di Tommaso Perrone
Catia Bastioli è tra le personalità più importanti d’Italia e d’Europa nel campo della sostenibilità. Amministratore delegato di Novamont, l’azienda che ha inventato il Mater-Bi, Bastioli racconta quale sarà il futuro delle bioplastiche legate all’agricoltura e al cibo.
Il settore della bioeconomia in Europa vale duemila miliardi di euro e dà lavoro a oltre 22 milioni di persone. In più, ogni mille tonnellate di bioplastiche, si possono creare 60 posti di lavoro: con quali dinamiche, quali ambiti e professionalità? La filiera delle bioplastiche è molto complessa. Le bioplastiche sono fatte da molti componenti. Noi abbiamo cercato di scomporre i prodotti e creare nuove tecnologie per tutti i diversi componenti. A differenza del petrolio da cui si può ottenere un numero definito di idrocarburi, per le bioplastiche ci sono tanti tipi di componenti intermedi che hanno bisogno di tecnologie differenti. Per creare le bioplastiche si possono utilizzare materie prime di vario tipo, come zuccheri di prima e seconda generazione che possono essere estratti dalle piante più varie. Per fare ciò si deve incrementare e approfondire lo studio sul nostro patrimonio naturale perché le nostre conoscenze sono limitate a pochissime colture di grandi dimensioni.
Lei ha detto che “il futuro è nel collegamento tra le imprese e i territori, tra l’industria e l’agricoltura”, cosa significa? Il settore della bioeconomia è collegato al territorio quotidianamente. C’è bisogno di analizzare la sostenibilità della regione per creare una strategia. Ad esempio, è importante sapere quanto spazio offre il territorio in cui si vuole costruire un impianto. Esattamente come abbiamo fatto per il caso studio di Matrìca, in Sardegna, dove abbiamo analizzato gli errori che sono stati fatti in passato, le difficoltà che avremmo incontrato in un territorio dilaniato per anni, dove sono stati commessi sbagli che si sono stratificati, per questo c’era bisogno di più energia e di un supporto maggiore per poter ripartire. Perché l’eredità conta.
Ripartiamo da Matrìca, un esempio di uso di colture locali (il cardo) non in competizione con l’alimentazione… Non solo la coltura del cardo in Sardegna non è in competizione con l’alimentazione, ma Matrìca dà nuova vita a un terreno degradato, pieno di sassi, un terreno che non verrebbe coltivato perché economicamente insostenibile.
Questa è una strada davvero interessante e vincente: ci può illustrare lo stato dell’arte e la posizione di Novamont sul dilemma tra colture energetiche e alimentari? Il presupposto imprescindibile della bioeconomia è che suolo, acqua e aria non devono essere danneggiati perché rappresentano il patrimonio naturale su cui si fonda. Distruggere queste risorse significa distruggere l’economia stessa. Per questo bisogna puntare su filiere che rispettino la sostenibilità del territorio. Solo così le biomasse sono sostenibili. La bioeconomia come rigenerazione territoriale, come uso efficiente delle risorse. Non si può applicare la filiera del petrolio alla produzione di biomasse altrimenti si rischiano aberrazioni come l’espropriazione di terreni ai piccoli coltivatori in Africa. La bioeconomia non può essere questo. Non ci può essere competizione con il cibo, ma sinergia.
Quali altre materie prime state esplorando per le bioplastiche del futuro? Stiamo valutando anche gli scarti alimentari. Esistono prodotti o materiali che ora non sono sfruttati perché non conviene, ma che grazie a tecnologie innovative, ricerca, etica insieme a trasparenza, legalità e altri concetti fondamentali per la bioeconomia, possono diventare sostenibili anche dal punto di vista economico.
A proposito di scarti, un esempio che vi riguarda da vicino è quello di Milano che è riuscita a raggiungere in poco tempo i 90 chilogrammi di raccolta di rifiuti organici per abitante grazie ai sacchetti biodegradabili di vostra produzione Il rifiuto organico è un’opera d’arte. I tecnici che hanno realizzato la raccolta differenziata a San Francisco, una delle città più all’avanguardia sul tema, sono rimasti sbalorditi dai risultati e dagli impianti. Milano è un modello europeo e mondiale di cui dobbiamo andare fieri e un importante biglietto da visita per Expo Milano 2015. Il sacchetto biodegradabile prodotto da Novamont è un simbolo. Quel sacchetto rappresenta la liberazione dal problema dell’inquinamento causato dai vecchi sacchetti di plastica e permette all’Italia di eliminare i rifiuti organici dalle discariche.
È noto l’uso in Italia delle bioplastiche per gli “shopper”, ma sarebbe interessante sapere quali usi state proponendo per la filiera agroalimentare. Abbiamo cercato di sviluppare applicazioni che fossero comunque legate al rifiuto organico, eliminando eventuali problemi. C’è una parte dedicata al catering. Siamo riusciti a creare materiali per stampaggio a iniezione, quindi materiali rigidi per le posate, ad esempio, ma che possono servire anche per stampare la confezione di uno smartphone. Sono materiali che hanno una resistenza meccanica e alla temperatura maggiore del polistirolo, ma in grado di biodegradarsi in un ciclo di compostaggio semplice. Per il packaging nel settore alimentare, siamo in grado di offrire un’ampia scelta di pellicole biodegradabili, trasparenti, che possono avere differenti destinazioni d’uso: dal confezionamento degli alimenti ai teli per la pacciamatura. Purtroppo, per quanto questi nuovi prodotti siano una realtà importante, è difficile raggiungere il mercato per via degli intermediari che ne rendono difficile la distribuzione.
Il 2015 è un anno fondamentale per la sostenibilità. Partiamo da Expo Milano 2015 Expo deve essere la spinta per diventare l’Italia che vogliamo essere. Vorrei che venisse rappresentato un nuovo modello di sviluppo. Dobbiamo mettere insieme il meglio del nostro Paese perché non ha senso mantenere lo status quo. L’Italia deve mettere al centro la sostenibilità e l’efficienza, il cibo come elemento chiave, la legalità e la trasparenza. Da Expo devono uscire nuovi standard di qualità da seguire.
Lei è anche presidente di Terna e del Kyoto Club. Cosa si aspetta dalla conferenza sul clima delle Nazioni Unite di Parigi? La necessità è aumentare gli obiettivi sulla riduzione della CO2 perché ora abbiamo bisogno di correre, abbiamo bisogno di aziende ispirate a modelli nuovi che creino posti di lavoro. Io spero che, anche attraverso il Kyoto Club, sia possibile dare nuova vita al territorio per ridurre il nostro impatto sul clima.