di Romina Fiore
Alla partenza del pullman sicuramente c’erano mamme, papà, zie e zii che facevano mille raccomandazioni, mentre frenetici docenti contavano gli alunni.
– Ci siamo tutti? Forza, si parte –
Si saranno sistemati nelle ultime file, come di prassi, i ragazzi chiassosi con la musica a tutto volume nelle orecchie e le tasche piene di impazienza e aspettative.
A Padova, tra le mamme col fazzoletto in mano, ce n’era una il cui figlio non è tornato dalla gita.
Quel fazzoletto, che le era servito per salutare, ora raduna le sue lacrime.
– L’ho affidato alla scuola ed è tornato cadavere. –
La mamma di Domenico Maurantonio ha ragione.
Drammaticamente e dannatamente ragione.
Ho fatto diverse gite scolastiche da studentessa.
E da docente ho accompagnato varie classi in numerosi viaggi d’istruzione.
Mi sforzo di trovare la linea di demarcazione e il momento in cui, da divertenti ed istruttive trasferte, si sono trasformate in roulettes russe.
Forse non tutti immaginano che, ora, riportare a casa un’intera classe sana e salva da una gita si tratta di una botta di culo.
Non c’è merito e non è abilità.
Si tratta di culo, semplicemente.
Gli scherzi ci sono sempre stati. Ma finché si limitavano a gavettoni, asserragliamenti in bagno, occultamento di scarpe andava tutto bene. Anche il lassativo aveva fatto la sua comparsa, talvolta.
Poi qualcosa è precipitato, progressivamente. Con impercettibili giri di vite dei quali non si ha sentore, se non troppo tardi.
Quando la responsabilità della vigilanza diventa abnorme ma inutile.
I ragazzi non sono cattivi e nessuno di loro ha intenzione di rientrare con una bara, che custodisce il corpo di un compagno, sulla spalla.
I ragazzi non sono malvagi, ne sono fermamente convinta, ma forse hanno perso la capacità di valutare le conseguenze.
Spostano l’asticella sempre più in alto in una continua sfida.
Provocazione nei confronti dei docenti, ché eludere la loro sorveglianza ha un dolce sapore di vittoria.
Competizione con la scuola come istituzione.
Incomprensibile match con se stessi e con la vita.
Un docente non può impedire che certe cose accadano, la sua responsabilità è solo formale. Nelle sue more c’è eventualmente la possibilità di mitigare il rischio.
Può sequestrare bottiglie, se ne vede.
Può sedare una rissa scoppiata in sua presenza.
Può evitare azioni macroscopiche che prendono corpo davanti ai suoi occhi.
Ma può rendere impossibile che nel cuore della notte i suoi alunni si riuniscano tutti in una camera e si sfondino di canne?
Si può forse appostare nei corridoi e fare blitz all’alba nelle stanze dell’hotel?
Può perquisirli per accertarsi che non abbiano le tasche piene di erba o altri stupefacenti?
Il controllo è solo un’illusione.
E anche la speranza dei genitori, che i figli abbiano un comportamento responsabile, è un’illusione.
Ho accompagnato varie classi in gita. Li ho contati mille volte al giorno i miei studenti. Da atea ho pregato andando a dormire e ho tirato un sospiro di sollievo vedendoli al mattino.
Mi sono fidata di loro, con coraggio
E’ ormai da parecchi anni che non do la mia disponibilità ad accompagnare gli alunni in gita.
Perché io quel coraggio non ce l’ho più.
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