di Paolo Pillonca
Nel suo destino c’era la morte “in terra anzena”. Ma Milano non rappresentava per lui un vero e proprio “disterru”: da quasi trent’anni era la sua residenza professionale di penalista famoso, protagonista primario di processi estremamente difficili. Aveva iniziato nella sua Nuoro, nello studio di un grande avvocato: Bruno Bagedda. Politicamente i due erano agli antipodi: Bruno a destra fra i missini di Almirante, Giannino a sinistra con i socialisti di Nenni e Pertini. Ma Guiso e Bagedda avevano in comune l’idea di un diritto penale il più possibile vicino ai problemi della gente, in una Barbagia lacerata nel profondo dalla conflittualità dei codici: quello orale degli antenati e quello scritto di uno Stato spesso ostile alle necessità reali dell’esistenza, sordo e cieco di fronte ai bisogni primari. Esordì alla grande da ragazzo non ancora trentenne sostituendo Bruno Bagedda in un processo contro alcuni agenti di polizia accusati di aver malmenato un allevatore di Fonni in questura. Uno dei suoi primi assistiti fu Graziano Mesina. Ma presto Guiso aprì uno studio tutto suo e negli anni Settanta guadagnò una notorietà internazionale come difensore di Renato Curcio, il leader dei brigatisti rossi. Qualche anno dopo accettò di difendere il capo dei camorristi, Raffaele Cutolo. A chi gli chiedeva come mai avesse preso una decisione così strana rispose: “Quello del diritto alla difesa è uno dei principi basilari della giurisprudenza”. Nel 1978, durante il sequestro Moro, Bettino Craxi gli chiese di aprire una trattativa parallela con i terroristi per il rilascio del leader democristiano. Ma era troppo tardi e non se ne fece nulla. Nel dicembre del 1981 Giannino Guiso subì un attentato, mentre camminava per una strada di Nuoro con la moglie Anna Nieddu. Se la cavò con la frattura a uno zigomo. I suoi aggressori -due giovani di Orune- furono scoperti subito e poi condannati. Nella storia del Foro di Nuoro -ricca di talenti nitidi del calibro di Sebastiano Satta, Pietro Mastino, Luigi Oggiano, Gonario Pinna, Salvatore Mannironi e altri ancora- Giannino Guiso avrà un posto di rilievo per l’innovazione di cui è stato protagonista con il suo maestro Bruno Bagedda: la riduzione radicale della durata delle arringhe difensive e di parte civile. Per dirla attraverso i numeri, dalle tre ore ai venti minuti. Di recente aveva dovuto riprendere una difesa tutt’altro che facile: quella di Graziano Mesina, per cercare di tingere a colori vivi il pallido tramonto dell’ex primula rossa del Supramonte. Ora che Giannino non c’è più, Mesina ritorna “solu che fera”.
Ho avuto l’onore di conoscerlo a milano un po di anni fa. Condoglianze alla famiglia.