di Francesco Giorgioni
Dice la legge che dentro l’area di cava tutto è ammesso.
Si può fare esplodere e demolire ogni masso compreso in quel perimetro per trasformarlo in blocchi, pilastri, capitelli e infine moneta sonante.
Si tratta ora di capire se una pagina pubblicitaria, tra quelle di un quotidiano, vada considerata un’area di cava, un’enclave dentro la quale far scempio – volendo – dei fondamentali della equilibrata informazione.
La compagnia petrolifera Saras ha acquistato due pagine de L’Unione Sarda per ringraziare nientemeno che Papa Francesco.
“Grazie Francesco” urla su due righe la prima di queste pagine, a caratteri ciclopici.
Gli addetti marketing dell’azienda dei Moratti hanno visto in quel rimprovero agli “adoratori di cenere”, pronunciato da Bergoglio davanti alla platea di Comunione e Liberazione, un indice puntato contro l’immobilismo di chi si oppone a qualunque cambiamento. Ne è seguita, nella pagina accanto, una ramanzina sull’ostilità dei sardi alle novità.
Mancava il “vi insegniamo noi a vivere” e il concetto sarebbe stato inequivocabilmente chiarito.
Suppongo ce l’abbiano contro chi ha fatto la guerra alle trivellazioni.
Estrapolare una frase da un discorso del Papa per farne uno spot aziendale è artifizio che si commenta da sé, ma la Saras può dire quel che crede.
Il problema è capire se un’inserzionista che paga possa scrivere quel che crede nelle pagine che compra da un giornale, senza che quel giornale ci metta bocca: ogni organo di stampa che si rispetti dovrebbe attenersi al rispetto della corretta informazione, dalla prima all’ultima pagina, comprese quelle vendute agli inserzionisti.
Non basta, per giustificare il tutto, rilevare che la pubblicità acquistata da così importanti imprese è fondamentale per sostenere i giornali in clamorosa emorragia di copie (L’Unione ha perso il 6,8% in un anno).
L’Unione Sarda da qualche tempo ha assunto una linea editoriale che vorrebbe essere sovranista, caratterizzata da un’ostentata attenzione per le questioni sarde e da un forte scetticismo verso il potere romano. Sulle sue pagine abbiamo letto che “non esistono governi amici” e sovente abbiamo visto richiamata l’immagine di un’Isola preda delle scorribande colonialiste delle multinazionali.
La Saras che accusa la Sardegna di immobilismo è un’immagina grottesca, non fosse altro perché le sue raffinerie a Sarroch esistono da mezzo secolo e nessuno ne ha mai messo in discussione seriamente la permanenza.
Quell’accusa pontificia a chi si adagia sulla rendita, su quel che c’è, sembrerebbe addirsi molto di più a chi accetta senza porsi domande le sue raffinerie, anziché a chi mette in dubbio quel modello di sviluppo fondato sulla trivellazione del suolo sardo.
È più “guida da museo” chi finge di non vedere o chi pone delle questioni fondate sul futuro della propria terra?
Il governo “colonialista” non è un’astrazione, ma il veicolo di interessi economici imposti con la forza e, quando serve, attraverso campagna mediatiche fuorvianti. Anche il Papa può finirci di mezzo.
Un messaggio come quello della Saras ha un sapore insopportabilmente colonialista: si appropria di un messaggio che non le appartiene, ci spiega come dovremmo vivere e lascia intendere che, se non stiamo zitti e buoni, potremmo perdere chissà quali preziose opportunità. È un messaggio del re ai sudditi.
Però la Saras è un’azienda che deve produrre profitto e realizzare dei programmi. E le aziende si servono di ogni strumento utile per ottenere il risultato, inutile sorprendersi.
Mi sorprende molto di più che ad ospitare senza batter ciglio simili provocazioni sia un quotidiano (non i quotidiani, come ha scritto una scrittrice sarda) che si vanta di battersi per una Sardegna libera e dovrebbe valutare l’indice di verità di quel che pubblica, ancorché su commissione. Ma mi rendo conto che sia molto più scontato e indolore attribuire le responsabilità esclusivamente alla Saras, anziché considerare complice chi offre la propria carta per intimare il silenzio ai sardi.
* http://www.sardegnablogger.it/