di Alberto Mario DeLogu
Annunciato da suo padre al mio (“Dottò, so che suo figlio si occupa di alimentare, voglio che conosca mio figlio Giuseppe”), il giorno che poi l’ho conosciuto di persona mi son trovato a stringere la mano ad un giovane imprenditore del tutto inconsueto: umile, sorridente, serio e colmo di voglia d’imparare e d’ascoltare. Mentre mi mostrava il suo nuovissimo e luminosissimo oleificio continuava a chiedermi: “Che ne dici?”, “Che te ne sembra?”, “Qui che cosa mi consigli?”. E io gli rispondevo: “Giuse’, ma che consigli vuoi chiedermi? Hai messo su una macchina meravigliosa, che cosa posso consigliarti di meglio?” E così per dieci anni le olive del nostro oliveto di famiglia prendevano la via del frantoio di Giuseppe. E le poche volte che a novembre andavo in frantoio per assistere alla spremitura lo trovavo sempre lì, col suo sorriso buono ed elegante in mezzo al frastuono meccanico dei frangitori. Per tanti anni ho trovato la sua bella anfora di “Gocce di Coros” sugli scaffali dei supermercati nel Nordamerica, a cinquemila chilometri da Ittiri, e per anni ho ripetuto a mia moglie o a mio figlio o a chiunque altro mi accompagnasse, indicandola con un filo di commozione: “Qui dentro c’è almeno una goccia dell’olio dei nostri alberi”. Poi un giorno mio padre mi ha detto che Giuseppe aveva chiuso il frantoio e venduto gli impianti. Che peccato, ho pensato: un’altra bella storia di coraggio e passione che soffoca tra le grinfie della burocrazia, o delle tasse, o della concorrenza sleale, o di chiunque o qualunque altra maledetta cosa ne abbia decretato la fine. Il sorriso buono ed elegante di Giuseppe è andato a spegnersi a poche centinaia di chilometri da qui. Pochi giorni fa sono andato in un negozio italiano dell’Ontario che sapevo vendeva il suo Gocce di Coros, ma non l’ho trovato. Forse una premonizione, chissà. Non sei l’unico sorriso che si spegne lontano da casa, caro Giuseppe. Ti unisci ai tanti, troppi, che hanno cercato, tenacemente e testardamente cercato di salvare la loro terra tirandosene fuori, per un poco o più a lungo, per settimane o decenni, o per vite intere. Qui si viene per rinascere, dicono, ma non per morire. E che quest’America nella quale si viene per farsi un futuro, spesso quel futuro sia anche capace di rubarlo, è una dolorosa ingiuria che non riesco a spiegarmi. Che cosa mi consigli, caro amico Giuseppe?
Ho pianto lacrime vere….a chi è emigrato da tanti anni…..la storia di Giuseppe… ne fa rivivere infinite di Lacrime di Coros…