San Giovanni di Sinis non ha bisogno di presentazioni, a giudicare dal flusso turistico che raggiunge in ogni periodo dell’anno l’estremità meridionale della sua Penisola. Con la vicina Tharros e la torre spagnola che svetta sul panorama mozzafiato a dividere il mare tranquillo dove si affaccia la città punico romana da quello sull’opposto versante. Affascinante con le sue gradazioni cromatiche ma dal carattere mutevole che scoraggia sul nascere anche la più temeraria ed inutile delle sfide, lasciando senza via d’uscita ogni sconsiderata imprudenza.
Come in altre località non mancano i divieti di vario genere con la quotidiana abitudine a trasgredirli. Non si tratta degli inconfondibili cartelli di sosta vietata che poi introducono ai parcheggi a pagamento, ma di un semplice avvertimento declinato in lingua britannica e germanica. Solo per fare attenzione: balneazione non sicura per mancanza di servizio di salvataggio; elevata altezza d’onda (senza controindicazioni per i surfisti), bordo di falesia instabile, forti correnti. Completa l’avviso l’omino disegnato tra quei spericolati frangenti e l’invito a chi per lui, di rivolgersi all’ambulanza od alla Guardia Costiera.
Fai da te e si salvi chi può! Più avanti senza soluzione di continuità il divieto di sosta, questa volta per “zona cedevole”, altrimenti sarebbe monetizzata anche quella. Insomma, come dire uomo avvisato, mezzo salvato. Magari! Le parole a volte la fanno troppo semplice ma nel giorno di quel terribile ultimo Ferragosto non è stato così. Due donne in procinto di annegare sono state salvate, uno dei soccorritori ha perso la vita.
L’altruismo e non la ragione è più forte della morte, parafrasando la Montagna incantata di Thomas Mann. Ma un gesto nobile e generoso solo in parte lo ha dimostrato. Il mare di polemiche del giorno dopo, come spesso accade, quando i problemi insieme alle prevedibili conseguenze sono annunciati con largo anticipo, non ha aggiunto nulla di quanto già si conosceva, né cosa si intende fare nell’immediato. I vertici della Capitaneria di Porto avevano sensibilizzato in tal senso le amministrazioni comunali lungo la costa, oltre alla consueta raccomandazione ai turisti: godetevi il mare in sicurezza!
Negli ultimi anni, con crescenti difficoltà, era stata l’Amministrazione Provinciale ad assicurare la campagna di sicurezza in mare, con risultati lusinghieri. Alcuni giovani e coraggiosi operatori furono premiati, protagonisti di interventi rischiosi ma risolutivi per la vita degli incauti bagnanti. Particolarmente sul litorale di Is Arenas e Porto Alabe, lì dove il mare a volte fa veramente paura. Il servizio di soccorso sulle spiagge si è rivelato col tempo una macchina complessa, da mettere a punto e coordinare sistematicamente. Gli inizi della società di salvamento a mare a Cagliari, erede del glorioso sodalizio che ebbe origini a Genova nel 1871, risalgono al 1952 nella zona di Giorgino, col pioniere dei bagnini Antonio Naitana.
Gli angeli del mare erano allora generosi e valorosi reduci della Marina da guerra italiana, spesso pescatori di Santa Gilla con i segni profondi del mare disegnati sul volto e più di una difficoltà, manco a dirlo, a sbarcare il lunario. Ogni giorno però, in attesa di una pesca miracolosa senza i sussidi del riposo biologico, integravano i loro già magri proventi contrastando a forza di remi, su degli instabili sandali, l’alto tributo di vite umane nella spiaggia dei centomila. Ogni stagione estiva, molti bambini che fuggivano da quella sabbia fine ed ancora bianca, attirati da un mare incredibilmente turchese per una città, erano trascinati al largo dalla forza del suo Maestrale. Anche i palestrati lifeguards di Baywatch hanno fatto il loro tempo. È l’impiego tempestivo di mezzi come le moto d’acqua, appositamente attrezzate, che possono risolvere dovunque ogni tipo di problema di un mare volubile.
Lo sconcerto e la forte emozione che si prova difronte alla scomparsa di una giovane vita, non placa a distanza di giorni reazioni di varia natura: invettive contro gli amministratori locali, imprecazioni sull’intempestivo sistema dei soccorsi: ambulanze, motovedetta, elicottero. Sotto accusa il sistema dei rimborsi, le difese delle amministrazioni inadempienti senza più fondi, la Regione, le testimonianze di altri enti locali che malgrado tutto sono riusciti ad approntare un servizio di emergenza, coinvolgendo organizzazioni di volontariato, dando così fondo agli esigui bilanci.
