Il termine vischio deriva dal latino viscum, probabilmente originario dalla radice indoeuropea is o vis che vorrebbe dire forza. Tra i botanici è meglio conosciuto come Viscum Album, in riferimento al colore bianco delle bacche. Appartiene alla famiglia delle Loranthaceae, spontaneo in Europa e ad est fino al Caucaso, vegeta dal livello del mare fino ai 1200 metri di altitudine. E’ un arbusto sempreverde emiparassita su diversi alberi (quercia, pino, melo, pero, noce, pioppo, biancospino, acero), ciò sta a significare che può effettuare le fotosintesi autonomamente ma preleva sali minerali dalla pianta che lo ospita. Deve il nome anche alla sostanza viscida contenuta nelle sue bacche sferiche, verdi lucide e perlacee, tossiche per l’uomo ma non per gli uccelli i quali dopo essersi nutriti diffondono i loro semi tramite gli escrementi.
PROPRIETA’ MEDICINALI
I preparati a base di vischio sono stati usati nella pratica clinica europea a partire dagli anni intorno al 1920, ma le sue caratteristiche medicinali erano conosciute già ai tempi di Ippocrate e Plinio il Vecchio. Quest’ultimo scrisse : “ Alcuni pensano che il vischio sia più efficace se colto sulla quercia all’inizio della luna, senza usare arnesi di ferro e senza che tocchi terra,che guarisca l’epilessia, faccia concepire le donne che lo portano addosso e che, applicato sulle ulcere, le guarisca completamente”. E’ una pianta dalle numerose proprietà terapeutiche fra le quali sono note quelle antitumorali. L’uso del vischio come terapia antineoplastica risale al 1920-1924 in base all’indicazione di Rudolf Steiner e grazie alla collaborazione con la Dottoressa Ita Wegman in breve tempo si arrivò all’applicazione del rimedio. In Germania il Viscum Album è tra i più prescritti nella terapia oncologica complementare e già nel 1999 più dell’80% dei pazienti oncologici ricorrevano alle medicine non convenzionali di cui il 60% usava il Viscum. Sempre in Germania ma anche in Svizzera è dispensato dal sistema sanitario. Già negli ottanta ma soprattutto negli ultimi decenni, diversi gruppi di ricerca scientifica hanno reso note con precisione le componenti attive presenti (viscotossine, lectine e polisaccaridi) ricavate tramite un procedimento complesso di miscelazione della pianta invernale ed estiva. L’attività antitumorale è da attribuirsi alla sostanza viscotossina, la quale ha un’azione citolitica arrestando la crescita tumorale; riduce inoltre la suscettibilità alle infezioni e migliora la tollerabilità alla radioterapia e alla chemioterapia. Vi possono essere reazioni avverse in genere non gravi, dipendenti da dose e sensibilità del paziente, ma nessuna evidenza di tossicità o effetti mutageni/teratogeni.
Tutti gli studi più recenti sono d’accordo nell’evidenziare l’efficacia della terapia con i componenti attivi del vischio, poichémigliora la qualità della vita, riduce gli effetti collaterali dei trattamenti oncologici convenzionali, determinando una maggiore sopravvivenza nei pazienti. Sono stati evidenziati anche effetti a carico del sistema cardio-vascolare, contro l’ipertensione arteriosa, la trombosi e l’aterosclerosi; effetti psichici con riduzione dell’ansia, degli stati depressivi e miglioramento del sonno. E’ raccomandato l’uso in caso di irregolarità del ciclo mestruale; è utile per alleviare i dolori reumatici ed inoltre sembrerebbe risolvere alcuni disturbi gastro-intestinali, nello specifico agirebbe contro la dissenteria; può essere impiegato per alleviare affezioni respiratorie come tosse e asma. Il vischio è tossico se vengono ingerite le bacche accidentalmente e si sono riscontrati alcuni casi di reazioni allergiche. E’ vivamente sconsigliato il trattamento “fai da te”. Rivolgersi sempre al proprio medico di fiducia o ad esperti erboristi.
TRADIZIONI POPOLARI
Il Viscum Album è sempre stato considerato una pianta sacra e rimedio per la vita, una sorta di miracolo della natura che guarisce tutto e che d’inverno spicca nei boschi quando alberi e arbusti mostrano solo parti secche. Il rametto di vischio sull’uscio di casa o appeso al collo nei periodi solstiziali, durante le feste natalizie, viene considerato un amuleto contro le disgrazie e gli influssi negativi. Donarlo per Natale è un gesto portatore di serenità e salute. Secondo altre credenze se una coppia la notte di Capodanno passa sotto un ramoscello di vischio ci si deve baciare poiché si ritiene porti fortuna. Tali usanze popolari giungono fino a noi dai Druidi Celti, i quali ritenevano la pianta donata dagli Dei poiché non aveva radici, cresceva come parassita su altri arbusti ed inoltre si diceva nascesse là dove era caduta la folgore, simbolo di una discesa della divinità e dunque di immortalità e rigenerazione. Il capo dei Druidi coglieva il vischio con una falce d’oro; gli altri sacerdoti vestiti di tuniche bianche lo riponevano in un bacile d’oro che poi esponevano al popolo. Poiché si attribuivano a tale pianta parecchie proprietà curative, lo immergevano dentro l’acqua che poi dispensavano a chi lo desiderava per curare qualche male o per prevenire da future malattie.
CURIOSITA’
In Sardegna il Capodanno si festeggiava seguendo lo stile bizantino che lo indicava al primo di settembre, tant’è vero che in molte zone settembre si traduce come Caputanni o Cabudanni (dal latino caput anni). Così scrisse Francesco Alziator, noto antropologo, nel suo “Folclore Sardo” del 1957: “Per i sardi l’anno non comincia a gennaio; esso inizia invece a settembre, solo i mesi di gennaio, febbraio, marzo, aprile e maggio e cioè cinque su dodici, hanno nomi uguali a quelli usati dalla maggior parte della cristianità; gli altri sette hanno nomi particolari, usati solo nell’Isola e neppure in tutta l’Isola, ma solo in certe zone e talvolta assai limitate. […] Considerato nel suo insieme, il calendario sardo appare come l’espressione di un popolo essenzialmente dedito all’agricoltura.” Possibile inoltre che Cabudanni sia la traduzione letterale di Roshasannah, il capodanno del mese Tishri, coincidente, appunto, con un periodo che copre trenta giorni tra settembre e ottobre. D’altronde anche il nostro venerdì (chenàbura) deriva dalla “cena pura” del venerdì ebraico, vigilia dello Shabbath. A confermare la teoria agricola del nostro calendario è un rito compiuto nella notte di fine anno dai contadini sardi, i quali posavano 12 chicchi di grano, uno per mese, su un mattone rovente: i chicchi che bruciavano segnavano bel tempo per l’anno a venire, mentre gli altri che saltavano indicavano pioggia e vento. Ulteriori rituali come indossare indumenti di color rosso, mangiare le lenticchie e l’uva, bere lo spumante dopo aver fatto il botto magari attorno ad un focolare portatore di luce, sono comuni a tutta la tradizione italiana. Ogni anno a Bitti il 31 di dicembre si rinnova un rito dal grande fascino conosciuto come “S’arina capute” : i bambini ed i ragazzi di primo mattino escono di casa con sa taschedda (bisaccia) sulle spalle e fanno il giro bussando alle porte del paese, canticchiando “arina caputò, patata e fasò, e intro de s’istacca, fasolu chin patata“. Per ricambiare gli verranno regalate caramelle, frutta secca, monete e quant’altro. * focusardegna.com