di Pia Deidda
Alessandro Spiga è nato a Cagliari nel 1975. Fin da piccolo ha avuto una grande passione per la natura e per il mondo acquatico. Si è avvicinato alla fotografia perché riteneva fosse una tecnica fantastica per rappresentare la spettacolare evoluzione del mondo vivente, del quale ha approfondito la conoscenza fino alla laurea in Scienze Naturali. La fotografia, però, è una fantastica forma d’arte, della quale ha scoperto nel tempo piccoli e grandi segreti: primo fra tutti la sua grande versatilità. Tutto può essere fotografato con passione: la natura, così come l’uomo e le sue espressioni. Oggi, con le sue immagini riesce a catturare un po’ tutto quello che lo circonda e in particolare quanto può descrivere la sua terra, la Sardegna.
I suoi lavori, che spaziano dalla natura ai reportage culturali, passando per lo sport, sono stati pubblicati su riviste di tutto il mondo e nel 2015 due sue immagini hanno ricevuto prestigiosi riconoscimenti nei Sony World Photography Awards nella categoria Arte e Cultura.
L’occasione di questa intervista mi è data dalla mostra “Retrattos e Sestos. Abiti e personaggi della tradizione” in mostra a Sassari presso il Museo Nazionale “G.A. Sanna” di Sassari. Conosco da alcuni anni Alessandro Spiga e ho avuto modo di vedere il percorso artistico che lo ha contraddistinto nella sua produzione fotografica, caratterizzato principalmente da tematiche che riguardano la terra di Sardegna nei suoi aspetti naturalistici e culturali.
Quale percorso porta un dottore in Scienze Naturali a divenire fotografo? «La passione per la natura mi ha portato, oltre che alla laurea, ad avvicinarmi alla fotografia. Fermare in un’immagine le emozioni che provavo davanti ad un animale, un fiore o un torrente per me è stato quasi un dovere. E’ stata invece una sorpresa anche per me ritrovarmi a immortalare le persone. Se prima del 2007 mi avessero detto che avrei ottenuto dei riconoscimenti internazionali per dei ritratti “umani” mi sarei fatto una bella risata.»
Si coglie nelle sue fotografie, anche quando sembrano estemporanee, una ricerca dell’inquadratura e della composizione, mai lasciate al caso. Quando la fotografia diventa opera d’arte? «L’inquadratura, la composizione, lo sfondo e il soggetto all’interno di una immagine hanno per me la stessa importanza. E’ con l’interpretazione di questi elementi che un fotografo trasmette qualcosa, per fortuna non esiste ancora una tecnologia che possa fare questo, ma dipende solo dall’occhio del fotografo e dalle sue scelte del momento. Lo testimonia il fatto che anche immagini realizzate agli albori della fotografia riescono ancora ad emozionare. Per capire meglio quello che intendo invito i lettori a dare uno sguardo alle fotografie di Frank Hurley realizzate tra il 1914 e il 1916 durante la spedizione Endurance attraverso l’Antartico. L’elezione di una fotografia a opera d’arte, invece, credo spetti solo al gusto del pubblico. Da un certo punto di vista questa è una fortuna perché nessuno si può autoproclamare artista (anche se oggi sul web capita spesso), allo stesso tempo però porta gli aspiranti artisti a cercare il gusto del pubblico creando, almeno nel campo della fotografia, delle “mode” che causano una perdita di originalità.»
Non aver paura di rivolgere anche l’attenzione alla tradizione e alla cultura sarda. Quanto è importante la Sardegna per lei? E quanto di quella Sardegna da lei raccontata è ancora attuale e non anacronistica? «In Sardegna abbiamo tutto quello che amo fotografare, quindi direi che la Sardegna è importantissima per me. Sembrerà banale ma è la verità. Nonostante i tentativi di “spettacolarizzazione” in Sardegna esistono ancora tanti centri che offrono una tradizione e una cultura autentica, con una varietà e diversità a distanza di pochi chilometri che meriterebbero una maggiore attenzione anche a livello internazionale. Nessuna paura quindi, ma stimoli, continui stimoli a 360°. E vista la mia formazione posso affermare che lo stesso discorso si potrebbe fare a livello naturalistico. Il lavoro di “Retrattos” credo sia da considerarsi attuale se lo si considera per quello che è: una valorizzazione e riscoperta di abiti, fogge e tessuti antichi gelosamente conservati. Diventa anacronistico se invece pensiamo che i modelli fotografati escano la sera con gli amici vestiti in quel modo.»
“Retrattos”: ha senso una mostra fotografica nell’epoca dell’immagine condivisa all’infinito? Qual è il valore profondo che pensa le sue foto trasmettano? «La soddisfazione maggiore è vedere le facce delle persone davanti ai miei lavori, sentire i loro commenti e discuterli di persona, niente di paragonabile al contare i “mi piace” su facebook. Inoltre sono dell’idea che una foto, stampata come si deve, abbia tutto un altro impatto rispetto ad una immagine “virtuale”. Sia perché sul monitor del computer o dello smatphone siamo quotidianamente esposti ad una overdose di immagini che rende impossibile apprezzare le belle foto per quello che realmente posso offrirci, sia perchè lo spirito con cui lo spettatore si approccia ad una mostra è completamente diverso, più attento e sicuramente più critico. Credo, e spero, che vedendo le fotografie di “Retrattos” il pubblico colga l’importanza ed il valore dei vestiti indossati dai modelli e inizi a guardare con un occhio più critico quello che viene proposto durante le varie manifestazioni folkloristiche, nel campo dell’abbigliamento tradizionale il detto “non è oro tutto ciò che luccica” credo sia quanto mai appropriato.»
Un fotografo, un artista, uno spazio espositivo. Quanto offre la Sardegna ai fotografi? «Questo forse è il punto dolente, se ho vantato la Sardegna per i soggetti offerti ai fotografi, lo stesso non si può dire per la visibilità offerta ai lavori dei fotografi, soprattutto a livello istituzionale. Per esperienza personale posso dire che ai “piani alti” conta ancora troppo il nome, rispetto ai contenuti. Bisogna invece dare onore alle piccole Associazioni che spesso fanno salti mortali per dare spazio a fotografi emergenti e meritevoli.»
* http://www.medasa.it/