è la percentuale bassissima di coppie interrazziali: i cinesi sono sposati con i cinesi e gli indiani con gli indiani, nonostante spesso questi pratichino la stessa religione. Per la prima volta ho sentito il peso del razzismo contro noi “bianchi”, venuti qui a “rubare il lavoro alla gente del luogo”. Gli immigrati occidentali sono per la maggior parte ricchi professionisti, che solitamente rimangono nelle loro comunità “bianche”, di conseguenza creando uno stereotipo negativo che va a discriminare tutti, me inclusa. E’ strano trovarsi dall’altra parte della barricata!
Ora sei in grado di dire quali sono i pro e i contro della nostra isola? Come in tutte le grandi città, Singapore non incentiva la collaborazione. Ognuno possiede la propria vita e la propria strada. I ricchi conosceranno generalmente solo persone ricche, i poveri quasi solo persone povere. Gli studenti bravi faranno una scuola elementare, media e superiore per studenti bravi, quelli meno interessati allo studio o con minore capacità economica finiranno per studiare in una scuola che impedisce la scalata sociale. Una volta a casa, mi rendo conto di quanto una realtà come quella ogliastrina mi abbia insegnato a confrontarmi con persone con delle esperienze diverse dalle mie e ad apprezzare questo confronto. Da un saluto alla vecchietta per strada, a una battuta del barista mentre ti serve il caffè… nei nostri paesi, trattiamo il prossimo con più interesse e cura. Avere un forte senso di comunità, composta da persone che la pensano diversamente da te, è secondo me un valore molto importante. Per quanto il benessere economico e tecnologico sia importante, è bene avere come priorità le interazioni sociali: dalla famiglia, al vicino di casa, fino alla commessa del supermercato.
http://www.vistanet.it/