di Cristoforo Puddu
La figura di Sant’Antioco martire, idealmente nel cuore di tutti i sardi, non può che essere identificata e particolarmente legata all’area del Sulcis-Iglesiente, regione tradizionalmente mineraria ai cui lavori forzati furono destinati, nei diversi periodi di persecuzioni romane, tantissimi fedeli cristiani. Si ricordano diversi Santi e Papi, martiri-schiavi del lavoro minerario per l’estrazione di metalli e minerali preziosi. Antioco, secondo la tradizione medico orientale (nacque in Mauritania, verso il 95 – 96 d.C.) e fervente testimone della fede cristiana, ai tempi dell’imperatore Adriano (prima metà del II secolo) operava nella Galazia e Cappadocia “prendendosi cura non solo dei corpi ma anche delle anime di quanti incontrava”. E proprio per le tante conversioni destate dalla sua azione fu arrestato e condannato all’esilio in Sardegna, dove alimentò i germogli della nuova religione anche tra i suoi stessi carcerieri. La viva devozione dei sardi per l’esule Antioco, zelante missionario ed entusiasta credente venuto d’oltremare, è ben radicata e antichissima; motivata anche, secondo tradizione e proprio prima di morire, perché egli “pronunziò una accorata preghiera al Signore, invocandone la protezione sulla Sardegna e sul suo fiero popolo”. Ricorrendo il IV centenario del ritrovamento del corpo di Sant’Antioco, evento datato 18 marzo 1615 e avvenuto nelle sottostanti catacombe della basilica antiochense, sono iniziate le celebrazioni diocesane. È seguito l’annuncio, accolto dai fedeli sardi come “un segno della benedizione di Dio”, che in occasione dell’Anno Santo Straordinario verranno esposte alla venerazione sia il corpo ricomposto del Santo che le reliquie in custodia della Basilica di Sant’Antioco e della Cattedrale di Iglesias. Al ritrovamento delle reliquie di Sant’Antiogu, su Santu Sulcitanu, seguì una storica “diatriba” tra la diocesi di Cagliari, a cui era associata la diocesi di Iglesias, e quella di Sassari: entrambe le città sostenevano di possedere le autentiche reliquie del Santo. Della contesa tra le due diocesi sarde si era interessata, a suo tempo, e per la stesura della giovanile tesi di laurea nella prima metà degli anni ‘70, anche la professoressa Elisabetta Bonaccorsi di San Giovanni Suergiu; oggi, gentilmente, ci autorizza a pubblicare una pagina di grande interesse storico, frutto di studi su documenti in spagnolo.
Estratto dalla tesi di laurea della Prof.ssa Elisabetta Bonaccorsi:
“Un altro fatto notevole per la storia di Iglesias in quel periodo è la lite sorta con la città di Sassari riguardo alle reliquie di S. Antioco, poiché entrambe le città sostenevano di possedere le autentiche reliquie del Santo. Questa lite è da inquadrare nella lotta esistente fra il vescovo di Sassari e quello di Cagliari, dal quale Iglesias dipendeva, per la supremazia in Sardegna; lotta che si manifestò anche nella affannosa ricerca di reliquie di santi, che, iniziata a Sassari, si trasferì ben presto a Cagliari, e da qui si propagò nell’isola di S. Antioco, dove, nella chiesa omonima, il 18 marzo 1615 fu scoperto il corpo del Santo, e lo stesso arcivescovo di Cagliari, Francesco Desquivel, si recò personalmente alla tomba di S. Antioco, da cui le venerate reliquie furono trasportate solennemente alla cattedrale di Iglesias.
Ma poiché anche a Sassari esistevano reliquie dette di S. Antioco, si giunse a una lite fra le due città presso la Sacra Congregazione dei Riti di Roma, e gli iglesienti nominarono loro rappresentante l’arciprete Nicolò Cadello. Da una lettera inviata dai consiglieri al Cadello, sappiamo che i sassaresi ottennero un breve apostolico che riconosceva come autentiche le loro reliquie, e riuscirono a far nominare commissario per indagare sulla traslazione delle ossa di S. Antioco alla chiesa di S. Gavino di Porto Torres il vescovo di Ales don Gavino Manconi, che agli iglesienti appariva sospetto, perché era nativo e abitante di Sassari e molto attaccato alla sua città, tanto che trovandosi a Cagliari per l’ottava della festa di aprile del Santo, non volle celebrare la messa, con grave scandalo dei fedeli presenti. Dalla stessa lettera apprendiamo l’invio ad Iglesias di una commissione dell’inquisitore di Sardegna, poiché si diceva che le ossa trovate a S. Antioco erano state trovate in un luogo piano e non in alto, perciò non erano di santo.
Per proseguire il processo la città d’Iglesias fu sottoposta al pagamento di una tassa, per poter raccogliere del denaro da dare al Cadello, il quale al suo rientro da Roma, nel luglio, portò con sé un decreto della Sacra Congregazione dei Riti, del 18 marzo 1623, con un breve del papa per mettere in esecuzione il decreto, nel quale si proibiva ai sassaresi di venerare le loro reliquie, e agli iglesienti si consentiva di continuare il culto delle reliquie in loro possesso.
Di ciò fu avvertito l’arcivescovo di Cagliari il quale però, per l’intervenuta morte del papa Gregorio XV, decise che si dovesse attendere una conferma del nuovo papa per mettere in esecuzione tale decreto e breve, per cui si inviò a Roma, per ottenere dal papa la nuova carta, Gerolamo Meli Scarxoni. Infine gli iglesienti ottennero dal papa un motu proprio, e così presentarono il breve e il decreto ai sassaresi per mano di Antonio Scarxoni Cani, ma i sassaresi non si mostrarono d’accordo, ed anzi gli diedero una risposta “tant erronea”.
Di questa vicenda non rileviamo altro nel nostro registro, se non che ancora l’anno seguente 1624 l’arciprete Cadello chiedeva alla città il pagamento di ventisette patacconi che aveva speso a Roma per il processo riguardante S. Antioco”.