Che volete che vi dica, è un periodo questo che gli sbarchi dei poveracci che fuggono le guerre aprono i telegiornali solo se gli annegati correlati superano le centinaia, diversamente le immagini dei bimbi che nascono nei “barconi della morte” si mischiano, solo alla fine di ogni TG, con le migliaia di volti degli altri che ce l’hanno fatta ad arrivare a Lampedusa o a Pozzallo. Ogni santa settimana che dio ci manda. Davvero non sarà ora di pensare che di guerre in giro per il mondo, e vicine al nostro di mondo, ce ne sono un po’ troppe? E che sarà bene che ognuno si senta in dovere di ripeterlo e sottolinearlo quanto tutto ciò sia intollerabile, negli ambiti in cui ognuno di noi opera, fosse pure il bar sport sotto casa. Giusto per non lasciare al Salvini di turno la trita litania dell’ “aiutiamoli a casa loro”che così non ci vengono a rompere le balle qui. (Il tono di scrittura è volutamente “leghista”). Allora quando sento parlare papa Francesco e Daniela Ducato un poco mi risollevo: tutte e due ce l’hanno con la Guerra. Il papa lo fa ovviamente per dovere istituzionale, diciamo che è il suo mestiere e taciamo dei trascorsi della banca vaticana nel traffico mondiale delle armi, Daniela questa storia del petrolio da cui affrancarsi se vogliamo sperare in un futuro di pace lo dice da sempre. Persino qui all’Expo di Milano. Seppure in forma ologrammata (ho visto il mio “avatar” al padiglione Italia, mi dice sorridendo) tra le 21 offerte che le regioni italiane rivolgono ai visitatori allettandoli a visitarle “de facto” e non solo nei grandi schermi televisivi. Lei “parla per la Sardegna” e dice robe così: “Con quello che voi buttate, voi li chiamate scarti, per me sono la ricchezza, isolare case con la lana di pecora, dipingere pareti con l’uva, proteggere edifici con sughero e posidonia, è il mio lavoro. Serve ingegno, credibilità e una bella squadra…”. Mi accorgo che do per scontato che tutti sappiano chi è Daniela Ducato, sarà che ultimamente come accendo Rai tre me la trovo davanti: a Stoccolma sta prendendo l’ennesimo premio per la sua attività di imprenditrice “verde” (Euwiin international award), o chiacchiera amabilmente con Sveva Sagramola nel suo seguitissimo programma pomeridiano di “Geo”, l’altra mattina era Mattarella presidente che le conferiva il cavalierato per la sua opera di imprenditrice eticamente ispirata all’utilizzo di materiali non petroliferi, prima causa di guerra nel mondo, dice lei. Daniela è amica mia, ha sposato un guspinese di razza Ruggeri (erano metà di mille: Rolando è quello che ha dimostrato più fiuto negli affari, e Oscar, l’alter ego della ditta “green”e marito in carica è uno dei suoi figli), oggi è qui a Milano a seguito dell’evento che la “Regione Autònoma De Sardigna” (tranquilli, nell’invito c’è pure la dicitura in italiano) mette in piedi per pubblicizzare la presenza sarda all’Expo. Lo fa davvero in grande stile, il posto è davvero magnifico, siamo ai chiostri di san Barnaba, dietro la chiesa di santa Maria della Pace, se la sono comprata i templari da che Bianca Sforza e suo figlio Galeazzo, era il 1466, la donarono a un nobile portoghese che si era fatto francescano. La aprono al pubblico solo il primo giovedì del mese, dalle dieci alle dodici, praticamente mai, almeno per me che ogni giovedì sono al Besta, con l’Abio, a far giocare i bimbi al reparto di neuropsichiatria infantile. Qui dove i frati avevano il refettorio c’è un’acustica perfetta (come è noto mangiavano in assoluto silenzio e uno di loro leggeva passi del nuovo e vecchio testamento) e le pareti sono istoriate da una crocifissione di Bernardino Ferrari, ora si chiama salone degli affreschi. Gavino Murgia che, dice Wikipedia sarda est unu saxofonista, cantante e sonadore de launeddas e cumpositore de musica jazz, prima che arrivino gli ospiti si produce in un “vibrato da tenores” che fa tremare i lampadari. Poi suonerà il suo sax con angelicate note nuoresi. Ci sono gli assessori Morandi e Elisabetta Falchi, lei agricoltura, lui turismo artigianato e commercio, ambedue a dire della qualità della vita che si può respirare nell’isola di Sardegna, con cibi per la