ALESSANDRO PIU, CAMPIONE DI SURF, CAVALCA LE ONDE DELL’ARTICO: IN NORVEGIA PER GIRARE “COLD SEDUCTION”

Alessandro Piu


di Monica De Murtas

Si intitola “Cold Seduction” (gelida seduzione) il video che sta conquistando sul web gli appassionati di surf e di natura. Girato nel nord della Norvegia, al suo attivo 106.000 visualizzazioni che crescono di ora in ora, il corto è stato prodotto da Husky Motion, un giovane filmaker svedese che è riuscito a descrivere un surf trip catturando il fascino solitario di una delle coste più fotogeniche del pianeta. Protagonisti dell’efficace miscela di immagini e suoni: il cagliaritano Alessandro Piu, campione internazionale attualmente primo in classifica nel campionato italiano di surf, e il collega americano Timothy Latte. A 26 anni Alessandro Piu è un veterano della sua disciplina, avendo iniziato da bambino a surfare le più alte onde sarde a ad affrontare l’oceano intorno ai tredici anni.

«Questo sport non è solo emozione e adrenalina, è anche feeling con la natura, tranquillità interiore, non è semplice sfida agonistica ma esigenza di migliorarsi – racconta Alessandro –. Giro il mondo a caccia di onde, confrontandomi con le culture più diverse, mi alleno tanto, dentro e fuori dall’acqua, per essere sicuro, anche mentalmente, di poter affrontare qualunque tipo di onda il mare possa generare».

Perchè per girare il video avete scelto la Norvegia? «Cercavamo una location fredda e inesplorata. Abbiamo passato mesi a controllare il pianeta con Google Earth alla ricerca del posto giusto. Poi finalmente la notizia: una grande tempesta nel nord del mare Artico stava per generare onde enormi che avrebbero impattato con le piccole isole norvegesi. Tim mi ha avvisato subito e io sono partito immediatamente dalla Sardegna, dove ero arrivato solo qualche ora prima, con un viaggio di 26 ore, dopo 5 mesi passati in Australia. Una volta arrivati a Stoccolma abbiamo guidato 27 ore per arrivare finalmente nelle isole Lofoten all’estremo nord della Norvegia».

Nel video si ammirano panorami infiniti senza tracce d’insediamento umano. Che emozioni le ha dato surfare in un luogo così diverso? «Quando surfo solitamente non mi rendo conto di ciò che mi circonda perché l’adrenalina mi spinge a cacciare continuamente onde. Pero quando mi ritrovo in posti così arriva sempre quell’attimo, in cui mi fermo, mi guardo intorno e mi ritrovo solo nel mare. Non sono in grado di descrivere a parole l’emozione che provo in quegli istanti, posso dire che mi sento parte di un tutto e che questo fa nascere in me una sensazione di pace e gratitudine che mi commuove profondamente».

Come ha gestito il problema del freddo? «Fortunatamente la nostra crew era composta da svedesi, loro sanno bene come bisogna comportarsi col freddo. Fuori indossavamo abiti da sci. La sessione in acqua durava massimo 2 ore e il resto del giorno dovevamo stare molto attenti nel coprirci bene ma senza sudare, evitando così di disperdere energie. In acqua era dura. La sensazione più brutta l’ho provata quando ho sentito la testa congelata mentre stavo sott’acqua nella fase del superamento dei frangenti dell’onda. La tecnica si chiama “duck dive” ed è la più comune per uscire fuori dai frangenti con mare grosso. Ma dopo essere andato sotto per tre volte ho preferito farmi travolgere piuttosto che immergermi nuovamente, sentivo che avrei perso i sensi».

I problemi logistici nei dieci giorni di riprese? «Abbiamo incontrato diverse tempeste. Il nostro rifugio era una tipica casetta di legno bianca e rossa che si affacciava su un bellissimo fiordo. Dovevamo monitorare il meteo, cercare lo spot giusto per le riprese. Un giorno siamo saliti su una montagna innevata con i surf in spalla perché dal satellite avevamo individuato uno spot che prendeva il vento da un’angolazione perfetta. Sfortunatamente una volta giunti sulla cima della montagna i nostri GPS hanno perso il segnale. Abbiamo provato ad andare avanti ma era pericoloso, è facile perdere la direzione in mezzo alla neve. Quindi abbiamo deciso tornare alla base e riprovare da un altro lato».

Che attrezzature sono state utilizzate? «Per un prodotto di qualità serve un team di professionisti: un fotografo, due operatori, un tecnico del suono, un addetto alla color correction, un sound design e un grafico. Sono state usate diverse telecamere professionali e una GoPro 4 Blak per alcune riprese realizzate con un drone. Il lavoro di post produzione è durato due mesi».

Prossime tappe? «Mi aspettano il campionato italiano ed europeo e le isole Mauritius per il meeting mondiale di North Sail. Ma ora sono a casa, in Sardegna»

La migliore onda sarda secondo lei? «Nella zona di Pula c’è un onda che quando “rompe” è davvero oceanica e forse anche di più».

* Sardinia Post

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