Martire della carità, nel corso dell’estremo saluto ad Enzo, l’eroe di Ferragosto sui titoli della stampa nazionale. La proposta polemica di un sindacato di polizia per dedicargli un monumento in contrapposizione a Carlo Giuliani, vittima dei fatti del G8 di Genova del 2001, la petizione per il riconoscimento di una medaglia al valore civile con oltre quindicimila adesioni. Da ultimo, un flash mob sabato scorso a Cabras durante la sagra della bottarga, promosso dagli amici di Vincenzo Curtale per richiamare l’attenzione sulla sicurezza in mare, che ha visto anche la partecipazione di Padre Manolo Venturino.
Gli applausi all’uscita del feretro insieme ai mi piace in rete, che sembrano voler colmare il silenzio del vuoto di responsabilità e di iniziativa, prima e dopo l’ennesima sciagura del mare. Neppure casuale che nei giorni a seguire i mass media riportino altri incidenti nell’isola, da Gallipoli fino all’Arcipelago Toscano, principi di annegamento con altre imperizie sventati dall’intervento di catene umane come quello di Cabras o da un’efficiente macchina dei soccorsi, che in altri momenti sarebbero passati inosservati o relegati tra le ineluttabili brevi di cronaca.
Nel dramma teatrale Vita di Galileo di Bertolt Brecht, è il discepolo ad affermare “sventurata la terra che non ha eroi” mentre il padre della scienza moderna auspicava “felice il paese che non ha bisogno di eroi”. Efficacia e sintesi degli aforismi che non possono salvare vite umane, mettono invece a nudo il peso e la fuga dalle responsabilità, per chi si candida ad amministrare un bene comune come la sicurezza e l’incolumità della vita degli altri.
“Supertimido affogò perché si vergognava a gridare aiuto”. Correva l’anno 1962, a scriverlo nel suo libro Essere o benessere fu Marcello Marchesi, dove si divertiva per sua stessa ammissione, a mettere le parole una sull’altra e non tutte di seguito. Soprattutto perché non si considerava un poeta. Un irriverente epitaffio forse dettato da un presagio involontario. Poi beffardo, perché il 19 luglio 1978 fu lui a morire veramente, nelle acque antistanti il mare di San Giovanni di Sinis, anche se in condizioni differenti dalla tragedia di Ferragosto.
Battutista, come lui amava definirsi, maestro del calembour. Prima ancora giornalista, commediografo, sceneggiatore, autore di canzoni, di varietà, ideatore di programmi radio e televisivi. Il Signore di mezza età, la sua icona indelebile, con quei baffi ispidi di scena e gli occhiali grossi neri a disegnare un ovale da fumetto, che si esercitò perfino a tradurre. Più di quattromila caroselli, primo copywriter italiano. Aveva anche combattuto l’ultima battaglia di El Alamain, sacrificando un polmone senza dismettere la sua sportività, e non solo quella dialettica.
Un virtuoso dell’intertesto, al confine incerto delle citazioni sottili e delle sue versioni distorte ma dal garantito effetto umoristico: vivi e lascia convivere, basta la parola, non è vero che tutto fa brodo, con quella bocca può dire ciò che vuole oppure quella che come tante altre regge ancora: anche le formiche nel loro piccolo s’inc … L’ultima parte della sua vita affettiva è legata a Setzu paese di origine della moglie, alle pendici della Giara dove la biblioteca comunale, inaugurata lo scorso anno, reca il suo nome.
Capita che nelle tragedie più inspiegabili, non sempre inevitabili, allo sconforto ed alla rabbia sopraggiunga una sorta di irreale serenità, come quando sulla battigia di San Giovanni, che il suo moto ondoso variabile ridisegna continuamente a suo piacimento, sono apparsi dei placidi Labrador addestrati al soccorso in mare, insieme a dei maestosi colleghi Terranova, conosciuti per le loro doti natatorie in grado di trainare perfino una barca. Il loro incedere disciplinato e fiducioso affianco al conduttore in attesa di ordini, come dire: siamo qui volontariamente, venuti anche da lontano, ci scusiamo del ritardo.
Secondo gli antropologi moderni anche in una società individualista e competitiva, l’altruismo può sopravvivere, addirittura si consolida. L’indifferenza invece non permette le più elementari forme di solidarietà e catena umana, come quel giorno in mancanza d’altro, suggerisce qualcuno, che avrebbe dovuto impedire a degli incoscienti di entrare in acqua. Troppo semplice, strano, vero?
“L’importante è che la morte ci colga vivi” Marcello Marchesi. Con quel che ne consegue.