di Federica Ginesu
Agile e leggera si muove trai sacchi che oscillano dal soffitto e con un balzo felino è sul ring, pronta a insegnare ai suoi allievi la nobile arte: il pugilato. Alessandra Carta, pelle ambrata e sguardo di velluto è una bellissima ragazza che ha deciso di dedicare la sua vita alla boxe. Un’immensa passione nata grazie al padre ex campione regionale: «Fin da piccola ho sempre praticato tanto movimento, ma a quindici anni ho infilato i guantoni e non ho più smesso». Il pugilato è uno sport particolare, richiede attitudini ben precise: coraggio, umiltà, intelligenza e una forza di volontà fuori dal comune. «Noi fungiamo quasi da psicologi è essenziale capire se una persona può praticare pugilato». Prima di iniziare a imparare le prime posizioni è necessaria un’intensa e lunghissima preparazione atletica. «Solo dopo mesi e mesi di allenamento si può, in gruppo, cominciare a lavorare e, per chi non vuole toccare l’avversario, c’è la possibilità di praticare lo sparring condizionato, con cui si impara la tecnica sul ring senza farsi male, grazie all’aiuto del maestro». Considerata uno sport violento, la boxe è in realtà una vera e propria antica disciplina che cura corpo e mente con le sue regole inviolabili: «Non ho mai pensato di potermi fare male, né di poter far male agli altri. Il pugile deve avere rispetto per sè e per l’avversario». Vietato alle donne fino al 2001, il pugilato è considerata ancora un’attività sportiva quasi esclusivamente riservata agli uomini. «La discriminazione è dura a morire, persino il mio ragazzo all’inizio è rimasto spiazzato, quasi intimorito. Sono ancora poche le pugili in Sardegna». Perché una ragazza dovrebbe fare boxe? «Il pugilato serve a tenersi in forma, ma insegna anche a difendersi. Aiuta ad affrontare senza paura chi ci vuole fare del male. Poi una donna dovrebbe avere la curiosità di voler provare uno sport maschile. Gli uomini non hanno niente più di noi, noi siamo più agguerrite e determinate». Alessandra, cresciuta col mito di Mohammed Alì, grinta da vendere, non si è scoraggiata neanche di fronte al padre che non voleva che lei esordisse. «È il regalo che ho chiesto per i miei trent’anni: diventare la prima pugile agonista dell’Accademia Pugilistica Sardegna». Mentre si prepara al grande giorno, ha conquistato a pieni voti il brevetto di istruttrice e insegna, nella storica palestra di via Mandrolisai, ai pugili amatori; ha anche allenato per il titolo italiano Antonio Cossu, diventando una delle rare donne tecnico sportivo in Italia che stanno all’angolo in un incontro professionistico di boxe. L’Accademia, storica fucina di talenti dai tempi di Fortunato Manca e Franco Udella, può contare ora solo su striminziti contributi e risorse ridotte al lumicino. «Vorrei un valido supporto solo per potenziare il progetto che stiamo portando avanti, gratuitamente, coi ragazzi delle scuole insieme ai giovani disabili della Polisportiva Olimpia ogni martedi». Nella palestra accade, infatti, qualcosa di speciale: lo sport diventa una forma di educazione che argina il disagio sociale, una scuola di vita che integra le diverse abilità, un magico strumento che unisce e non discrimina in un quartiere, Is Mirrionis, in cui non è sempre facile vivere. “A volte per tirare un colpo vincente, bisogna arretrare, ma se si arretra troppo non si combatte” dice Clint Eastwood in Milion Dollar Baby e Alessandra, grazie alla boxe, non ha mai mollato: «Ho avuto un forte periodo di depressione e lo sport mi ha salvato. Ho riconquistato me stessa, mi sono ripresa la mia vita. Il legame con lo sport mi fa sentire forte e incredibilmente viva. Non rinuncerò mai al pugilato».
* La Donna Sarda