salute che contribuiscono a farne “terra dei centenari”. Tra i chiostri i banchetti con i prodotti I.G.P. e D.O.P. (indicazione geografica e denominazione di origine protette), agnelli sardi e pecorini e vini e carciofi spinosi e zafferano. Ne userà Sergio Mei per cucinare nel primo pomeriggio, lui che partendo dalla natia Santadi è ora “excutive chef” al prestigioso Hotel “Four Season” di via Gesù, nel quadrilatero della moda lombarda, dove le borse di Prada e compagnia bella le puoi pagare solo con carta di credito certificata. D’infilata, appena si entra, una serie di quadri con la Sardegna dei prati fioriti e delle greggi belanti, il cielo sempre percorso da nubi che si intuisce non ti bagneranno mai durante la tua vacanza. Dice Francesco Morandi che il tentativo è di mostrare un’isola diversa dai cliché che l’hanno finora “mortificata”, schiacciandola tra le estati agostane del mare d’alta gallura. E’ ora che il paesaggio sardo dell’interno si prenda la sua rivincita e l’esposizione internazionale è occasione imperdibile per ribadirlo. Come è noto su questo genere di manifestazioni i pareri sono i più diversi, alcune centinaia di ragazzi provenienti da mezza Europa si sono all’uopo vestiti di “nero-Isis” e per meglio esplicitare il loro forte dissenso per mezza giornata hanno tutto sfasciato al loro passaggio, dalle banche supercapitalistiche alle vetrine dei venditori di kebab turchi. Come è altrettanto noto ci sono circa dieci milioni di persone che hanno già acquistato un biglietto e hanno quindi intenzione di fare un salto per dare un’occhiata ai famosi padiglioni, e magari firmare quella famosa carta d’intenti perché il diritto al cibo quotidiano sia esteso per davvero all’umanità tutta. Daniela dice che, al di là dell’effetto “Gardaland”, vi sono molti ingredienti, molte filiere, che fanno sì che il risultato sia abbastanza unico, che insomma l’Expo “funziona”. Al padiglione Italia c’erano un centinaio di ragazzi seduti per terra a sentire il suo “avatar” che mostrava loro un nido di passero tessitore, intrecciato dai raspi dell’uva con gli steli del frumento falciato. Un’architettura di pace, un’edilizia che diventa una delizia. La potenza del limite che si sposa con la potenza della bellezza e del saper fare. Molti sardi di Milano tra i chiostri di san Barnaba, a proposito di guspinesi Maurizio Onidi rievoca la sua prima traversata in mare sulle carrette della “Tirrenia”, nel’66 a sedici anni, e sarebbe diventato responsabile per la Lombardia del Banco di Sardegna, la pintadera d’oro all’asola sinistra della giacca. La terza “turistica”, ricorda, era sotto la linea di galleggiamento della nave, cuccette a quattro posti rigorosamente distinte per donne e uomini. Capannelli di gente attorno a forme di “ casu marzu” da spalmare su fette di pane carasau. Col mare grosso davvero impossibile non vomitare anche l’anima. Con un effetto di emulazione a cui non ci si poteva sottrarre. Qui posso portare testimonianza personale. D’origine controllata solo il groppo alla gola che non ne voleva sapere di passare. A Patrizia Pitzalis, dell’agnello di Sardegna I.G.P., chiedo quanto ci sia di vero nella leggenda metropolitana che dice di agnelli rumeni spacciati per sardi nel periodo pasquale. Smentita totale, ogni capo venduto è monitorato da una filiera certa, i pascoli a cui si nutrono sono per definizione incontaminati e, udite udite, gli agnelli sardi sono ricchi di grassi omega tre e di vitamina E, tutta roba che fa bene alle membrane delle nostre cellule. Anche Nino Gramsci ne era ghiotto, in una delle sue lettere dal carcere alla cognata Tatiana le scrive di una testina di agnello o capretto data da mangiare ai carcerati per pasqua, e che lui aveva trovato molto buona benché il cranio, senza cervello e orbo di un occhio, fosse molto somigliante
a quello di un cane lupo. Certo Tanja sarebbe inorridita nel leggerlo, ma secondo me lui era un po’ innamorato di lei e voleva fare colpo sul suo animo di aristocratica russa.
DANIELA DUCATO, TESTIMONIAL DELLA REGIONE SARDEGNA A MILANO: A SAN BARNABA, UNA VETRINA SARDA DELL’EXPO
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